CASA DELLE LIBERTÀ / LA SVOLTA POPULISTA DELL'EX PREMIER
di Claudio Rinaldi
Dare i numeri gli è sempre piaciuto. Stordire gli interlocutori sparando raffiche di cifre, meglio se false. Quantificare i suoi mirabolanti successi: 50 mila i fortunati collaboratori delle sue aziende, 36 le grandi riforme del suo governo... Da due o tre mesi a questa parte, tuttavia, Silvio Berlusconi sta dando i numeri in tutt'altro senso. Fa il matto. Urla, strepita, maledice. Straparla di democrazia in pericolo. Chiama al salvataggio della Patria. Dà in escandescenze.
È convinto di aver sfiorato un rocambolesco pareggio, alle elezioni politiche del 9-10 aprile, proprio grazie alle quotidiane esplosioni di un'ira senza limiti. Perciò ha dato i numeri anche durante la campagna per le amministrative del 28-29 maggio, abbandonandosi alle violenze verbali. Sperava che dal voto scaturisse un avviso di sfratto per il governo Prodi. A conti fatti ha dovuto registrare un flop: né la stentata vittoria a Milano né la mancata conquista di Napoli si possono leggere come un'autorizzazione a procedere sulla strada delle intemperanze estreme. Eppure il Berlusconi che dà i numeri non è stato una stravaganza di primavera, ha semplicemente anticipato una tendenza destinata a perpetuarsi. Non per nulla l'uomo è un ammiratore, da decenni, dell''Elogio della follia" di Erasmo da Rotterdam. Nella vita pubblica italiana il Silvio furioso è ormai una costante.
Lo stato di esaltazione si autoalimenta, nutrendosi di continui bagni e bagnetti di folla. Sta conoscendo un'escalation da brividi, nella quale l'unico punto sciaguratamente fermo è il rifiuto di accettare la sconfitta patita da Forza Italia alle politiche. Il 7 maggio, alla vigilia della battaglia per il Quirinale, Berlusconi ha minacciato un devastante sciopero fiscale: "Se non sentiamo che le istituzioni ci garantiscono, non accettiamo di pagare le tasse!". Poi ha proclamato che ritirerà dalle Camere i suoi parlamentari se il presidente della Repubblica, accertati i brogli perpetrati ai suoi danni, non si sbrigherà a regalargli nuove elezioni. Il 19 maggio, quando il governo di centro-sinistra ha ottenuto la fiducia a Palazzo Madama, si è avventato contro gli inermi senatori a vita, accusandoli di "comportamento immorale" per aver detto sì a Romano Prodi. Il 26 maggio ha addirittura agitato lo spauracchio di una seconda marcia sulla Capitale, quasi 84 anni dopo la canagliesca bravata fascista: "Dobbiamo scendere in piazza e andare tutti a Roma", ha gridato nell'ultimo comizio milanese. Il cavalier Benito Mussolini sta per trovare un degno emulo? (...sta per trovare???... veramente a noi sembra che lo abbia trovato da un pezzo...)
Davanti a una simile deriva è nato un turbinio di domande serie, sia fra gli avversari dell'anziano demagogo sia fra i suoi alleati spesso recalcitranti. Ma si tratta per lo più di domande inutili, nel senso che le risposte sono dolorosamente ovvie. Per esempio: il populismo di guerra costituisce una reazione istintiva o una scelta meditata? L'una e l'altra, ahinoi, giacché Berlusconi freme di sdegno contro chi gli ha soffiato il posto non meno di quanto creda, a mente fredda, nella possibilità di una rivincita a breve scadenza. Ancora: la linea dello scontro totale deve ritenersi temporanea, valida cioè soltanto fino al referendum del 25 giugno sulla riforma costituzionale, o duratura? L'ex premier, è evidente, non ha nessunissima voglia di darsi una calmata. Sa bene che l'Unione è litigiosa, quindi fragile. Sa anche che gli conviene tenere alta la bandiera dell'anticomunismo assoluto, perché costringe Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini a seguirlo come due grigie ombre. A 70 anni, inoltre, soffre di un'impazienza patologica: non sopporta l'idea di vegetare all'opposizione da adesso al lontano 2011. [....]
È convinto di aver sfiorato un rocambolesco pareggio, alle elezioni politiche del 9-10 aprile, proprio grazie alle quotidiane esplosioni di un'ira senza limiti. Perciò ha dato i numeri anche durante la campagna per le amministrative del 28-29 maggio, abbandonandosi alle violenze verbali. Sperava che dal voto scaturisse un avviso di sfratto per il governo Prodi. A conti fatti ha dovuto registrare un flop: né la stentata vittoria a Milano né la mancata conquista di Napoli si possono leggere come un'autorizzazione a procedere sulla strada delle intemperanze estreme. Eppure il Berlusconi che dà i numeri non è stato una stravaganza di primavera, ha semplicemente anticipato una tendenza destinata a perpetuarsi. Non per nulla l'uomo è un ammiratore, da decenni, dell''Elogio della follia" di Erasmo da Rotterdam. Nella vita pubblica italiana il Silvio furioso è ormai una costante.
Lo stato di esaltazione si autoalimenta, nutrendosi di continui bagni e bagnetti di folla. Sta conoscendo un'escalation da brividi, nella quale l'unico punto sciaguratamente fermo è il rifiuto di accettare la sconfitta patita da Forza Italia alle politiche. Il 7 maggio, alla vigilia della battaglia per il Quirinale, Berlusconi ha minacciato un devastante sciopero fiscale: "Se non sentiamo che le istituzioni ci garantiscono, non accettiamo di pagare le tasse!". Poi ha proclamato che ritirerà dalle Camere i suoi parlamentari se il presidente della Repubblica, accertati i brogli perpetrati ai suoi danni, non si sbrigherà a regalargli nuove elezioni. Il 19 maggio, quando il governo di centro-sinistra ha ottenuto la fiducia a Palazzo Madama, si è avventato contro gli inermi senatori a vita, accusandoli di "comportamento immorale" per aver detto sì a Romano Prodi. Il 26 maggio ha addirittura agitato lo spauracchio di una seconda marcia sulla Capitale, quasi 84 anni dopo la canagliesca bravata fascista: "Dobbiamo scendere in piazza e andare tutti a Roma", ha gridato nell'ultimo comizio milanese. Il cavalier Benito Mussolini sta per trovare un degno emulo? (...sta per trovare???... veramente a noi sembra che lo abbia trovato da un pezzo...)
Davanti a una simile deriva è nato un turbinio di domande serie, sia fra gli avversari dell'anziano demagogo sia fra i suoi alleati spesso recalcitranti. Ma si tratta per lo più di domande inutili, nel senso che le risposte sono dolorosamente ovvie. Per esempio: il populismo di guerra costituisce una reazione istintiva o una scelta meditata? L'una e l'altra, ahinoi, giacché Berlusconi freme di sdegno contro chi gli ha soffiato il posto non meno di quanto creda, a mente fredda, nella possibilità di una rivincita a breve scadenza. Ancora: la linea dello scontro totale deve ritenersi temporanea, valida cioè soltanto fino al referendum del 25 giugno sulla riforma costituzionale, o duratura? L'ex premier, è evidente, non ha nessunissima voglia di darsi una calmata. Sa bene che l'Unione è litigiosa, quindi fragile. Sa anche che gli conviene tenere alta la bandiera dell'anticomunismo assoluto, perché costringe Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini a seguirlo come due grigie ombre. A 70 anni, inoltre, soffre di un'impazienza patologica: non sopporta l'idea di vegetare all'opposizione da adesso al lontano 2011. [....]
Le lusinghe Se Berlusconi fa il duro, lo si ammorbidisce. Semplice, no? Peccato che le mosse presunte distensive, finora, siano andate miseramente a vuoto. Tutte, anche le più spericolate. Come la promessa fatta da Fassino alla Casa delle libertà, in una balorda intervista al 'Foglio' del 6 maggio: se fosse salito al Quirinale, Massimo D'Alema di fronte a un'eventuale crisi del governo Prodi avrebbe senza indugio sciolto le Camere. O come la demenziale proposta di nominare il sedizioso Berlusconi senatore a vita, prima avanzata dalla dalemiana 'Velina rossa' e poi avallata dal factotum della corrente ("Trovata interessante... Riconosco la capacità dell'uomo imprenditore... Ma ha voglia di mettersi a fare il grande vecchio autorevole? Ho la sensazione che i tempi non siano maturi dal punto di vista dello stesso Berlusconi", Nicola La Torre, 24 maggio). Con l'obiettivo di rabbonire il Silvio furioso è stata anche offerta alla Cdl qualche presidenza di commissione parlamentare. Ma i trucchetti per rasserenare il clima a costo zero, o quasi zero, sono il frutto di un altro abbaglio. Dialogare con un accaparratore nato non serve a niente. Berlusconi vuole tutto e subito, non ha mai accettato di collaborare con chi non si inchinasse al suo primato. Nel 1997 D'Alema si illuse di renderlo più malleabile coinvolgendolo nella Bicamerale per le riforme, ma dopo un anno fu piantato in asso. Bidonato. È incredibile che ancora oggi i dirigenti dei Ds pensino di poter manovrare come un burattino un personaggio che li sovrasta, sia per la quantità delle risorse di cui dispone sia per come sa usarle.
L'accordo Visto che al Senato il centro-sinistra ha una maggioranza pressoché inesistente, si forma un governo di grande coalizione con il centro-destra. Come in Germania. L'ipotesi l'ha buttata là il 15 aprile, in una lettera al 'Corriere della sera', proprio Berlusconi. Ma era ed è del tutto campata in aria. Lo stesso proponente ha auspicato "un'intesa parziale e limitata nel tempo", così confessando che gli interessava soltanto tornare alle urne quanto prima. E da noi una soluzione alla tedesca è, per vari motivi, impensabile. Un'ammucchiata universale, che sarebbe da manicomio, è esclusa. Dovrebbe esserci, come nel modello Berlino, un drastico taglio delle ali; ma l'Ulivo non è in grado di scaricare la sinistra radicale, né si può formare un blocco Forza Italia-Udc che faccia fuori An e la Lega. Il governissimo richiederebbe inoltre l'immediata liquidazione dello sconfitto: Gerhard Schröder ha dovuto ritirarsi a vita privata, un passo che Berlusconi non ha la più pallida disponibilità a compiere. Niente da fare, insomma. Chiunque sostenga che le larghe intese sono possibili è uno sprovveduto o un imbroglione.
E allora? Dal punto di vista del centro-sinistra, la situazione ricorda quella dell'esercito francese in trincea nel 1914. Un giorno di settembre, il generale Ferdinand Foch disse al collega Joseph Eidoux: "Voi sostenete che è impossibile resistere e che è impossibile indietreggiare, dunque non rimane che attaccare!". Se tentare di blandire Berlusconi è autolesionismo puro, e se risulta impraticabile la via di una spartizione del potere alla Angela Merkel, l'Unione non può far altro che andare avanti senza tentennamenti. Governare, e governare da sola. Ma sapendo di poter contare su una maggioranza assai risicata, il che sconsiglia l'adozione di pose gladiatorie. Se esiste una tenue possibilità di liberare l'Italia dal Silvio furioso, essa risiede nella capacità di Prodi e dei suoi di farsi furbi. Di sfoggiare un sano realismo.
Si tratta innanzitutto di rintuzzare la propaganda avversaria; senza sguaiataggini, certo, ma con un'assiduità e un'accuratezza che finora non ci sono state. Quando Berlusconi afferma che alle politiche la Cdl ha avuto il 50,2 per cento dei voti, per esempio, gli va ribattuto che è una balla. Quando torna a sollecitare il riconteggio delle schede di aprile, gli va opposto qualche garbato sfottò per la senile fissazione. Quando vaneggia di mani rosse sul calcio, gli va ricordato che come commissario della Federcalcio Prodi suggeriva nientepopodimeno che Gianni Letta. Quando presenta il medesimo Letta come un uomo super partes, gli va raccomandato di non rendersi ridicolo. E così via.
L'Unione, poi, deve smetterla di attribuire a Berlusconi il ruolo di capo indiscusso dell'opposizione. Non le giova, e soprattutto non giova al paese. C'è bisogno di un centro-destra plurale, non di una destraccia sottoposta all'egemonia di un fanatico. Mentre dialogare con l'Assatanato è pernicioso, dialogare con i Casini e i Fini è politicamente doveroso; e non pregiudica la ricerca dell'autosufficienza. [....]
L'accordo Visto che al Senato il centro-sinistra ha una maggioranza pressoché inesistente, si forma un governo di grande coalizione con il centro-destra. Come in Germania. L'ipotesi l'ha buttata là il 15 aprile, in una lettera al 'Corriere della sera', proprio Berlusconi. Ma era ed è del tutto campata in aria. Lo stesso proponente ha auspicato "un'intesa parziale e limitata nel tempo", così confessando che gli interessava soltanto tornare alle urne quanto prima. E da noi una soluzione alla tedesca è, per vari motivi, impensabile. Un'ammucchiata universale, che sarebbe da manicomio, è esclusa. Dovrebbe esserci, come nel modello Berlino, un drastico taglio delle ali; ma l'Ulivo non è in grado di scaricare la sinistra radicale, né si può formare un blocco Forza Italia-Udc che faccia fuori An e la Lega. Il governissimo richiederebbe inoltre l'immediata liquidazione dello sconfitto: Gerhard Schröder ha dovuto ritirarsi a vita privata, un passo che Berlusconi non ha la più pallida disponibilità a compiere. Niente da fare, insomma. Chiunque sostenga che le larghe intese sono possibili è uno sprovveduto o un imbroglione.
E allora? Dal punto di vista del centro-sinistra, la situazione ricorda quella dell'esercito francese in trincea nel 1914. Un giorno di settembre, il generale Ferdinand Foch disse al collega Joseph Eidoux: "Voi sostenete che è impossibile resistere e che è impossibile indietreggiare, dunque non rimane che attaccare!". Se tentare di blandire Berlusconi è autolesionismo puro, e se risulta impraticabile la via di una spartizione del potere alla Angela Merkel, l'Unione non può far altro che andare avanti senza tentennamenti. Governare, e governare da sola. Ma sapendo di poter contare su una maggioranza assai risicata, il che sconsiglia l'adozione di pose gladiatorie. Se esiste una tenue possibilità di liberare l'Italia dal Silvio furioso, essa risiede nella capacità di Prodi e dei suoi di farsi furbi. Di sfoggiare un sano realismo.
Si tratta innanzitutto di rintuzzare la propaganda avversaria; senza sguaiataggini, certo, ma con un'assiduità e un'accuratezza che finora non ci sono state. Quando Berlusconi afferma che alle politiche la Cdl ha avuto il 50,2 per cento dei voti, per esempio, gli va ribattuto che è una balla. Quando torna a sollecitare il riconteggio delle schede di aprile, gli va opposto qualche garbato sfottò per la senile fissazione. Quando vaneggia di mani rosse sul calcio, gli va ricordato che come commissario della Federcalcio Prodi suggeriva nientepopodimeno che Gianni Letta. Quando presenta il medesimo Letta come un uomo super partes, gli va raccomandato di non rendersi ridicolo. E così via.
L'Unione, poi, deve smetterla di attribuire a Berlusconi il ruolo di capo indiscusso dell'opposizione. Non le giova, e soprattutto non giova al paese. C'è bisogno di un centro-destra plurale, non di una destraccia sottoposta all'egemonia di un fanatico. Mentre dialogare con l'Assatanato è pernicioso, dialogare con i Casini e i Fini è politicamente doveroso; e non pregiudica la ricerca dell'autosufficienza. [....]
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