I misteri della fisica teorica: 3. La fola dei “buchi neri”
(a cura di Charly Brown, alias Luciano Rota)
Così come abbiamo visto nel primo articolo di questa serie, secondo la teoria del Big Bang, l’universo sarebbe originato da una ciclopica esplosione, presumibilmente di un buco nero, dove tutta la materia universale era precedentemente andata concentrandosi. A seguito di questa esplosione tutta la materia cosmica, schizzando in tutte le direzioni si sarebbe condensata in galassie e sistemi planetari.
Soffermiamoci un istante su questo argomento. I buchi neri e la loro origine:
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La teoria dei buchi neri fu enunciata dal fisico americano Robert Oppenheimer negl’anni direttamente successivi alla seconda guerra mondiale. Ma le radici di questa teoria dobbiamo ricercarle più indietro ed esattamente nel 1928, quando ad un brillante fisico di origine indiana, Subrahmanyan Chandrasekhar (premio Nobel per la fisica nel 1985) venne in mente di confrontare una delle conclusioni della teoria Generale della Relatività di Einstein, con quelle del fisico austriaco Wolfgang Pauli, a riguardo del suo Principio di Esclusione. Vedrò qui di seguito di darne un accenno sintetico e comprensibile:
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La teoria Generale della Relatività esclude la possibilità che la somma della velocità tra particelle, possa superare la velocità della luce. In altri termini: ponendo in relazione due particelle di una medesima massa, la somma delle loro rispettive velocità non può mai dare come risultato una grandezza superiore a quella intesa col simbolo “c” ( il simbolo della velocità della luce).
Wolfgang Pauli, del canto suo, stabilì che una massa stellare contiene la sua tendenza implosiva ad opera della forza di gravità, aumentando la velocità della particelle. Questo aumento di velocità è ovviamente proporzionale alla spinta implosiva: più la massa è grande, tanto è più grande la tendenza a concentrarsi in se stessa e per conseguenza, tanto più velocemente si muovono le particelle per compensare questa spinta e trasformarla in equilibrio.
Il calcolo che Chandrasekhar fece, portò come sorprendente risultato che, applicando la regola della Relatività Generale di cui sopra al principio di Pauli, una stella “fredda” delle dimensioni di una volta e mezza quella del nostro Sole, non potendo superare questo limite di velocità tra particelle, non sarebbe stata in grado di compensare la spinta implosiva imposta dalla gravità e inizierebbe necessariamente a comprimersi su se stessa. Perché ?
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Anche senza bisogno di ricorrere a tecnicismi matematici, intesi peraltro a stabilire il limite esatto entro cui la consistenza di una massa stellare comincia a concentrarsi senza incontrare più opposizione, risulta ovvio che, in conseguenza del fatto che se una massa stellare si mantiene in equilibrio aumentando la velocità delle particelle che la compongono, “nella stessa misura” con cui viene compressa, nel momento in cui la compressione aumenta, incontrando un “limite di velocità” imposto dalla Relatività Generale, questa non sarà più evidentemente in grado di aumentare la velocità delle particelle “nella stessa misura” con cui viene compressa.
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Dal 1928 fino al secondo dopoguerra, questi calcoli vennero tenuti nel cassetto in attesa di una soluzione sostenibile. Questa arrivò, come già detto, ad opera di Oppenheimer, che da buon diplomatico qual’era, trovò la soluzione per salvare la capra di Einstein ed i cavoli di Chandrasekhar, proponendo un ipotesi che prese in seguito il nome di “teoria dei buchi neri”. Vediamo come viene intesa:
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non si nega che una stella delle dimensioni sopra accennate, superato il limite Chanrdrasekhar cominci a concentrarsi su se stessa. Non si nega peraltro che, la somma delle velocità fra particelle all’interno di essa non superi mai quella della velocità della luce….però applichiamo a queste premesse il principio einsteiniano secondo cui i campi magnetici che trasportano le frequenze d’onda vengano incurvate per effetto della gravità e ipotizziamo che una massa in concentrazione abnorme, sia in grado di incurvare detti campi, così che le frequenze emanate ritornano alla fonte. Insomma, una stella trasformatasi per abnorme concentrazione, in un buco nero non dovrebbe essere in grado di far sortire, se non per un breve tratto, nessuna delle radiazioni che emette. Né quelle ottiche, né ultraviolette, né X e neppure gamma. Ecco perché un buco nero non si può vedere né percepire in alcun modo. Vediamo ora a riguardo delle radiazioni X. Queste emanazioni che noi percepiamo, provengono da zone dell’universo in cui non si osserva nulla di otticamente percepibile. Per dirla in termini spiccioli: non si riesce a capire quale sia la fonte che le emette. Si ipotizza allora che siano buchi neri. Ma come è possibile allora? Abbiamo appena detto che un buco nero trattiene tutte le radiazioni che emette, quindi anche quelle X . Allora deve esistere un’altra spiegazione. Appunto, eccola: ad un buco nero, a causa della sua altissima concentrazione materiale, viene attribuita una forza di gravità incredibilmente elevata. Esso sarebbe in grado di sottrarre o meglio risucchiare violentemente materia dalle altre stelle più vicine. Questo risucchio di materia provocherebbe dei vortici violenti nello spazio da cui scaturiscono le emanazioni in frequenza X.
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Ma ora vediamo i “ma” inerenti a questa versione intesa a conciliare i calcoli di Eintein con quelli di Chandrasekhar. Partiamo dall’ultima, quella che riguarda i risucchi di materia ad opera dei buchi neri:
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prendiamo una balla di piume d’oca della massa di 1 kg. Ora la comprimiamo fino a fare assumere a questa il volume di una pallina di ping-pong. Quale sarà la sua massa ora? Sempre 1 Kg., è ovvio. Prendiamo ora una massa stellare di x miliardi di tonnellate e la riduciamo alle dimensioni di una mongolfiera. Quale sarà la sua massa ora? La stessa.
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I rapporti gravitazionali tra corpi sono determinati dalla massa di questi e dalla distanza a cui reciprocamente si trovano. Il volume non ha ruolo in questa relazione. Se una massa non aumenta concretamente la sua consistenza, non aumenta neppure il suo influsso gravitazionale sulle altre masse circostanti. Sarebbe come dire che, se domani il nostro bel Sole si concentrasse fino a diventare un buco nero, non avrebbe alcun influsso sui rapporti gravitazionali innescati con i suoi pianeti.
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Se parliamo poi di altre stelle, la cui più vicina si trova a 4 anni luce dal Sole, possiamo immaginare che l’influenza di quest’ultimo sarebbe quella che è ora: una misura vicino a zero. L’idea che un buco nero sia in grado di risucchiare materia da altre stelle, su distanze che in ogni caso si misurano in anni luce, sotto quest’aspetto inequivocabile della fisica newtoniana, suona né più né meno di una celia.
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C’è un altro “ma” ad intralciare questa teoria: il fatto che se un buco nero esistesse, dovrebbe esistere secondo i canoni matematici con cui nasce e si trasforma. Diciamo quindi, che se un buco nero esistesse, così come lo s’intende nascere, non potrebbe mai ed in alcun modo esplodere. Questo punto, che cercherò di rendere esplicito qui di seguito, si riallaccia con la teoria del Big Bang, tema di cui abbiamo trattato nel primo articolo di questa serie.
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Vediamo in primo luogo di richiamare le ragioni che fanno di una stella delle dimensioni di una volta e mezza quella del Sole, un buco nero: il limite di velocità fra particelle, abbiamo detto. Un buco nero diventa tale, proprio per aver raggiunto il limite massimo di velocità tra le particelle concesso dalla Relatività Generale. Se potesse superarlo è evidente che questa stella non avrebbe nessuna necessità di diventare un buco nero, poiché sarebbe in grado di controbilanciare la forza implosiva della gravità aumentando nella stessa misura la velocità delle sue particelle. Invece è diventata un buco nero proprio perché ha già raggiunto questo limite insuperabile. Ma per esplodere, il discorso diventa più complesso: il concetto di esplosione si riallaccia inoppugnabilmente con un processo di violenta espansione della materia che compone l’oggetto che esplode: un’esplosione si produce a causa di un improvviso, violento surriscaldamento che accelera la velocità delle particelle. Ma ora dobbiamo chiederci, se la velocità di queste particelle ha già raggiunto il limite massimo a loro concesso, come potrebbero venire accelerate ulteriormente per ottenere un’esplosione? Se ci fosse una risposta a questa domanda, sarei felice di conoscerla. Nel frattempo, però, fomentiamo forti dubbi sulla loro esistenza.
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Ecco che alla luce di quanto sopra esposto e sempre per rigore di logica, l’unica argomentazione a sostegno dell’esistenza dei buchi neri sarebbe soltanto quella riguardante il fatto che non possano venire percepiti in nessun modo. Così come potremmo convalidare l’ipotesi che le carote fanno bene alla vista, deducendolo dal fatto che nessuno ha mai visto un coniglio con gl’occhiali. Conducendo tutto ciò in concretezza, dovremmo giungere alla conclusione che i calcoli inerenti il limite Chandrasekhar, si pongono in evidente contraddizione con le conclusioni concernenti la Relatività Generale.
(N.B.: a causa di incompatibilità di formati col programma, alcune foto di “buchi neri” fornite da Charly sono state da me arbitrariamente sostituite con altre foto tratte da siti astronomici – e non…)
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