Estratto da "L'espresso" del 3/11/06 - di Francesco Bonazzi, Peter Gomez, Marco Lillo
Seconda puntata
Passano altri 12 mesi. Torino. Primo luglio 2004. A palazzo di Giustizia, Manenti compare al cospetto di Maddalena e Tinti. I due hanno già smascherato Marini e lo hanno fatto arrestare per calunnia il 16 dicembre 2003. Sempre sul finire del 2003, hanno anche fatto bloccare dalla Finanza il massone irregolare Antonio Volpe, sedicente collaboratore del Sismi, mentre tentava di consegnare al commissario di Forza Italia, Alfredo Vito, ulteriori dossier su Telekom Serbia. Volpe, che il 31 luglio 2003 aveva già recapitato un altro bel pacco di carte al presidente Trantino per rilanciare la morente pista Marini, è una vecchia conoscenza di polizia e carabinieri [...]
Manenti insomma sa che i due pm non sono gente da prendere sotto gamba. Con loro comunque si lamenta. Spiega che la convocazione della Commissione lo ha messo in difficoltà. Lui ha sempre lavorato sotto copertura, ma dopo quell'audizione è stato bruciato. E oltretutto ha dovuto raccontare a suo figlio quello che non gli aveva mai detto: "Non sono un uomo d'affari, ma un agente segreto". Dopo questa premessa si entra nel vivo. Che cosa sa Manenti di Telekom Serbia? Niente, o quasi, ripete l'ufficiale, "io non ero responsabile dell'area dei Balcani". Poi conferma che comunque lui un appunto sulla vicenda l'ha ricevuto "dalla struttura". L'ha esaminato e ha valutato il comportamento di Telecom "non negativamente". Tinti e Maddalena gli chiedono: "Chi gliel'ha dato?". Manenti non vuole rispondere, si appella a un articolo della legge istitutiva dei servizi che, a suo dire, gli impone di coprire le fonti. Lui però non è un pubblico ufficiale. Il segreto non lo può invocare. Il funzionario dei servizi telefona allora al suo direttore, il generale Pollari subentrato all'ammiraglio Battelli già nell'ottobre del 2001, per chiedere lumi. Chiusa la telefonata, si siede, tira un sospiro e dice: "Mi ha dato tutto Pollari".
Il generale viene immediatamente convocato. Sale su un aereo e da Roma e piomba a palazzo di Giustizia. Sembra cordiale e rilassato, garantisce massima collaborazione, ma in realtà è in grande ambasce, come rivela il verbale. È vero, spiega, che è stato lui a consegnare a Manenti, già nel 2001, un dossier Telekom Serbia. Dentro però non c'era niente di speciale: era composto più che altro da articoli di giornale e documenti tratti da fonti aperte, assicura Pollari. I magistrati vogliono però capire perché quelle carte siano state date proprio a Manenti e non a un altro ufficiale, visto che all'epoca dei fatti Pollari non era ancora al Sismi, ma sedeva nella segreteria del Cesis. Il generale azzarda una spiegazione. Dice di averlo fatto perché il nome di Manenti compariva nell'interrogazione parlamentare presentata da Bocchino. Tutto chiaro, insomma? No, perché di fatto l'interrogazione, non essendo mai stata depositata, non esiste. Gli stessi pm l'hanno cercata per settimane, ma non l'hanno trovata (alla fine sarà proprio Manenti a inviarne una copia in Procura via fax). Tinti e Maddalena, allora, insistono. Vogliono sapere chi ha dato il documento a Pollari. "A darmelo insieme a tutto l'incartamento è stato un tale Pio Pompa", rivela il direttore del Sismi che poi aggiunge come Pompa gli sia stato presentato da don Verzè, il prete fondatore dell'ospedale San Raffaele di Milano, fino dagli anni '60 in strettissimi rapporti di affari e amicizia con Silvio Berlusconi. Pompa, spiega ancora Pollari, è un "consulente" super-esperto d'informatica, e ha ricevuto la fantomatica interrogazione di Bocchino da un giornalista della 'Padania'. Passa qualche giorno e anche il cronista della 'Padania', Mauro Bottarelli, viene ascoltato. La sua deposizione, riletta a posteriori, fa crollare miseramente tutto il teorema Pollari. Bottarelli non ha infatti difficoltà a dire di aver avuto in mano una copia dell'interrogazione, ma aggiunge di averla ricevuta da una segretaria della commissione Telekom nel luglio 2003, subito dopo la deposizione di Manenti [...]
...c'è il tempo però per sentire come teste Bocchino. Il parlamentare per tre anni ha sostenuto che parte dei soldi dell'affaire Telekom sono finiti ai leader del centrosinistra. La Procura di Torino ha invece scoperto che a partire dal giugno 2001 circa 4 miliardi di lire, provenienti da una delle tante intermediazioni legate alla compravendita, sono transitati per una società di San Marino e da questa prestati a Bocchino e alla moglie come finanziamento delle loro attività imprenditoriali. Bocchino ammette di aver ricevuto il denaro, ma giura di non aver mai immaginato che si trattasse dei soldi di Telekom. Poi risponde alle domande sulla sua interrogazione, ritenuta dai pm l'inizio dell'intero depistaggio. Non ricorda molto, nemmeno esattamente perché non risulti depositata. Alla fine però lascia chiaramente intendere che a passargli le informazioni è stato Marco Rizzo: un amico del depistatore Volpe, ma anche un uomo ben introdotto al Sismi, tanto da conoscere i nomi di copertura di vari 007 e a definirsi, in un'intercettazione, un agente segreto. Un po' troppo, per un servizio che non ne sapeva niente.
...non è fantastico, tutto ciò? Il fustigatore di costumi Italo Bocchino, membro autorevole di AN, il partito dalle mani pulite, colui che avrebbe presentato una interrogazione che non c’è, ma che forse non ha presentato... beh, si scopre che in mezzo a tanti miliardi fasulli, trovati solo nelle bufale di Trantino, Marino e Soci, è uno dei pochi ad aver preso soldi veri (in prestito, per carità...); e poi comunque Bocchino non aveva idea della provenienza di quei soldi...
(Continua)
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