No, non è la BBC Un nuovo approccio al servizio pubblico televisivo sembra
sempre più necessario nel nostro paese: deve garantire ai cittadini
l’accesso a contenuti di interesse pubblico di qualità, la
sostenibilità economica dei servizi e un sistema di regolamentazione
improntato alla trasparenza e all’indipendenza degli organi di governo
da quelli di controllo. Nel delinearlo può essere utile una analisi
dell’esperienza britannica. La televisione degli inglesi Nel Regno Unito, il Communication Act del 2004 definisce i
contenuti del servizio pubblico televisivo e ne regola le modalità di
prestazione all’interno del quadro competitivo del settore. Al
contempo, assegna all’Office of Communications, l’autorità
garante del settore, il compito di condurre regolari analisi sullo
stato del mercato, con la facoltà di effettuare interventi ex-ante qualora
individuasse problemi legati alla concorrenza, nonché di segnalare
eventuali necessità di cambiamenti strutturali, da effettuarsi con
strumento legislativo e in ottemperanza al quadro normativo europeo. Il ruolo del servizio pubblico televisivo Il mondo digitale L’avvento del digitale deve essere un’opportunità per consentire ai
cittadini di accedere a una gamma più ampia di contenuti e permettere
l’ingresso di nuovi attori nel mercato. La governance La vigilanza sulla concorrenza Dopo la riforma del 2004, l’Office of Communications ha assunto poteri che prima erano appannaggio delle autorità garanti della concorrenza, l’Office of Fair Trading e la Competition Commission.
Anche in Italia si dovrebbe adottare una soluzione simile, potenziando
il ruolo dell’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Ne
deriverebbe una migliore coordinazione degli interventi ex-ante ed ex-post, una
maggiore rapidità di intervento laddove si manifestassero problemi
legati alla concorrenza, nonché la creazione di un centro di eccellenza
per le politiche nel settore audiovisivo.
Con riferimento al dibattito che si è aperto sul blog sul tema del conflitto d'interessi e degli assetti televisivi, pubblichiamo questo articolo si Serafino Abate del 29 settembre c.a., tratto dal sito www.lavoce.info.
Nel 2004 è così iniziato, nel Regno Unito, il primo riesame organico
della televisione pubblica Nello stesso tempo, si è aperto un processo
di revisione della definizione stessa di servizio pubblico televisivo,
nonché della struttura, organizzazione e funzionamento della Bbc,
approdato nel marzo 2006 nella pubblicazione del libro bianco "A public service for all: the Bbc in the digital age". Perno di una riforma del servizio pubblico televisivo in Italia dove
essere la centralità delle esigenze dei cittadini/utenti nella
realizzazione dei loro diritti personali di libertà e di crescita
culturale. Il processo di riforma deve essere trasparente e inclusivo,
per consentire a tutti di partecipare alla formazione degli obiettivi
del servizio pubblico.
La Tv pubblica deve avere un mandato
chiaro, che i cittadini riconoscano come loro, centrato
sull’informazione, sulla promozione della cultura e della diversità del
paese e su un intrattenimento di alta qualità; deve potenziare e
ampliare il suo ruolo guida nell’erogazione del servizio pubblico. La
sua organizzazione e il modo in cui opera sul mercato devono discendere
dal suo mandato e consentirle di operare con autonomia editoriale ed
efficienza economica.
I concessionari di una licenza pubblica
televisiva, dal canto loro, devono contribuire al servizio pubblico,
pur mantenendo la loro vocazione commerciale.
Nel Regno Unito, ad esempio, Itv, il secondo gruppo televisivo, ha in capo alla propria licenza obblighi di servizio pubblico, per i quali riceve uno sconto sull’ammontare dovuto allo Stato per l’uso delle frequenze.
Nel
caso italiano, vincoli di servizio pubblico potrebbero riguardare la
pluralità e l’obiettività dell’informazione, la salvaguardia dei
contenuti artistici attraverso una regolamentazione delle interruzioni
pubblicitarie e garanzie di innovazione e promozione del settore
audiovisivo italiano, ad esempio attraverso limiti all’utilizzo di
formati e contenuti importati dall’estero. Il ruolo di controllare il
rispetto dei vincoli dovrebbe essere affidato all’autorità garante del
settore, così come avviene nel Regno Unito.
Una reale pluralità,
però, può realizzarsi solo all’interno di un quadro di riferimento che
garantisca una concorrenza equa, a guardia della quale dovrebbe essere
preposta l’Autorità di garanzia competente, dotata di adeguati
strumenti di intervento.
Nel Regno Unito, per esempio, la riforma ha previsto la creazione di un nuovo soggetto editoriale,
con il compito di promuovere l’accesso a contenuti di interesse
pubblico sui nuovi media, come la banda larga. Un bando di gara aprirà
la sua gestione a diversi soggetti, come le Tv private, gli editori di
carta stampata e i fornitori di servizi internet.
Tutto ciò
rappresenta una forte innovazione nel panorama europeo. Adottata in
Italia, una simile opzione andrebbe ad aumentare la pluralità dei
soggetti operanti nel settore audiovisivo, garantendo la continuità
futura del servizio pubblico televisivo sui nuovi media digitali.
Quanto alla governance, occorre introdurre un nuovo modello, improntato a una chiara separazione dei ruoli di legislazione, controllo e conduzione della Tv pubblica.
Una strada percorribile è la creazione di una fondazione i cui membri siano nominati da istituzioni super partes,
quali il Presidente della Repubblica, per un periodo di tempo che
consenta lo sganciamento dal ciclo elettorale. La fondazione diviene
depositaria del legame tra il cittadino e il servizio pubblico;
provvede alla nomina del consiglio di amministrazione della Rai e ne
controlla l’operato rispetto ai vincoli di servizio pubblico.
Il finanziamento della Tv pubblica andrebbe poi interamente ripensato. Oggi, la forte dipendenza dalla pubblicità
determina uno sbilanciamento degli investimenti verso produzioni che
realizzano il massimo valore commerciale degli spazi pubblicitari, e
quindi appiattisce la Tv pubblica su obiettivi di tipo commerciale, a
scapito di quelli di interesse pubblico.
La Bbc, invece, è interamente finanziata con il canone televisivo
pagato dagli utenti e non può ricorrere alla pubblicità, se non per
promuovere i propri programmi. È un modello che garantisce la massima
autonomia decisionale rispetto a obiettivi commerciali e che si
riflette nell’alta qualità e diversità dei contenuti erogati. In
Italia, una riforma in tale senso della Rai avrebbe effetti positivi su
tutto il settore, non ultimi i cittadini che pagano il canone
televisivo.
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