I falsi negli appalti sanità. E il giallo di 200 mila euro dati all'ex governatore via Udc. Per Angelucci erano destinati al partito di Cesa
di Francesco Bonazzi - L'Espresso
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Semplicemente, condividevo la politica di Fitto... Lunedì 26 giugno, davanti ai magistrati baresi che lo hanno messo agli arresti domiciliari per corruzione, Giampaolo Angelucci ha provato a spiegare così quei 500 mila euro versati tra l'aprile del 2004 e il maggio del 2005 a La Puglia prima di tutto, il movimento messo su da Raffaele Fitto alla vigilia delle regionali. Per i pm baresi, quei soldi sarebbero invece la tangente pagata per l'appalto da 198 milioni di euro con il quale la Tosinvest della famiglia Angelucci si aggiudicò la gestione di 11 residenze per anziani nel novembre del 2004. Ed è proprio questa vicenda il capitolo più delicato dell'ultima inchiesta sulla passata amministrazione pugliese. Una indagine che conta 23 indagati, tra i quali l'arcivescovo di Lecce Cosmo Francesco Ruppi, e che è balzata sulle prime pagine dei giornali il 22 giugno scorso, quando la Procura di Bari ha spedito alla Camera la richiesta di arresto per Fitto, neodeputato di Forza Italia. Così, nell'estate di Moggi e dei Savoia, anche l'inchiesta barese è sbrigativamente finita nel calderone mediatico di Intercettopoli. Ma a scorrere quei 17 faldoni arrivati a Montecitorio dalla Puglia, si capisce che il pool guidato dal procuratore aggiunto Marco Dinapoli ha lavorato su centinaia di carte sequestrate dalla Guardia di Finanza. Montagne di delibere pubbliche, ma anche documenti contabili e bonifici bancari. Che a loro modo, per accettare il punto di vista di Angelucci, raccontano davvero una storia politica. Primo: privatizzare All'inizio del 2004, un Fitto all'apice della propria potenza si lancia nell'impresa più ambiziosa: riformare la sanità pugliese. Senza curarsi dei partiti e delle proteste di piazza, il giovane governatore sforna un nuovo piano sanitario che prevede la chiusura di diversi reparti e di interi ospedali. In questo quadro di generale aumento delle convenzioni con cliniche e strutture private, Fitto fa alzare la bandiera bianca alla sanità pubblica anche sul fronte della cura degli anziani lungodegenti. La decisione politica di affidare ai privati la gestione di 11 Rsa (Residenze sanitarie assistite) viene presa dalla giunta il 27 aprile 2004 sulla base di un presupposto: le strutture pubbliche non sono in grado di garantire quel tipo di servizio, anche per carenza di personale. Ma secondo i pm, almeno due aziende sanitarie locali interpellate dalla Regione (Ausl Lecce2 e Ausl Bari3) avrebbero messo nero su bianco il contrario: potevano gestirli loro quei vecchietti. Ecco perché la Procura di Bari contesta a Fitto e ad alcuni dirigenti regionali anche il reato di falso. E falsa sarebbe anche la delibera dell'Agenzia regionale per la sanità del 25 maggio 2004, nella parte in cui si sostiene che le 11 Rsa erano già pronte (alcune di queste sono state inaugurate un anno dopo). Insomma, quando a novembre 2004 la Tosinvest vince quella che i magistrati definiscono "una sorta di concessione", la gara di appalto sarà anche formalmente regolare, ma il processo politico-amministrativo che ne sta a monte appare viziato da due falsi. All'epoca, solo la Cgil locale e Rifondazione comunista protestarono duramente. Ma un anno dopo, Nichi Vendola incentrò tutta la sua campagna elettorale su quel piano sanitario. E vinse. Secondo: contribuire La sanità costa, la politica pure. Nei mesi che precedono le elezioni del 3 aprile 2004, La Puglia prima di tutto raccoglie ufficialmente 1.277.600 euro: ben 300 mila arrivano, direttamente o indirettamente, da società del gruppo Angelucci. Un gruppo che controlla non solo una ventina di cliniche (tra Puglia, Abruzzo e Lazio), ma anche due giornali politicamente distanti tra loro come "Libero" e "Il Riformista", e che in passato ha dato una mano fondamentale al salvataggio finanziario dei Ds. Dopo il voto, servono altri soldi. Fitto e il suo tesoriere, il commercialista leccese Aurelio Filippi, bussano ancora alla porta degli Angelucci. E nel giro di un mese, sui conti del movimento, dalla galassia Tosinvest arrivano altri 200 mila euro. Secondo l'accusa, Tosinvest voleva ampliare la convenzione ad altre quattro cliniche. Fitto si adopera per l'estensione pur essendo in carica solo per la gestione ordinaria, ma i dirigenti regionali si oppongono per paura di commettere reati. "Tutti contributi registrati regolarmente", si è difeso Giampaolo Angelucci davanti al gip di Bari, dove si è presentato con un pool di principi del Foro che spazia da Franco Coppi, storico legale di Giulio Andreotti, al senatore diessino Guido Calvi (legale anche di Cesare Geronzi, nella cui Capitalia gli Angelucci hanno una quota del 2 per cento). Terzo: confondere. Saranno tutti contributi "registrati", ma dei 500 mila euro usciti dalla galassia Angelucci, almeno 200 mila seguono un percorso tortuoso: passano con due distinte operazioni attraverso l'Udc calabrese e l'Udc nazionale. La mattina del 18 marzo 2005, la Procura di Bari intercetta un sms un po' criptico sul telefonino di Fitto: "Da Calabria ok1". Il mittente è il fidato Filippi, nel cui studio verranno poi sequestrati tutti i bonifici. I pm baresi ricostruiscono così una girandola curiosa. Il 2 marzo 2005 avvengono tre operazioni: sui conti della segreteria amministrativa dell'Udc calabrese arrivano 40 mila euro da Tosinvest Servizi, 40 mila da Tosinvest Immobiliare e 20 mila da Giada srl (sempre gruppo Angelucci). Il 18 marzo, giorno del messaggino in codice, dalla filiale Carime di Rogliano (in provincia di Cosenza) partono 100 mila euro diretti al conto di La Puglia prima di tutto. L'ordinante è Franco Ambrogio, all'epoca segretario amministrativo dell'Udc calabrese, e sulla causale è scritto: "Bonifico a vostro favore da Udc, segreteria amministrativa Calabria, erogazione liberale ex articolo 6 legge 2 del 1997", ovvero la legge che regola il finanziamento ai partiti. Ambrogio ha spiegato che nel 2005 l'Udc pugliese era commissariata ed era stata affidata al senatore Gino Trematerra, che guidava il partito anche in Calabria. Al di là della confusione gestionale tra una federazione locale e l'altra, i pm non hanno ancora capito che c'entra l'Udc con l'azzurro Fitto. Anche perché altri 100 mila euro degli Angelucci sono transitati da un conto romano del Banco di Napoli, intestato all'Udc nazionale. E qui il doppio incarico di Trematerra non soccorre. Ma neppure Giampaolo Angelucci, che ai magistrati ha detto di non sapere come quei 200 mila euro siano finiti a Fitto: lui credeva sinceramente di averli dati al partito di Lorenzo Cesa. Ad aggiungere un ulteriore tocco di bizzarria all'intera vicenda c'è anche una coincidenza temporale. A cavallo delle elezioni e di quei versamenti, Fitto fu costretto a smentire due volte un suo imminente trasloco nell'Udc (11 marzo e 9 aprile 2005): "Non so da dove nascano queste voci". A traslocare, evidentemente, erano solo i soldi. E in direzione inversa. Quarto: spiare Nei prossimi giorni i deputati dovranno decidere se autorizzare l'arresto di Fitto. L'onorevole azzurro, prima di rispondere nel merito delle accuse, ha deciso di studiarsi tutte le carte. Ma si è già detto indignato "da quelle 150 mila intercettazioni" che ha dovuto subire. Una difesa abile, perché in Parlamento cresce di giorno in giorno un fronte trasversale anti-intercettazioni, guidato dall'ex giornalista Antonio Polito. Ai tempi del duello Fitto-Vendola, Polito dirigeva "Il Riformista" e per schernire una candidatura che giudicava estremista scolpì una promessa impegnativa: "Se Vendola vince, io mi faccio monaco". "L'estremista" ha vinto, ma Polito si è fatto senatore della Margherita e oggi è il primo firmatario di un disegno di legge che dovrebbe limitare l'uso delle intercettazioni. In questo clima, è facile prevedere che intanto le Camere stopperanno i magistrati baresi. I quali, pochi lo sanno, con la privacy hanno già i loro problemi. Giusto il mese scorso, la Procura di Lecce ha rinviato a giudizio il loro ex collega Piero Sabatelli, accusato di aver passato notizie riservate ad alcuni indagati dell'inchiesta-madre di quella che oggi tocca Angelucci e Fitto, ovvero l'indagine sugli appalti per le pulizie negli ospedali pugliesi (anche qui, l'ex governatore è indagato). Nell'inchiesta sulla fuga di notizie sono stati sentiti perfino alcuni funzionari dei servizi segreti di stanza a Roma, ai quali si erano rivolti alcuni indagati. Insomma, se proprio la si vuol mettere su questo piano, si può dire che a Bari partirono per intercettare e furono intercettati.
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...ho ripescato e riproposto l'articolo su Fitto "sparito" dal blog; ora spero che, just in case, qualche Tafano mi porti la frutta in cella...
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