Una premessa che cambia l’universo/2 -
Un esempio per chiarire, parafrasando quanto
segue:
Pierino piantò la scorsa primavera dei bulbi di
tulipano in un vaso. I bulbi erano etichettati come tali, e garantiti, sulla confezione, da una chiara rappresentazione fotografica di ciò che
sarebbero diventati. Alcuni mesi più tardi, però, Pierino si ritrovò nel vaso
dei fiori che non corrispondevano affatto alla descrizione sul pacco: erano di
un colore diverso da quello che era rappresentato, erano secchi, coriacei e
spinosi. Dei tulipani anomali, si convinse e armato di forbice e pennello, si
mise di buona lena., Tagliuzzando e pitturando, riuscì in qualche modo a dare
ai suoi tulipani l’aspetto di quelli rappresentati sull’etichetta. Ma i suoi
tulipani, crescendo, riprendevano le loro fattezze originali, costringendo
Pierino a passare le sue giornate a ridipingere e ritagliuzzare, tutto ciò che
non corrispondeva con l’idea di ciò che essi avrebbero dovuto essere.
Finchè un bel giorno, Carletto, un amico di
Pierino, senza essere invitato, volle vedere i suoi tulipani. Vi diede una
rapida occhiata e poi disse: “scusa Pierino, ma guarda che questi non sono
tulipani, sono carciofi: sebbene contengano una certa analogia di forma che
ricorda i tulipani hanno foglie legnose e coriacee, hanno il colore verde
tipico delle verdure. Le spine le hai tagliate, ma continuano a ricrescere.
Insomma, ti sei preso una topica.”
Inutile dire, che Pierino, a seguito di
quell’osservazione, per sfogare l’incazzatura di essersi sentito preso per i
fondelli per un’intera stagione, e di aver perso tempo e fatica
inutilmente, buttò fuori Carletto a
calci nel didietro gridando: “Tu sei pazzo. Ma chi ti credi di essere… Einstein?”
Nella precedente puntata di questo capitolo è stato
trattato e descritto un fenomeno reale, fino ad oggi rimasto negletto agli occhi
della scienza, nel senso che questo non ha mai suggerito una possibilità di
applicazione a qualche campo dello scibile. Più un giochetto per ragazzini in vena
di divertirsi, che una fenomenologia degna di un’attenzione più approfondita.
Ci si potrebbe domandare, com’è possibile che
almeno cinque generazioni di scienziati abbiano potuto fraintendere le cose,
fondando la descrizione dell’universo su un banale malinteso?Una ragione certamente c’è e
va ricercata in un meno recente passato della storia della Fisica.
La prima cognizione della limitatezza della
velocità della luce risale al 1676 quando l’astronomo danese Ole Rømer la
calcolò intorno ai 227.000 km/s. La sua tecnica consisteva nello sfruttare l'immersione e l'emersione
dei satelliti gioviani da dietro il disco del pianeta Giove. Egli osservò che
l’apparizione del satellite risultava ritardata rispetto al momento in cui
usciva effettivamente dall’ombra del disco di Giove. La spiegazione non poteva essere che la luce impiegava un certo
tempo per percorrere la distanza di circa 800 milioni di chilometri che ci
separano dal nostro pianeta gigante. Prima di allora la scienza era convinta che la luce avesse la velocità
dell’infinito.
La scoperta di Rømer, portò come conseguenza a
stabilire che la luce avesse una certa velocità di propagazione, che in seguito
venne corretta dal fisico Fizeau e fissata sul valore attualmente conosciuto di
299.792,458 km/s.
Nel frattempo, verso la metà del diciannovesimo
secolo, Maxwell era riuscito a stabilire sperimentalmente che la luce si
propaga per mezzo di onde. A seguito di questa scoperta si potè associare il
fenomeno onde, con una certa velocità di propagazione. Ma rimase un problema:
nel concetto comune di “onde” viene inteso increspature della materia
attraverso la materia stessa. Così come
non potremmo immaginarci onde marine, in assenza di un mare o onde sonore, in
assenza di atmosfera, non ci si rendeva ragione di come “onde magnetiche”
potessero propagarsi attraverso lo spazio vuoto.
Direttamente a seguito di questa scoperta si
venne a profilare l’idea che l’universo fosse cosparso da una sostanza
impalpabile e trasparente, definita “etere”, attraverso cui le onde magnetiche
avrebbero potuto propagarsi. In altri termini, venne inteso che le onde
magnetiche altro non fossero che increspature dell’etere attraverso l’etere
stesso.
Successivamente, nel 1887, l’esperimento di
Michaelson e Morley, ancora considerato una pietra miliare nel cammino della
fisica, fece polpette del concetto di etere, di cui i due scienziati erano
convinti sostenitori. Il risultato in definitiva fu che lo spazio è vuoto di
ogni sostanza e che le onde magnetiche presentano una struttura che non collima
in nessun modo col comportamento delle onde come esse erano intese.
Poco più di un decennio più tardi (1900) Antoon
Lorentz e 5 anni più tardi Albert Einstein, fondendo le loro rispettive
applicazioni matematiche, diedero adito
a quest’ultimo di trovare il modo di far quadrare i conti, imputando al fattore
tempo le differenze scaturite tra l’intendere il concetto di “onde” nei canoni
classici ed il comportamento anormale di queste quando applicate al fenomeno
luce.
Quest’ idillio teorico durò indisturbato per
altri 25 anni circa. Fino a quando, cioè, il fisico danese Bohr, dimostrò che
l’emissione energetica, sebbene consistesse in forma di onde, comprendeva anche
emanazione di particelle. Ciò evidentemente complicò le cose non poco, perché
il concetto originale di “onde” così come normalmente vengono intese, andava
intricandosi ulteriormente.
Con l’introduzione della meccanica quantistica
si finì di assumere questa incongruenza come un fatto scontato, concedendo la
licenza a chi ricerca onde, di trovare onde e a chi invece ricerca particelle,
di trovare particelle. Ma mai le due cose insieme e mai capendo come o perchè.
Mettendo insieme le due cose, onde e particelle,
si arriverebbe alla conclusione che, onde magnetiche e onde classiche, così
come carciofi e tulipani, pur possedendo alcuni punti di analogia di
forma, presentano caratteristiche
intrinsecamente diverse tra loro. Mentre le uniche onde che corrispondano come
struttura e comportamento alla dualità conosciuta ed alla possibilità di
propagarsi nello spazio vuoto, in assenza di sostanze materiali, sono quelle
descritte ed esemplificate in concreto nella precedente puntata di questo
capitolo.
Conclusione: per oltre un secolo la scienza ha preso carciofi per tulipani, accanendosi in interventi estetici inutili quanto costosi, per conciliare l’aspetto di ciò che è con ciò che si credeva essere. Il risultato è una mostriciattolo tutto stucco e ricuciture, (mi ricorda qualcuno) che ha fatto dell’universo un teatrino di patetiche fantasie.
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