CORRIERE DELLA SERA
«Rapito e picchiato da italiani» - Il
memoriale di Abu Omar - Undici pagine scritte a mano: così
l'ex imam di Milano racconta il sequestro, gli interrogatori e le violenze
subite in carcere
09 novembre 2006
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Abu Omar fotografato con un
telefonino (Corsera) |
MILANO -
«Testimonianza dell'islamico
sequestrato nella via di Milano. Così mi hanno rapito dall'Italia e così mi
hanno torturato nelle carceri egiziane». Con queste due frasi, scritte
in alto come un titolo, Abu Omar apre le undici pagine di memoriale in cui
racconta personalmente, per la prima volta, le modalità violente del suo
sequestro e gli atroci interrogatori subiti in Egitto. E' un documento
straordinario, perché mai prima d'ora l'ostaggio era riuscito a far filtrare
all'esterno la sua testimonianza di vittima del sequestro e delle torture. Il
memoriale è ora depositato tra le fonti di prova a carico dei 35 inquisiti
(26 agenti statunitensi della Cia, un carabiniere
del Ros e 8 italiani del Sismi) per quella «cattura
illegale». La versione di Abu Omar contraddice totalmente la tesi del
«finto sequestro di un consenziente», proposta invece in Parlamento dal
direttore del Sismi, Nicolò Pollari. Al contrario, Abu Omar conferma di essere
stato picchiato a sangue fin dal momento del rapimento e aggiunge un fatto del
tutto nuovo: almeno due sequestratori erano
«italianissimi».
Il Corriere ha ottenuto da
proprie fonti una copia del memoriale, che è stata tradotta da tre diversi
interpreti (con risultati coincidenti) dopo aver accertato che la Procura ne
aveva ottenuto l'originale. I «saggi di grafia» già depositati dai pm confermano
che è la stessa scrittura di Abu Omar. Ecco i passi salienti del
memoriale.
«Botte e vestiti
strappati» «Io sottoscritto, Osama Mustafa Hassan Nasr,
conosciuto come Abu Omar, islamico sequestrato a Milano il 17 febbraio 2003,
tuttora detenuto nel carcere di Tora al Cairo, scrivo la mia testimonianza
dall'interno di questa mia tomba: sono dimagrito, la mia malattia si aggravata,
sono in condizioni molto critiche. La mia faccia è trasformata a causa della
tortura».
.
«Adesso spiego il
sequestro. Camminavo a piedi da casa mia, in via Conte Verde 18/A,
lunedì 17 febbraio 2003, andando verso la moschea per la preghiera di
mezzogiorno. (...) Avevo in tasca 450 euro (400 per pagare l'affitto),
il mio passaporto italiano di rifugiato, il permesso di
soggiorno, il cellulare, la tessera sanitaria, l'orologio e le chiavi
di casa. Tutte queste cose si trovano ora nella sede dei servizi segreti
egiziani, nei "giardini del Copa", davanti al Castello del popolo... Uscendo, ho
visto un furgone bianco che mi passava davanti... Davanti a un giardino
pubblico, ho visto una Fiat rossa. L'autista veniva verso di me di corsa. Ha
tirato fuori una tessera: sono della polizia. Gli ho dato il permesso di
soggiorno e il mio passaporto italiano. Lui tira fuori il suo cellulare e fa una
chiamata. Mi sembrava un americano: capelli biondi, carnagione chiara, alto
circa 1.70». In realtà è un carabiniere italiano di
madre tedesca, Luciano Ludwig Pironi, che ha confessato questo ruolo nel
sequestro.«Poi il furgone bianco si è fermato vicino al
marciapiede. Non ho capito niente, ho visto solo che due persone che mi
sollevavano di peso: sembravano italianissimi, alti non meno di 1.87 o di più,
età circa 30 anni. Il mio sequestro è stato visto anche da una signora
egiziana...». E' la testimone oculare, già sentita
dai pm.
.

«Quando mi hanno buttato dentro il
furgone, ho cercato di reagire, ma hanno cominciato a darmi pugni in pancia e su
tutto il corpo. Mi hanno buttato sul fondo del furgone e coperto la faccia.
Dentro era tutto buio. Mi hanno legato piedi e mani... Tremavo per le botte e
dalla mia bocca è uscita schiuma bianca... Allora ho sentito i due italiani
discutere, uno dei due urlava: mi hanno strappato tutti i vestiti e mi hanno
fatto un massaggio cardiaco...».«Dopo quattro ore circa, sempre con le mani e i
piedi legati insieme, mi hanno trasferito in un altro veicolo, non so se nemmeno
se fosse un altro furgone o un piccolo aereo...
«Legato sul jet americano» «Dopo un'altra ora
di viaggio, ho capito che ero arrivato in un aeroporto, dal rumore degli aerei.
Ho sentito tanti piedi, sette - otto persone, che camminavano verso di me. Mi
hanno strappato i vestiti con dei coltelli e rivestito con una velocità
incredibile. Mi hanno anche tolto la benda per pochi secondi, per farmi le foto:
c'era tanta gente in divisa da teste di cuoio. Mi hanno bendato tutta la testa e
la faccia con dello scotch largo, con buchi su naso e bocca per respirare...
L'aereo è decollato, c'era un freddo cane... Ero immobilizzato e mi mancava il
respiro. Allora mi hanno messo un respiratore... Quando siamo atterrati, perdevo
sangue dalle mani».
.
«Al Cairo un funzionario egiziano
mi ha detto: in questa stanza ci sono due pasha, cioè due grandi ufficiali dei
servizi segreti. Uno solo ha parlato, in egiziano, dicendo solo: "Vuoi
collaborare con noi?". L'altro, che probabilmente era un tenente americano, non
parlava, ma poi ho capito che diceva: se Abu Omar è d'accordo, torna con noi in
Italia». «La mia cella era di due metri per uno, senza luce. Era in un palazzo
dei servizi. Mi hanno legato le mani e un

piede, mi facevano camminare,
io cadevo e loro ridevano. Poi hanno continuato con
le scosse elettriche, pugni, schiaffi. Hanno portato carta e penna chiedendomi
di scrivere tutta la mia vita fuori dall'Egitto, mi hanno fatto vedere foto di
egiziani, tunisini, algerini e marocchini residenti in Italia... Ho avuto
problemi alle ossa e alla respirazione. L'interrogatorio è durato sette mesi,
fino al 14 settembre 2003, ma mi sono sembrati sette
anni.«La cella è una
tomba»«Dopo un altro viaggio, mi hanno portato in un
altro palazzo dove un sacco di mani mi hanno picchiato su tutto il corpo. Mi
hanno detto: qui dentro non entra neanche la mosca blu. Quando ho chiesto del
bagno, mi hanno detto che era la mia cella... C'era una puzza incredibile...
Sono rimasto altri sei mesi e mezzo in questo posto, Amn-El-Dawla... La cella
era senza aria, scarafaggi e topi camminavano sul mio corpo... Quando entrava il
guardiano, dovevo mettermi in ginocchio, altrimenti mi toccava con un bastone
elettrico...
.
«Da mangiare mi davano solo
pane andato a male, quello con la sabbia che fa cadere i denti... Non puoi
bagnarlo e non puoi rifiutarlo, perché loro devono tenere in vita uno
scheletro... «Mi interrogavano nell'ufficio vicino alle celle, così gli altri
detenuti sentono le urla e i pianti della tortura... I miei capelli e la mia
barba sono diventati tutti bianchi... «All'inizio i guardiani mi spogliano nudo,
minacciano di violentarmi, mi danno scosse con un bastone elettrico: uno mi
tiene le parti intime e me le schiaccio se non parlo... Poi mi stendono su una
porta di ferro che chiamano "la sposa": qui prendo calci, scosse elettriche con
i fili e intanto mi gettano acqua fredda».
.
«Non mi hanno mai dato il
Corano: c'era sempre buio in cella, ma io lo volevo solo per baciarlo e tenerlo
stretto fra le braccia. «Per le botte ho perso completamente l'udito da un
orecchio: non sento più niente. Ho subito anche una tortura chiamata il
materasso. Nella stanza delle torture mettono sul pavimento un materasso bagnato
e attaccato alla corrente elettrica. Poi mi legano mani e piedi dietro la
schiena. Una persona si siede sulle mie spalle su una sedia di legno e l'altro
attacca la corrente. Ero sempre spaventato e spesso svenivo.
Ora non ce la
faccio più a continuare a scrivere di queste torture che ho subito...»
«Dimenticavo: le prime volte che mi hanno torturato, bestemmiavano contro di me
e contro l'Italia, perché mi ha dato asilo politico. Mi dicevano: è l'Italia che
ti ha consegnato all'Egitto. E dall'Italia nessuno è venuto a liberarti da
queste torture...».
Paolo
Biondani, Gianni Santucci
...contrariamente alle nostre abitudini, di questa inchiesta del Corsera
non abbiamo fatto un estratto, ma abbiamo copiato tutto; non vediamo infatti
quale parte di questo articolo avrebbe potuto o dovuto essere omessa. E' un
quadro allucinante di come un paese ex-civile come l'Italia abbia potuto
degradarsi per compiacere un vaccaro texano e le ambizioni di pacche sulle
spalle di un palazzinaro brianzolo...
Pubblichiamo sul blog questo articolo, apparso sul Tafanus via e-mail di ieri, su giusta sollecitazione di Salvatore.
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