La Finanziaria contestata da
imprenditori e ceto medio. Il crollo dei consensi. Le promesse non mantenute. I
conflitti con gli alleati. Tutti i guai del presidente
[...]"Il dovere di
governare non è il dovere di accontentare", sentenziava il presidente del
Consiglio già il 9 ottobre; "Se una Finanziaria è seria", ha ripetuto
venerdì 20, "deve scontentare tutti". Conclusione? "Va bene
così". Ma tanta fierezza sarebbe giustificata, forse, se si stesse
discutendo di una Finanziaria del genere Lacrime e Sangue, che impone sacrifici
oggi in nome di importanti conquiste domani. Se, al contrario, la manovra viene
attaccata semplicemente perché spinge il sistema economico in una direzione
sbagliata, allora sostenere che le critiche equivalgono ad attestazioni di
validità non fa che sottolineare lo stato di solitudine in cui Prodi ha finito
per trovarsi.
Le difficoltà del governo, sia chiaro, non hanno nulla a che vedere con la
crescente aggressività dell'opposizione. La manifestazione anti-Prodi del 21
ottobre a Vicenza, con i fischi all'Inno di Mameli e le insolenze all'indirizzo
di Giorgio Napolitano, è stata ridicola. Silvio Berlusconi è sceso in piazza,
con la solita faccia di bronzo, dopo che il 4 ottobre aveva liquidato come
"masturbazione mentale" gli inviti dei suoi ultrà a scendere in
piazza; e si è rimesso a fare il duro soltanto perché nel frattempo è stato
presentato il disegno di legge Gentiloni sulle televisioni, ciò che il 13
ottobre ha indotto il solerte Sandro Bondi a minacciare un grottesco sciopero
della fame. Finché il centrodestra si lascerà egemonizzare da un anziano
monopolista che come priorità assoluta ha la tutela della sua roba, da quella
parte il Professore avrà ben poco da temere.
I guai del governo hanno tutt'altra provenienza. Se un sondaggio Ipr Marketing
ha evidenziato un drammatico crollo dell'indice di gradimento fra luglio e
ottobre, dal 63 per cento a un misero 45, è perché fra gli scontenti si contano
pure parecchi sostenitori del centrosinistra. Lo hanno confermato Piero Fassino
e Francesco Rutelli sollecitando senza alcun imbarazzo, il 23 ottobre, una
serie di modifiche alla Finanziaria. L'odissea di Prodi, una Prodissea che ha
riattizzato i dubbi su quanto l'esecutivo possa durare, appare lugubremente
scandita dai tiri di un fuoco amico o quasi amico. Contro la Finanziaria si
sono pronunciate, oltre alla corporazione degli economisti pressoché al
completo, la Banca d'Italia e la
Confindustria, la Corte dei Conti e l'agenzia
Standard & Poor's: tutte istituzioni all'interno delle quali la fine del
potere berlusconiano era stata salutata con un sollievo. La Commissione
europea, inoltre, ha optato per una sospettosa sospensione del giudizio. Perché
un ricco capitale di fiducia è stato dissipato in così poco tempo? E a questo
punto come si può pensare di ricostituirlo?
Quanto alle cause della perdita di simpatie, qualcuno potrebbe individuarle
nella rabbia delle categorie che dalla manovra di Tommaso Padoa-Schioppa si
sono sentite prese di mira. Sui contribuenti che dichiarano redditi dai 75 mila
euro annui in su, in effetti, è piovuto uno stillicidio di piccole fregature:
l'inasprimento dell'Irpef, il ripristino dell'imposta sulle successioni, il
superbollo per i Suv, il contributo di solidarietà del 3 per cento a carico
delle pensioni più elevate. Ed è vero che nei ceti medio-alti, per esempio fra
i dirigenti d'azienda, fra i burocrati di spicco, fra i magistrati, fra i
docenti universitari, gli elettori dell'Unione sono numerosi. Però è improbabile
che i settori cruciali della classe dirigente, più di tutti in grado di fare
opinione, si muovano esclusivamente in base a meschini calcoli di portafoglio.
La delusione di pensatoi come l''Economist' o di imprenditori che a destra non
hanno mai guardato, tipo Luca di Montezemolo, ha radici più nobili. (...oddio, Rinaldi... stavo quasi per complimentarmi con lei,
poi mi tocca leggere che Montezemolo “a destra non ha mai guardato”, e sono
stato colto da qualche ripensamento...)
A ispirare i giudizi negativi sul governo Prodi, anche se nessuno più ne parla,
è stato prima di tutto un generale e motivato disappunto per le circostanze
della sua formazione. Il peccato originale si chiama pletoricità. Aver fatto
spazio a oltre cento fra ministri, viceministri e sottosegretari, un record, ha
dato l'impressione di una selvaggia caccia alle poltrone, per ciò stesso
indebolendo fin dall'inizio l'autorità del premier. Un autogol è stato altresì
il richiamo in servizio, quale viceministro dell'Economia, di Vincenzo Visco,
già discusso titolare delle Finanze nei governi ulivisti della XIII
legislatura: la scelta di un personaggio dal passato politico così ingombrante
da un lato ha regalato alle opposizioni un bersaglio su cui si poteva
sparare
in tutta comodità, dall'altro ha messo un po' in ombra il ruolo del ministro
tecnico Padoa-Schioppa. (...e qui siamo ad un secondo,
e più profondo motivo di dissenso: Visco potrà anche risultare antipatico
(soprattutto a chi, nel rapporto col fisco, ha il braccino corto: ma che sia
stato un ottimo ministro, e che sotto il suo regno gli evasori “emergessero”
come funghi dopo la pioggia, non sembra cosa revocabile in dubbio...)
Poi è stata la volta dei
peccati di omissione. Priva di una missione chiaramente delineata ed energicamente
rivendicata, l'azione del governo si è rivelata presto frammentaria. Alcune promesse della campagna elettorale, come la
cancellazione delle più scandalose leggi berlusconiane sulla giustizia, sono
state sic et simpliciter dimenticate. I servizi segreti, coinvolti in vicende
oscure, non sono stati tempestivamente bonificati. Non si è mosso alcun passo
verso l'ipotizzato riconoscimento dei diritti delle coppie di fatto. Il
22 ottobre 'Il Sole 24 Ore' si è preso la briga di contare le leggi approvate durante
i primi cinque mesi di attività del governo: appena 13, mentre nel
corrispondente periodo della XIV legislatura erano state 31.
(...terzo
punto di dissenso: se Rinaldi si prendesse la briga di leggere il nostro serial
“I Magnifici Anni del Cipria”, potrebbe facilmente constatare che la
prolificità sel governo Berlusconi nei primi tempi del suo fantastico Governo,
riguardava principalmente due filoni: i suoi guai giudiziari, e la sua
“robbba”...)
Se infine si passa alle opere effettivamente realizzate, il bilancio si
fa ancora più triste. Una sola operazione di successo è stata eseguita, quella
che ha condotto alla tregua in Libano; gli italiani, però, tradizionalmente
snobbano la politica estera. Per il resto? C'è stata
la
disastrosa stupidaggine dell'indulto, autentica Caporetto di tutti i
riformismi: per combattere il sovraffollamento delle prigioni si è deciso di
rimettere in libertà oltre 23 mila detenuti, compresi gli autori di delitti
gravi, anziché di varare un serio piano di edilizia carceraria o, in
alternativa, di depenalizzare i reati minori; ed è
sbalorditivo che soltanto il 21 ottobre Fassino, anima candida, abbia scoperto
che il provvedimento di clemenza "non è stato apprezzato dai
cittadini". Il decreto Bersani sulle liberalizzazioni sulle prime ha
incontrato un'ottima accoglienza, ma quando il governo è battuto in ritirata
davanti alla rivolta dei tassisti molti entusiasmi sono sbolliti. A
questi passi falsi si sono aggiunti i peccati attribuibili personalmente a
Prodi, dalla goffaggine esibita nel maneggiare i casi Telecom e Alitalia alle
ingiustificate rimostranze levate nei confronti dei giornali.
Ma è con la Finanziaria che la Prodissea ha conosciuto le sue pagine più amare.
Elencare i difetti della manovra, ormai, è fin troppo facile: il mancato
contenimento della spesa pubblica; il rinvio delle riforme strutturali
auspicate dal Dpef, Documento di programmazione economica e finanziaria, in
comparti come la previdenza, la sanità, il pubblico impiego, i trasferimenti
agli enti locali; il risanamento dei conti pubblici affidato soltanto a un
aumento della pressione fiscale. Per giunta Visco, invece di concentrarsi sulla
sacrosanta lotta all'evasione, ha concepito una stretta tributaria
particolarmente macchinosa, poiché oltre a intervenire su un'infinità di
microbalzelli ha anche preteso di ridisegnare la curva
delle aliquote Irpef. (...preteso???...)
L'ambizione era di procedere a una massiccia redistribuzione dei redditi, ma la
montagna ha partorito un topolino. In un irritante clima di confusione, nel
quale nessuno capiva se la cosiddetta "rimodulazione" dell'Irpef lo
avvantaggiasse o lo penalizzasse, da ultimo è addirittura saltata fuori la
necessità di rimodulare la rimodulazione.
Se proprio si doveva agire sulle
entrate, meglio una lineare soluzione alla tedesca: un ritocco all'insù
dell'Iva, e basta. Dopo tante convulsioni, era ovvio che l'impopolarità del
governo risultasse in forte crescita. (noi siamo sempre
stati favorevoli allo spostamento dalla imposizione sul reddito, in parte, alla
imposizione sui consumi; se proprio è tanto difficile scovare e far pagare la
gente “nel momento del guadagno”, che almeno la si becchi “nel momento del
consumo”; che almeno paghino quando decidono di godersi i loro più o meno
leciti guadagni, o che si rassegnino a vivere da barboni. Sappiamo che c’è la
UE e ci sono le sue regole, ma le regole si può tentare anche di cambiarle,
attraverso l’iniziativa politica).
[...] può farcela il premier? Possiede le doti di flessibilità e di pragmatismo
che sole possono salvarlo da altri scivoloni nei sondaggi? Un'occasione d'oro
per ridefinire i rapporti nel centrosinistra, purtroppo, è stata sprecata a
fine luglio, quando una pattuglia di senatori si agitava contro il
rifinanziamento della missione militare in Afghanistan. Per far tornare
all'ovile i dissenzienti, il governo ricorse al voto di fuducia; ma sarebbe
stato più saggio lasciarli al loro destino, accettando in cambio gli
occasionali sì offerti dalle opposizioni. Forse la sinistra radicale avrebbe
imparato a non tirare troppo la corda.
Finora Prodi è parso muoversi in base a due convinzioni granitiche. La prima è
che l'Unione abbia nettamente vinto le elezioni del 9-10 aprile; la seconda è
che lui, grazie alle primarie di un anno fa, ne sia l'unico possibile capo.
Entrambe le certezze, però, ormai appaiono opinabili.
.
A Palazzo Madama, la minuscola maggioranza di cui il centrosinistra godeva si è
in pratica azzerata. Le defezioni del dipietrista Sergio De Gregorio e del
comunista Fernando Rossi, che si sono messi in proprio, fanno sì che le due
coalizioni contrapposte adesso possano contare ciascuna su 156 senatori,
esclusi quelli a vita. Se ne deduce che teorizzare la totale autosufficienza
dell'Unione, come la sinistra radicale ama fare per rendersi assolutamente
decisiva, non ha più molto senso [...]
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