Lo zoo di Alemanno - Yak in Abruzzo. Affidati al medico dell'ex ministro. Costo: un milione (...di euro, of course...) di Riccardo Bocca (L'Espresso)
Un milione di euro. È quanto l'ex ministro delle Politiche agricole Gianni Alemanno, aspirante sindaco di Roma, ha stanziato per un progetto che lascia perplessi: allevare yak sulle montagne abruzzesi. Proprio così. Al posto delle tradizionali vacche, nell'ottobre 2005 sono sbarcati ad Acquachiara, in provincia di Teramo, una ventina di pelosissimi bovidi tibetani. Nell'arco di tre anni saranno studiati dagli esperti dell'Istituto sperimentale di zootecnia. Con una particolarità: il coordinamento scientifico delle operazioni, e relativo portafoglio di 180 mila euro, è finito altrove. A disposizione di Adolfo Panfili, medico personale di Alemanno, nonché suo compagno di trekking in alta quota. Il quale non affronta questa impresa da solo: c'è anche sua moglie, Valeria Mangani (candidata alle prossime comunali nella lista Alemanno), ringraziata con un gettone annuo di 20 mila euro. E ci sono altri due amici di sgambate del candidato sindaco: l'imprenditore Corrado Pesci, figlio di Virna Lisi, e la guida alpina Marco Forcatura.
Tutto nasce in modo, diciamo così, famigliare. Lo spiega lo stesso Panfili, specialista in ortopedia e traumatologia, creatore dell'Associazione internazionale di medicina ortomolecolare (per sostituire ai farmaci "aminoacidi, fiori di Bach e minerali"). "Tre anni fa ho curato il ministro Alemanno", racconta. "Dopodiché è sbocciata una splendida intesa, basata sull'amore per la natura e la montagna". Il che, in teoria, non dovrebbe automaticamente portare al coordinamento di una mandria di yak. E infatti. L'incarico arriva dopo un'avventura che Alemanno affronta nel 2004 con il sostegno dell'amico dottore: l'ascesa al campo base del K2, per il cinquantenario della conquista italiana.
Al ritorno, Panfili riflette: "Esistono 13 milioni di persone che vivono tra i 3 mila e i 5 mila metri di altitudine, e sono le più longeve del mondo. Grazie a che cosa? Alla quota, all'acqua. E alla carne". Di yak, ovviamente. Con questa certezza, Panfili propone ad Alemanno di trasferire i ruminanti tibetani in Italia, e di analizzarne le magnifiche proprietà. Un'idea sposata dal ministro con entusiasmo, dice il dottore. Meno affettuosa, invece, è stata l'accoglienza al progetto di alcuni ricercatori ministeriali, ai quali questa storia non va giù. Non condividono che si spenda un milione di euro per gli yak, animali non autoctoni di super nicchia. E non apprezzano troppo l'intervento di Panfili, signora e amici vari. "Le perplessità di qualche collega", ammette Giacomo Pirlo, direttore generale dell'Istituto sperimentale di zootecnia, "ci sono. Il che non c'entra con il nostro lavoro: siamo stati incaricati di studiare gli yak, e cercheremo di farlo al meglio". Detto questo, si rifiuta di fornire dettagli sui contratti degli illustri collaboratori, da Panfili in giù: "Non posso rivelarli perché riguardano privati", dice Pirlo. Anche se i denari in ballo sono pubblici? "Comunque".
Assai più disponibile è Giacomo Ficco, responsabile tecnico del progetto, il quale coordina il lavoro della Cooperativa Monte Tre Croci (pagata 60 mila euro l'anno) ad Acquachiara, dove pascolano gli yak. "Al di là degli incarichi formali", afferma, "quello che è stato realizzato finora lo si deve al dottor Pirlo, a me e ai ragazzi della cooperativa". E cosa è stato fatto, finora? "Prima di tutto abbiamo cercato yak che già vivessero in Europa, abituati ai nostri climi. Alcuni li abbiamo comprati in Germania, altri in Austria, altri ancora in Italia, da Reinhold Messner. Siamo partiti da Francoforte e li abbiamo trasportati in Tir lungo 2 mila 500 chilometri, per tre giorni e mezzo". All'arrivo in Abruzzo, i bovidi erano stravolti. Alcuni non si facevano avvicinare, altri caricavano. Mentre Benjamin, vigoroso stallone yak, è scappato tra le montagne. "Al ministero e alla prefettura erano preoccupatissimi. C'era chi voleva abbatterlo", dice Ficco, "ma io mi sono opposto. Con tutta la fatica per portarlo qui...".
Appunto. Il dubbio è questo: ha un senso tanto lavoro? Era necessario inventarsi, a caro prezzo, un allevamento di yak? E quali sono le prospettive concrete? "Il progetto", sostiene Panfili, "ha un duplice obiettivo. Da una parte studiare la carne di yak, che è di ottima qualità. Dall'altra, incentivare turismo e occupazione, restituendo vitalità a montagne abbandonate dall'uomo". E se gli yak non si adattassero ai pascoli abruzzesi? "In questo caso", risponde il tecnico Ficco, "il progetto andrebbe in crisi. Non ci resterebbe che dire: abbiamo giocato". Con un milione di euro.
SOCIAL
Follow @Tafanus