Relatività delle misure: 2. Tempo
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Diversamente da quanto previsto la scorsa settimana, dove era stata annunciata una seconda parte dedicata alla misura “velocità”, ho ritenuto opportuno tralasciarla, a vantaggio di una maggiore snellezza e comprensione di tutte le misure che riguardano le vigenti teorie fisiche e cosmologiche. In questo paragrafo verrà trattata la misura “tempo”, una misura che non solo in Fisica, ma anche nella nostra vita quotidiana, costituisce un fattore di rilevante importanza.
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Ricordo, inoltre, che il fine di questo lavoro, nel suo complesso, non è puramente quello di mettere il dito sulle contraddizioni che spesso si verificano nella concezione delle varie misure, tanto quello di arrivare ad una ipotesi concretamente alternativa a quella della Relatività di Einstein, che verrà enunciata a seguito di una maggiore chiarezza riguardo gli elementi che ne fanno parte.
Grazie per la vostra attenzione.
La misura “tempo” è una misura relativa. Su questo punto ci troviamo tutti d’accordo. Ciò che ci resta da stabilire è a che cosa essa sia relativa. Secondo Einstein, la misura tempo è da considerarsi relativa alla velocità con cui un oggetto viaggia. Vediamolo in termini più specifici: un orologio che si muove ad una velocità x, segna un tempo diverso da uno che viaggia a n volte x. Quest’ultimo dovrebbe segnare un cammino più lento, rispetto al primo. Così come il “gloria” di tutti i salmi che si riferiscono a questa teoria, al raggiungimento della velocità della luce, ogni misura si estende a infinito: l’orologio si ferma. Non perché ci siamo dimenticati di caricarlo o perché le batterie si siano scaricate. Si ferma, perché il tempo non cammina più. Semplicemente perché alla velocità della luce un secondo (o qualunque altra misura unitaria di tempo) diventa infinito.
La relatività del tempo – sempre secondo Einstein – oltre che in funzione della velocità dell’oggetto in moto, è anche in funzione della forza di gravità. Il tempo, insomma, subisce una contrazione direttamente proporzionale all’intensità gravitazionale. Il risultato è che in presenza di una massa consistente, il tempo trascorre più lentamente che non laddove la gravità ha un’intensità minore.
Intorno agli anni trenta vennero effettuati esperimenti diretti a dimostrare la validità della teoria di cui sopra. Orologi elettrici d’identica fattura vennero posti a differenti altitudini, in modo tale da essere sottoposti a differente intensità gravitazionale. Il risultato di questi esperimenti lasciò molti dubbi e nessuna certezza. Attualmente, in Australia, si stanno costruendo orologi elettronici di grandissima precisione. Uno di questi verrà mandato in orbita, in quasi assoluta assenza di gravità. L’altro resterà sulla crosta del nostro pianeta.
Gl’ideatori di questo progetto si propongono di dimostrare che l’orologio in orbita, camminerà più velocemente di quello rimasto a terra.
In primo luogo dobbiamo osservare che un orologio, a differenza di una bilancia o di un termometro, che vengono azionati col contributo attivo del fenomeno da misurare, funziona grazie ad un meccanismo proprio, sincronizzato sulla rotazione terrestre. Senza dubbio di smentita, potremmo affermare che non esistono due orologi in questo mondo che segnino (sulla base del milionesimo di secondo) esattamente lo stesso tempo. Questo non significa che ogni orologio viva in una propria dimensione temporale, diversa da tutte le altre. Significa molto banalmente che i meccanismi, per quanto perfezionati, non sono mai perfetti e che pertanto essi sono sensibili a variazioni ambientali.
E’ sperimentalmente dato per certo che la forza di gravità agisce, non solo come universalmente risaputo, su ogni oggetto dotato di massa, ma anche sull’elettricità. In considerazione di ciò non dovrebbe stupire che due orologi elettronici calibrati sulla superficie terrestre, divergano tra loro, quando uno di questi venga disposto in una zona dove la forza di gravità sia notevolmente meno intensa rispetto all’altro.
Questi esperimenti, a dispetto della loro presunta perfezione, anche qualora confermassero le aspettative (cosa di cui non dovremmo stupirci) non avvalleranno la teoria della relatività del tempo, bensì quella della relatività degli orologi.
Stabilita la necessità di non confondere il valore “tempo” con lo strumento “orologio”, potremmo ora chiederci cosa sia in effetti quello che noi chiamiamo “tempo”.
In Fisica “tempo” è il risultato che si ottiene ponendo in rapporto una porzione di spazio, con una unità di moto. Quest’ultima però, per venire espressa quantitativamente si deve rivalere di una misura di tempo. Più chiaramente: la nostra misura unitaria di moto è il chilometro/ora. Unità di moto è ciò che generalmente chiamiamo “velocità”. Per esprimere quantitativamente il concetto di “velocità” dobbiamo rifarci ad un termine riferito ad una unità di spazio (chilometro) e ad una unità di tempo (ora).
Analizzando ulteriormente il concetto di “ora” ci troviamo a constatare che detta misura di tempo altro non è che il rapporto tra un’unità di spazio ed una di velocità: un’ora, altro non è che 1/24esimo dello spazio coperto da in punto qualunque sulla superficie del nostro pianta alla velocità costante di rotazione attorno al proprio asse, per compiere una rotazione completa. Anche considerando che un punto posto sull’ equatore ovviamente viaggia ad una velocità maggiore di uno posto sul circolo polare artico, quest’ultimo percorre, per compiere una rotazione completa, uno spazio inferiore dell’altro. La relazione tra questi due dati (spazio e velocità) riporta, per saldo, sempre allo stesso risultato di tempo: un ora, all’equatore corrisponde esattamente ad un’ora al circolo polare, poiché, anche se le due equazioni si affidano a dati diversi di spazio e di velocità il risultato del rapporto resta invariato.
Differentemente possiamo senza dubbio supporre che nel paleolitico, un’ora avesse una durata più breve di quella che conosciamo oggi. Se consideriamo la perdita del momento angolare ( = intensità di rotazione) che i corpi orbitanti subiscono a seguito dell’attrazione reciproca, è possibile stabilire che il nostro pianeta nel paleolitico avesse una velocità di rotazione maggiore di quella attuale e per conseguenza un’ora più breve.
Nel senso sopra esposto và peraltro inteso il concetto di “relatività del tempo”, che non ha nulla a che fare con “dimensioni temporali” connesse con la velocità cui si viaggia, bensì ai rapporti spazio/velocità a cui si attiene.
Un orologio non è uno strumento di misurazione, ma di orientamento temporale. Un buon orologio consiste in un oggetto meccanico calibrato con la massima precisione concessa, sul rapporto spazio/velocità di un punto sulla superficie terrestre. Esso non funziona con la forza del “tempo”, ma attraverso un meccanismo ed una energia autonomi. Anche immaginando di poter costruire un orologio di precisione assoluta, questo, fra qualche milione di anni, si troverebbe a segnare un tempo diverso da quello reale. Perché ? Ecco: esso non tiene conto della perdita costante di momento angolare della Terra, e del conseguente fatto che un’ora diventi sempre più lunga.
Il concetto di “eterno”, che si collega a quello di “infinito”, riferito al valore “tempo”, non è da considerarsi una entità reale: noi viviamo di porzioni di infinito, riferiti alla spazio e di porzioni di eterno, riferendoci al tempo. Oggettivamente, invece, dovremmo considerare il tempo non in termini di qualcosa che “fu” o che “sarà”, bensì semplicemente come qualcosa che “è”. La sensazione del “passare” del tempo è evidentemente relativa alla nostra esistenza soggettiva, con particolare riguardo alla essenziale presenza di una memoria. Senza memoria, soggettivamente, non esiste tempo. Dieci anni vissuti intensamente e con una buona memoria dei fatti occorsi, può conceder a chi li ha vissuti, la sensazione di una piccola eternità. Dieci anni in coma profondo, concederebbero al risveglio di chi li ha vissuti, la sensazione di chi riaprisse gli occhi dopo un pennichella pomeridiana.
Ma come si arriva in Fisica al valore di t (= tempo). Ebbene, come già detto, t deriva dalla interpolazione del valore spazio con quello di velocità. Tanto per esemplificare: più un oggetto viaggia velocemente, tanto meno tempo questo impiega a coprire una certa porzione di spazio. Ma anche: più il tratto di spazio è breve, tanto meno tempo un oggetto impiega a coprirlo ad una certa velocità. Il rapporto, comunque viene espresso nella seguente formula: t= s/v.
Nella prassi algebrica, è illecito interpolare valori che si riferiscano a oggetti di natura diversa. Applicato all’ortofrutticola, questo principio, ci porta a concepire il fatto che non sia corretto dividere 12 banane per 6 pomodori. Anche se come risultato numerico otteniamo 2, ci rimarrebbe l’incombenza di stabilire due cosa? “Banadori” ? “Pomonane” ?… Insomma, questo risultato, qualora venisse ottenuto per una necessità nostra, non ci fornirebbe nulla di reale, ma semplicemente un’indicazione astratta. La prassi d’interpolare pomodori con banane, tanto per dire, viene usata in molteplici campi scientifici. Geograficamente, per esempio, è nota la consuetudine di dividere l’estensione territoriale (dato concreto) per il numero degli abitanti (dato concreto) per ottenere la misura di “densità”( dato astratto). Il concetto di densità non esiste per sé, come elemento reale, ma come pura indicazione di orientamento statistico, un dato, insomma, che ha senso soltanto attraverso l’interpretazione che ne si fa e che ci serve per paragonare lo spazio vitale dei cittadini di un Paese, in rapporto con quello di un altro.
Ciò che la geografia fa del prodotto “densità”, fa la fisica del prodotto “tempo”: come detto quest’ultimo è il risultato dell’interpolazione tra spazio (dato concreto) e intensità del moto (dato concreto). Ciò che scaturisce da questa relazione è necessariamente un dato astratto, che noi abbiamo chiamato “tempo” e che l’ abitudine radicata di considerarlo il metro base della nostra esistenza, ci ha fatto dimenticare che questo è a tutti gli effetti una semplice convenzione. A questo si aggiunge il fatto, non meno determinante, che il senso comune e la scienza, continuano a confondere il concetto di “tempo”con quello di “orologio”: quando guardiamo il nostro orologio da polso, osserviamo che un’ora, in ultima analisi, è il percorso che la punta della lancetta lunga percorre ad una certa velocità attorno al quadrante e che quest’ultima ovviamente è relativa all’ampiezza del quadrante stesso in cui la lancetta si muove. Per saldo, il risultato di questo rapporto (spazio percorso dalla lancetta e velocità di questa) devono riflettere, nel modo più preciso possibile, il rapporto di un punto qualunque sulla superficie terrestre, che percorre 1/24 della rotazione totale, alla velocità che la sua collocazione latitudinale gli compete.
Per concludere, possiamo senza dubbio asserire che t – così come in fisica il valore tempo viene simbolizzato – è, nella realtà delle cose, una misura puramente convenzionale, ottenuta dal rapporto di fattori di natura diversa fra loro e fondata essenzialmente sui ritmi forniti dalla rotazione terrestre (riguardo ore, minuti e secondi) e sulla rivoluzione attorno al sole (riguardo mesi e anni). Un prodotto, anch’esso, che nella nostra realtà individuale è alla stessa stregua del dato densità, sottoposto all’interpretazione che soggettivamente ne si fa. Così vediamo che, per esempio, la percezione del trascorrere di un minuto, per qualcuno che legga un libro avvincente è vistosamente diversa da colui, che col naso sul pentolino, aspetti che l’acqua bolla.
Sotto questa luce appare evidente che una trasposizione in senso relativo di t ( vedi t’ ) concretamente lo si possa ottenere soltanto modificando il fattore di velocità o quello di spazio, nel modello preso in considerazione o addirittura di entrambi i fattori, purché con questa modifica si ottenga un prodotto diverso dal precedente. Altre manipolazioni sulla presunta relatività del tempo, non hanno conseguenza alcuna nel contesto reale. L’unico modo per fermare il tempo, sarebbe quello di fermare il moto o annullare lo spazio, poiché spazio e moto, come pura conseguenza soggettiva, creano in noi l’illusione che chiamiamo tempo.
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