Ellis Island, sulla foce dello Hudson, è stato il principale porto di arrivo per l’immigrazione dal 1892 al 1924. Molti di noi (meridionali, veneti, etc…) possono trovare traccia dei propri cari emigrati negli USA fino a tempi relativamente recenti: insomma, fin quando i viaggi in aereo non sono diventati competitivi. Sulla West Coast operava invece, con finalità analoghe, Angel Island, nella baia di San Francisco, dove arrivavano soprattutto immigrati cinesi.
La storia di Ellis Island è “terapeutica” in due opposte direzioni mentali:
la prima, in positivo, vuole rendere omaggio (senza esagerare) agli USA, che hanno accolto, solo in questo periodo e solo attraverso l’ingresso di Ellis Island) più di 12 milioni di immigrati, praticamente da ogni nazione del mondo; inoltre, anche se oggi le condizioni di accoglienza di Ellis potrebbero, per alcuni aspetti, apparire durissime e degradanti, bisogna relazionarsi con l’epoca (fine ‘800); per quell’epoca, la sola idea di costruire una struttura apposita, destinata al “filtraggio” dei nuovi arrivati, era decisamente rivoluzionaria.
Dico “senza esagerare” perché gli Stati Uniti, paese pragmatico e dall’etica protestante, certo non accoglievano bastimenti carichi di straccioni per senso umanitario, ma perché gli USA avevano bisogno di quantità enormi di mano d’opera a basso costo.
La seconda “direzione terapeutica” è invece diretta ai nostri fascisti, ai nostri leghisti, ai nostri berluscones, e a titolo preventivo anche a noi stessi: diceva un famoso sociologo (Tafanus Brianteo) che il razzismo è come un inavvertibile spiffero che si insinua da una finestra chiusa; non ci accorgiamo neppure di questo spiffero, finchè non ci arrivano addosso, all’improvviso, i suoi effetti. Si diventa razzisti un poco alla volta, senza accorgersene.
Quando ci accorgiamo di avere addosso i primi sintomi della malattia, in genere la malattia è già cronica. Il vaccino che io prendo (e che ho fatto prendere alle mie figlie per tutta la vita) consiste in una sana terapia (si chiama “tuffo nel passato”), che mi costringa a ricordarmi da dove vengo, dei miei lontani parenti sparsi per il mondo (Venezuela, Australia, USA, Argentina); del perché ci sono andati, di quanto hanno sofferto per l’emarginazione sociale e culturale, delle condizioni nelle quali si è svolto il viaggio… a proposito… non hanno affrontato tutto questo “per spacciare droga, rubare in villa, sfruttare la prostituzione o stuprare”… poi abbiamo esportato anche qualche mafioso, esattamente come da noi arriva qualche magnaccia e qualche sfruttatore…
I respingimenti, in genere, sono stati relativamente bassi (circa il 2%); però quelli che appartenevano a quel 2%, e che avevano fatto debiti per il viaggio di sola andata, non erano esattamente felicissimi, quando venivano rimessi su una nave per un viaggio di ritorno verso il mondo senza speranza che avevano creduto di aver lasciato, e verso i debiti che non avrebbero mai potuto ripagare…
L’esame di Ellis Island era fisico, mentale, morale; come dei funzionari non esattamente coltissimi potessero fare un “esame mentale” a un immigrato di cui non conoscevano probabilmente neanche la lingua, è un grande mistero…
Da questo esame erano esentati i “benestanti”, cioè quelli che arrivavano con un buon gruzzolo, e che avevano fatto il viaggio in prima o seconda classe. Quelli erano sani, intelligenti ed onesti per definizione.
Da Ellis Island non sono entrati solo “ladri, spacciatori e stupratori”; è vero che da quel varco noi abbiamo mandato il grande Lucky Luciano, ma è altrettanto vero che senza quel varco la grande America mai avrebbe avuto lo sviluppo industriale che ne ha fatto la più grande potenza mondiale, né avrebbe mai potuto sfoderare l’orgoglio di annoverare fra i propri cittadini personaggi come Isaac Asimov, Irving Berlin, Frank Capra, Claudette Colbert, Frank Costello, Xavier Cugat, Max Factor, Padre Flanagan, Bob Hope, Al Jolson, e tanti, tantissimi altri meno noti al grande pubblico, ma notissimi nei loro rispettivi settori di attività.
Questo è un piccolo contributo del Tafanus alla lotta preventiva al virus del razzismo.
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