Il Cavaliere solitario
di Claudio Rinaldi – L’Espresso
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L'opposizione gli va stretta. Teme una Grande Coalizione. E non si fida di Fini e Casini. Meglio un governo tecnico. Sognando di tornare presto alle urne
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Le ultime due estati Silvio Berlusconi le ha dedicate al rimboschimento del cranio. Il primo trapianto di capelli risale al 5 agosto 2004; il secondo intervento è stato effettuato esattamente un anno dopo, non si sa se per una coincidenza fortuita o a scopo celebrativo. Ma erano altri tempi. Il Cavaliere faceva il capo del governo, ciò che gli assicurava un buonumore permanente. Sguazzava fra i Grandi della Terra come un labrador in uno stagno. La sua vita era molto semplice da gestire: un unico obiettivo, rimanere a Palazzo Chigi il più a lungo possibile, e spazi illimitati per le frivolezze. Lo stato di grazia, però, è finito la sera del 10 aprile. Perse le elezioni per un pugno di voti, cioè nel modo più frustrante, Berlusconi ha dovuto lasciare il potere. E si è trovato alle prese con il prosaico problema del che fare; a un'età, 70 anni, nella quale assegnarsi una nuova missione non è facile.
Per l'ex premier l'agosto 2006 è diversissimo dai precedenti. In sintesi: meno relax, più pensieri. E soprattutto più manovre, palesi e occulte. In questi giorni l'uomo è una mina vagante, non il re dei vacanzieri con una bandana per corona. I politici e gli osservatori spiano i suoi movimenti con ansia. Captano ogni sua battuta, anche le più insulse; lieti, forse, di poter continuare a pendere dalle sue labbra. Si chiedono che cosa dirà al meeting di Comunione e liberazione il 25 agosto, che segnali lancerà alla festa della Margherita il 5 settembre. Annuncerà un'opposizione feroce al governo Prodi, tipo quella praticata finora? O rispolvererà la proposta di dialogo alla quale ha accennato il 2 agosto alla Camera? Se questo è il giallo dell'estate, se davvero le sorti della Repubblica sono appese agli umori di un singolo cittadino, sia pure il più amato e insieme il più detestato, allora conviene cercare di ricostruire a che punto è oggi Berlusconi. Nei fatti, oltre che nelle pigre chiacchiere di stagione. A costo di scoprire che il suo, ormai, è un caso umano prima che politico...
1. Batoste a raffica In principio era la sconfitta. Quei maledetti 25 mila voti in meno alle elezioni. Il Cavaliere di Ferragosto è un Cavaliere disarcionato, anche se molti si rifiutano di ammetterlo. Non soltanto perché è stato battuto da Romano Prodi nella corsa alla premiership, ma anche perché rispetto al 2001 il suo partito ha perso quasi il 6 per cento dei consensi: una débâcle il cui unico precedente, per le dimensioni, era il crollo della Dc di Ciriaco De Mita nel 1983. La conseguenza è che Forza Italia non è più la padrona del centro-destra, mentre come leader della coalizione Berlusconi non è più accettato da tutti. Peggio: la Casa delle libertà ha cessato di funzionare da edificio comune, come dimostra la perdurante impossibilità di convocare un qualche vertice degli inquilini. Dopo le politiche sono andate male anche le amministrative, e malissimo il referendum sulla riforma costituzionale. Nel frattempo sono state perse tutte le battaglie all'interno delle istituzioni, dove Forza Italia ha mandato allo sbaraglio candidati poco credibili: il funzionariale Gianni Letta ha fallito la scalata al Quirinale, il decrepito Giulio Andreotti la conquista di Palazzo Madama.
2. Nessun ritiro Dopo quattro mesi di fiaschi, un altro imprenditore prestato alla politica avrebbe valutato l'ipotesi di un ritorno al mestiere originario. Oppure si sarebbe concesso un confortevole pensionamento. Ma Berlusconi no: lo smisurato orgoglio gli proibisce qualsiasi passo indietro. Non sopporta di abbandonare una partita nel momento in cui a chiunque è lecito dargli del perdente. "Non posso permettermi di chiudere la mia avventura umana in questo modo", ha confessato candidamente il 13 luglio. E la sua voglia di insistere è tanto forte da fargli smarrire il senso del ridicolo. Come quando ha spedito ai capi di governo stranieri, il 16 maggio, una lettera in cui vantava il suo "personale successo" alle elezioni; come quando, secondo 'Libero' del 12 giugno, ha prenotato il suo nuovo aereo, un Boeing 737 da 33 milioni di dollari che ha il compito di imitare l'Air Force One dell'amico George W. Bush.
3. Ma all'opposizione no. Ancora in politica, dunque. Sempre in politica. Ma in quale veste? Per arrivare dove? Nonostante certi proclami incendiari, è da escludere che Berlusconi intenda condurre per tutta la XV legislatura un'opposizione pura e dura. Non ci pensa nemmeno. È troppo anziano per infliggersi una nuova "traversata del deserto", definizione appioppata alla sua lotta contro i governi dell'Ulivo fra il 1996 e il 2001. "Io fatico a fare l'oppositore", ha dichiarato in un raptus di sincerità il 28 luglio. Non essere lui a fare baldoria a Palazzo Chigi con i calciatori reduci dai Mondiali deve avergli causato sofferenze atroci; e così l'impossibilità di prendere parte agli incontri internazionali, dai G8 in giù, che amava usare a mo' di palcoscenici per i suoi show. Anche le decisioni che ha allo studio per quanto riguarda Forza Italia sono emblematiche. Se Berlusconi pensasse di dover rimanere all'opposizione per un quinquennio o quasi, attrezzerebbe il partito alla bisogna. Rivolterebbe il suo stato maggiore come un calzino. Invece no: si tiene stretti i coordinatori Sandro Bondi e Fabrizio Cicchitto, una coppia specializzata nel conseguire risultati disastrosi. Quanto alle new entries si limita a vagheggiare la nomina di un portavoce telegenico, la bella Mara Carfagna che ha voluto sui banchi di Montecitorio.
4. Al voto al voto! L'unica vera aspirazione di Berlusconi, da quando gli tocca vestire i panni dello sconfitto, è il ritorno alle urne quanto prima. Vuole lavare la macchia del 10 aprile, e nella sua presunzione è convinto che per riuscirci gli basti sparare nuove sventagliate di comizi. Un po' alla volta, però, si è reso conto che la sua speranza di ottenere subito lo scioglimento delle Camere era ingenua. La denuncia dei presunti brogli elettorali, con la verifica delle schede annullate in 60 mila seggi sparsi per il paese, si è rivelata un'arma pateticamente inefficace. Né sono andati a buon fine i rozzi tentativi di provocare in quattro e quattr'otto la caduta di Prodi in Parlamento: Pier Ferdinando Casini ha avuto gioco facile, il 4 agosto, nello sfottere i fautori di un "ostruzionismo sterile". Non c'è stata alcuna spallata, insomma. Ragione per cui il Cavaliere è stato costretto a cercare un modo più soft di accorciare la vita della legislatura. Ma quale?
5. Datemi un tecnico La soluzione di ripiego è stata individuata in una formula ibrida, il cosiddetto 'governo tecnico di larghe intese'. Prodi verrebbe sostituito da un qualche professore indipendente; ma il nuovo esecutivo sarebbe politicamente forte, godendo dell'appoggio di pressoché tutto il Parlamento. E durerebbe "un anno e mezzo o due", ha precisato Berlusconi, cioè "il tempo che serve almeno a riscrivere la legge elettorale". La proposta, tuttavia, non ha nulla a che vedere con la Grande Coalizione alla tedesca che molti seguitano a citare. Quella era ed è un accordo di ampio respiro stipulato da due partiti seri per affrontare i problemi strutturali dell'economia e della società; il governo tecnico caro all'ex premier, al contrario, è un'operazione di basso profilo volta soltanto a propiziare le elezioni anticipate. Uno squallido inciucio a termine, nel quale ciascun partecipante anela ad andarsene il prima possibile per la sua strada. Del resto non è una sorpresa che a Berlusconi l'idea di un'autentica Grande Coalizione faccia accapponare la pelle. Se in Italia si facesse come in Germania, lui dovrebbe rinunciare alle quotidiane invettive contro la sinistra; e soprattutto dovrebbe sparire nell'ombra come il suo omologo Gerhard Schröder, che dopo parecchi anni di governo ha perso le elezioni di misura.
6. Con le mani in pasta Per non farsi ingannare dal giochino estivo di Berlusconi, occorre tenere presenti le caratteristiche basilari dell'uomo. Il quale, in politica come negli affari, è sempre stato un pigliatutto. Soltanto in due casi accetta di collaborare con gli altri: quando ha bisogno di loro per non sentirsi messo ai margini, condizione per lui intollerabile, e quando attraverso un'intesa temporanea si ripromette di fregarli. Nel febbraio 1996 disse di sì a un governissimo presieduto da Antonio Maccanico, progetto poi abortito, perché non vedeva altri modi di sottrarsi all'isolamento in cui il governo Dini l'aveva cacciato; un anno dopo si imbarcò giulivamente nella Bicamerale per le riforme perché sapeva che l'esibita disponibilità al dialogo avrebbe indebolito il suo avversario Massimo D'Alema, non lui. L'unico metro con cui il capo di Forza Italia misura le diverse scelte possibili è quello del suo individuale tornaconto. Prenderlo in parola non ha senso, né quando minaccia tuoni e fulmini né quando simula buona volontà: per lui tutto va bene, purché gli consenta di tenere le mani in pasta. Dopo Ferragosto non proverà il minimo imbarazzo nel prospettare un patto fra gentiluomini agli stessi personaggi che ha appena accusato, fremente di sdegno, di voler instaurare nientemeno che "uno Stato di polizia tributaria".
7. Alleati in dubbio Nel centro-destra, Gianfranco Fini ha perfettamente capito che il suo ingombrante alleato sta lavorando per l'inciucio a termine. E cerca di ostacolarlo come può: a volte esasperando i toni della polemica con l'Unione, fino a evocare lo spettro di una resa dei conti autunnale nelle piazze, a volte invece offrendosi lui stesso quale interlocutore privilegiato del governo. Al pari di Casini, il presidente di An non ha alcuna intenzione di lasciare l'iniziativa a Berlusconi. Il suo dinamismo verbale conferma che la Casa delle libertà vista negli anni scorsi, un blocco quasi monolitico, non esiste più. Ce n'è abbastanza perché anche gli operatori dell'informazione, prima o poi, superino l'abitudine di registrare tutte le mosse e mossette del Cavaliere con la religiosa meticolosità che si deve alle gesta eroiche di un condottiero senza uguali.
8. Avversari in tilt L'estrema volatilità delle convinzioni politiche di Berlusconi, unita alla sua smodata voglia di primeggiare, dovrebbe dissuadere i big del centro-sinistra dal dargli retta. Chi si ostina a dialogare proprio con lui, anziché con gli altri protagonisti dell'opposizione, commette un errore esiziale: lo stesso di D'Alema nel 1996-97. Allora la conseguenza fu di ributtare la Lega, che a fatica si era resa autonoma dal Polo, in braccio al Cavaliere; oggi si rischia di ripetere l'esperienza con l'Udc. Per questo la recente concessione di un indulto, al di là di qualsiasi considerazione di merito, è stata da parte dell'Unione un atto di stupidità politica. Si è concretizzata con modalità autolesionistiche. Tutto sarebbe stato accettabile, per Prodi & C., ma non l'appoggio decisivo di Forza Italia a un provvedimento così mal congegnato e impopolare.
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