Relatività delle misure: 4.
Energia.
La misura “energia” è
l’ultima delle misure che vengono trattate in questo capitolo. E’ un argomento
piuttosto complesso, teso , in questa sede, a dare un breve cenno di cosa si
s’intenda per energia ed in particolare di “energia cinetica” ed una
spiegazione, per quanto possibile semplificata, della famosa formula
einsteiniana.
E’ mia intenzione, per
la prossima puntata, così come promesso, di presentare l’ipotesi alternativa
alla Teoria della Relatività.
Con il mio più vivo
ringraziamento per tutti coloro che hanno avuto la pazienza e la tenacia di
seguirmi fino a questo punto.
Charly Brown
Per farci un’idea di cosa s’intenda per energia e in cosa
consista, potremmo partire dal concetto base della meccanica dei quanti. Come
già accennato nel primo capitolo di questo saggio, il “quanto” o per esteso il
“quanto energetico” è assunto dalla fisica moderna come l’unità di misura
dell’emanazione energetica. Potremmo chiederci cosa sia l’emanazione energetica
e che ruolo ricopre il “quanto” nel suo contesto. Ebbene, per emanazione
energetica s’intende il potenziale di emissione della materia espresso in una
varietà praticamente infinita di frequenze, che vanno dalle onde lunghe a alle
radiazioni gamma. Per dirla in termini numerici, si va da un’onda al secondo a
circa due miliardi di queste, nella stessa misura di tempo. S’intende che la
varietà di frequenze entro questa scala sia infinita, alla stessa stregua di
come la misura di un metro risulterebbe infinita qualora non fissassimo una
frazione unitaria base con cui suddividerlo. Nel caso dell’emanazione
energetica otterremmo che un qualsiasi pezzo di materia contiene un potenziale
infinito di energia, mentre nel caso del metro, che questo risulterebbe una
misura spaziale infinita.
Un metro, possiamo dividerlo in centimetri o in millimetri o
volendo in micron o milionesimi di micron ecc. , ma alla fine dobbiamo fermare
la nostra corsa verso un infinito irraggiungibile, per determinare una base
fissa di quantità standardizzata, che potremmo chiamare un “quanto spaziale”.
Lo stesso tipo di soluzione che i filosofi atomisti trovarono a proposito della
divisibilità della materia. Tagliamo una stringa e ne otteniamo due più corte,
poi quattro, poi otto ecc. ecc. ma fino a quando…all’infinito? Evidentemente
no. Ad un certo punto dovremmo arrivare ad un groppo indivisibile, che pone
fine ad ulteriori tagliuzzamenti: l’atomo ( dal greco a-tomos = non
tagliabile). Anche se poi le tecniche sviluppate nel secolo scorso hanno
ampliamente travolto questa barriera d’inscindibilità dell’atomo, resta il
fatto che, prima di tuffarsi nell’infinito dovremmo incontrare qualcosa di
concreto, che ci rappresenti il seme o la base palingenetica di tutta la
struttura. E se non c’è concretamente, nel senso che ci è impossibile, per così
dire, fargli la foto, dobbiamo intuirla o eventualmente fissarla
arbitrariamente.
La soluzione di Max Planck, riguardo il “quanto energetico”
rispecchia in tutto e per tutto questa logica: se prendiamo in considerazione
una retta cha va dal valore 1 a quello di 2 miliardi ( tanto è la gamma delle
variazioni di frequenza) e non fissiamo una base standard di frammentazione,
possiamo dividerla in sottomultipli all’infinito. Cosa facciamo allora per
renderla commestibile ai fini di una quantificazione? Semplice: poniamo con una
matita dei punti uguali e adiacenti fra loro su tutto il percorso e proclamiamo
ognuno di questi l’unità di misura assoluta ed indivisibile di tutta la retta.
Che poi, ognuno di questi pacchetti base sia a sua volta divisibile in
sottopacchetti, a questo punto non ce ne importa niente, altrimenti cominciamo
da capo ad annaspare nell’infinito. In termini di concretezza poi, cosa sia un
“quanto” e che dimensioni abbia non c’è nessuno che possa dirlo. In termini di
logica, potremmo dire che un quanto è un grumo di materia da cui scaturiscono
frequenze tanto vicine tra loro, da non essere percepite come differenze, o
meglio, definibili come frequenza unitaria.
Da un’angolazione puramente materiale – quindi non teorica –
possiamo senza dubbio affermare che qualunque unità di materia, quando definita
in termini di massa, non può contenere un potenziale energetico infinito. Allo
stesso modo come una retta che va da uno a due miliardi di unità standardizzate
rappresenta dopotutto una retta finita. Il problema che Planck si trovò di fronte sorgeva proprio da questa
contraddizione: come può una massa materiale finita contenere un potenziale
energetico infinito? L’introduzione della teoria dei quanti risolve egregiamente
questo problema., ma sul piano teorico soltanto.
Ovviamente se consideriamo le onde magnetiche alla stregua delle onde sonore è assolutamente impossibile farci un idea in concreto di che tipo di frammentazione dobbiamo figurarci in rapporto allo stabilire la misura di un quanto. Per dirla in breve: se pensiamo ad un “quanto energetico” come lo descriveremmo ad un nostro amico che non sa cosa sia? Non saremmo in grado di farlo, certamente. Un atomo, possiamo disegnarlo o perfino fargli un monumento a Bruxelles. Un quanto no. Perché? Semplicemente perché un atomo è una struttura materiale definita indirettamente in concreto, mentre un quanto è una pura frazione teorica.
Nel contesto della misura “energia” ( =E )”cercherò qui di
fornire una spiegazione del significato di quella formula che, per numerosi
decenni, quasi una parola magica, ha incantato alcune generazioni: E = mc²
Diciamo in tutta semplicità che, tradotta in linguaggio
laico, starebbe a definire la quantità di misure unitarie di energia cinetica
prodotta da una massa “m” alla
velocità della luce (c) . In altri termini, questa
formula risponde alla domanda: quante unità standardizzate di energia mi
occorrono per portare una massa “m” alla velocità della luce “c”.
Oppure: quante unità di energia sviluppa una massa “m” alla velocità di “c”.
Ma ora ci chiediamo: quale massa può raggiungere la velocità
della luce senza espandersi all’infinito? L’abbiamo già visto: quella dei
fotoni. Che massa ha un fotone? 0, abbiamo già visto anche questo. Ora
sostituiamo il valore di massa del fotone nella formula sopra indicata:
E = 0c² =
0 .
Il risultato di questa sostituzione ci porterebbe a
concludere che l’energia necessaria per portare una massa = 0 alla velocità di “c” , resta sempre = 0. Così come dire che,
l’energia prodotta da una massa 0 alla velocità della luce è sempre = 0
Qualunque altro valore di massa, diverso da 0 , porterebbe questo risultato uguale ad infinito.
Così come è messa, la famosa ed ascetica formula che, per
quasi un secolo, ha rappresentato il simbolo di una mente superiore, si
tradurrebbe in una scarna ed insignificante formuletta dove, in ogni caso, in
tutta la fenomenologia magnetica (leggasi: fenomeni che si verificano alla velocità della luce), E = 0.
Ora, per non essere accusati di superficialità, proviamo ad
approfondire il significato di questa formula, partendo dalle sue origini.
Probabilmente qualcuno avrà pensato che, come nell’aneddoto
della mela di Newton, Einstein, una mattina, abbia incidentalmente messo due
dita nella presa di corrente e fu folgorato da questa luminosa intuizione.
Invece si sbaglia. La formula in questione è tratta dall’elaborazione di
qualcosa che già esisteva in precedenza. Una formula di Newton. In verità egli
calcolò che l’energia necessaria a portare una massa “m” alla velocità “v”, e’
proporzionalmente uguale alla metà del valore di massa per la velocità “v” al
quadrato. Vediamola in simboli:
E= ½mv²
Qui sopra vediamo la sorella maggiore, negletta e
abbandonata a seguito dalla
elaborazione che l’ha trasformata in E = mc² , per i fenomeni di natura
magnetica. Il che non è frutto di intuizione, ma di pura necessità. Ecco:
secondo Newton e la logica corrente, due auto che si scontrano frontalmente
ognuna alla velocità di 100 km/h, hanno un impatto globale equivalen
te a 200
km/h. Ma due particelle che si scontrano ognuna a velocità vicine a quella
della luce, non possono produrre un impatto globale uguale a due volte questa.
Perché? Ci si chiede. Perché la Teoria Generale della Relatività ha stabilito
che la somma delle velocità di due particelle non può mai essere superiore alla
velocità della luce “c”.
Se dovessimo riscrivere in termini classici la formula di Einstein, così come Newton l’avrebbe intesa, dovremmo scriverla così: E = ½m2c² , che e’ in pratica la stessa cosa di E = mc².
Perché tanta gloria per un artifizio matematico allora? La risposta sta qui sopra: perché una velocità di due volte quella della luce non è, nel contesto della Relatività, teoricamente concepibile e così invece come Einstein l’ha riscritta, resta coerente con le premesse della sua teoria.
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