Estratto da "L'espresso" del 3/11/06 - di Francesco Bonazzi, Peter
Gomez, Marco Lillo
Da quasi sei anni Nicolò Pollari ha favorito assieme ad alcuni
collaboratori operazioni destinate a screditare i leader del centrosinistra.
Prima ancora del dossier contro Romano Prodi
diffuso da Pio Pompa per depistare le indagini
sul sequestro Abu Omar, prima ancora delle
misteriose incursioni nell'anagrafe tributaria, 'L'espresso' è in grado di
rivelare un importante ruolo di Pollari e Pompa nel caso Telekom Serbia. Già nel 2001, quando il generale era
il numero due del Cesis, cioè di un organo tecnico-consultivo con semplice
ruolo di cordinamento tra governo e 007, e Pompa era solo un consulente
presentatogli "da don Verzè", il duo
preparava e distribuiva informative su quello che sarebbe diventato uno degli
scandali politico-mediatici più maleodoranti degli anni a seguire. Una manovra
cavalcata dal centrodestra negli anni chiave del governo
Berlusconi.
A rivelarlo sono le carte dell'inchiesta torinese sull'affaire Telekom. Un'indagine condotta dal procuratore Marcello Maddalena e dal suo aggiunto Bruno Tinti che ha smontato documentalmente la tesi
secondo cui l'acquisizione della compagnia telefonica serba da parte di Telecom
(non ancora privatizzata) servì per creare, nel 1997, fondi neri. E ha
dimostrato come le accuse di tangenti, lanciate contro Romano
Prodi, Piero Fassino e
Lamberto Dini dall'ex uomo delle pulizie
all'ortomercato di Brescia, Igor Marini, fossero
solo calunnie. Un'inchiesta che riletta oggi, a tre anni di distanza, ci
consegna uno spaccato inedito sul modo di fare 'informazione' del servizio
diretto da Pollari. E che con un po' più di fortuna avrebbe potuto addirittura
'disarticolare' (per usare un termine caro al Sismi) già nel 2003 quell'ufficio
coperto di via Nazionale 230 a Roma, dal quale Pompa compilava falsi dossier e
smistava notizie avariate ai giornalisti. Ma i magistrati torinesi, forse già
annichiliti dalla montagna di bufale che stavano scoprendo sul caso Telekom,
non potevano immaginare a che livello era sceso un altro pezzo importante delle
istituzioni, ovvero il servizio segreto militare.
Ora, i documenti sulla strana coppia Pollari-Pompa sono sulle scrivanie dei pm
di Roma che hanno chiesto il processo contro altri tre depistatori (uno dei
quali, Antonio Volpe, legato a doppio filo al
Sismi) e i faldoni stanno per arrivare sul tavolo dei magistrati milanesi.
All'ombra della Madonnina prosegue infatti l'inchiesta sull'ufficio di via
Nazionale, dove Pompa, accusato di favoreggiamento nell'ambito dell'indagine
sul sequestro dell'imam egiziano Abu Omar, conservava, accanto a fascicoli
riguardanti magistrati e uomini di partito, anche appunti sulla
"disarticolazione", "neutralizzazione" e "il
ridimensionamento" dell'opposizione al governo Berlusconi. Tra questi, un
dossier sul caso Telekom Serbia. Una montagna di
robaccia che oggi magari può anche far sorridere, ma che ha comunque alimentato
polveroni e campagne di stampa oggettivamente utili per inchiodare
l'opposizione e allontanare l'attenzione dei cittadini da temi reali.
Ma cosa ha scoperto la Procura di Torino? Per capirlo bisogna fare un salto
indietro di cinque anni e tornare alla primavera del 2001. La legislatura sta
finendo, mancano 48 ore allo scioglimento delle Camere. In Italia si parla solo
delle prossime elezioni. Il centrodestra è molto avanti nei sondaggi, ma
attacca ugualmente a testa bassa e l'Ulivo è sulla difensiva. Tra i capitoli
spinosi c'è anche la questione Telekom, sollevata a dicembre del 2000 da un
articolo de 'L'espresso' nel quale si parte dalla spesante svalutazione della
partecipazione
Telecom nella compagnia serba per arrivare a sottolineare come
l'operazione abbia dato respiro alle esauste casse di Slobodan Milosevic.
L'inchiesta viene ripresa e rilanciata in grande stile da 'Repubblica' nel
febbraio 2001 con un'accusa inedita e pesante: "Telekom
Serbia, ecco le
tangenti di Milosevic". Il 7 marzo seguente, il deputato di An Italo
Bocchino annuncia alla stampa un'interrogazione parlamentare a risposta
immediata. Nel documento, definito
"fantomatico" dai magistrati torinesi perché in realtà mai presentato
alle Camere, Bocchino lancia accuse pesanti: contro Prodi che avrebbe avallato
l'operazione "con ambienti massonici italiani" e contro la
Stet-Telecom che avrebbe evaso il fisco grazie alla rete di controllate estere.
Poi Bocchino aggiunge un carico da novanta: secondo lui i servizi hanno seguito
passo passo la compravendita, tanto che "il reparto Sismi guidato da
Manenti (il colonnello Alberto Manenti attuale direttore dell'ottava divisione,
ndr) fece più di una relazione, chiedendo dettagli ulteriori: successivamente
fu inviata un'informativa al Cesis e, infine, dopo qualche mese fu resa una
nota di compiacimento, con ordine comunque di non interessarsi più della
vicenda, in quanto già nota". L'8 marzo 'Il Giornale' dà spazio alla notizia,
ma omette di citare il Sismi e Manenti. La cosa sembra morire lì. Solo in
apparenza, però. Come vedremo, la "fantomatica" interrogazione è il
primo atto della banda dei depistatori sulla quale ha indagato Torino.
Passano due anni. Si arriva al luglio del 2003. Igor
Marini, dopo aver sparso veleni e calunnie di ogni tipo e aver trovato
parlamentari del centrodestra e tv disposti a rilanciarli a reti unificate,
varca le porte del carcere torinese delle Vallette perché accusato di truffa e
riciclaggio. Segue un'estate in cui parte una gara a
chi la spara più grossa. I nomi in codice usati
dal 'Conte Igor' per alludere ai big dell'Ulivo "destinatari di tangenti
Telekom" sono 'Ranoc' (Dini), 'Cicogna' (Fassino) e 'Mortad' (Prodi).
Sembrano usciti da un parodia, ma la commissione parlamentare sul caso Telekom
ci si dedica con passione.
Il 16 luglio 2003, in seduta segreta, l'inquirente presieduta dall'avvocato
catanese Enzo Trantino (An), ascolta Manenti.
Trantino fa domande su domande. Elenca i nomi dei mediatori della falsa
tangente già tirati in ballo da Marini e da una serie di informative anonime. Poi passa i quesiti basati sull'interrogazione mai presentata
dal collega Bocchino. Ma l'ufficiale non gli dà soddisfazione. Giura che
di quella storia non sa nulla, anche perché all'epoca dell'affare Telekom si
occupava d'altro. Racconta che in un solo caso gli era stato dato in mano,
perché esprimesse una valutazione, un appunto e qualche ritaglio di giornale.
Manenti studiò l'incartamento e ritenne il comportamento dei personaggi
coinvolti nell'operazione Telekom Serbia non rilevanti. Insomma, secondo lui
non c'era nulla su cui valesse la pena d'indagare. Ma, nel caso i commissari
avessero voluto togliersi altre curiosità, Manenti suggerisce di sentire i suoi
superiori dell'epoca: l'ex direttore del servizio, ammiraglio
Gianfranco Battelli, e il suo ex capo, l'ammiraglio
Giuseppe Grignolo, nel frattempo volato a Washington come capocentro.
In commissione è Carlo Taormina, avvocato di Forza Italia, a chiedere a gran voce la loro audizione. Gli altri sono tiepidi e i giornali ignorano, o quasi, i servizi. Solo 'La Padania', il 18 luglio, riprende tutta la faccenda e pubblica quasi integralmente la fantomatica interrogazione di Bocchino.
(Continua...)
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