Risorse naturali/2 . Tecnologia ed ecosistema.
Nel quadro della ricerca di fonti di energia “pulita” , ovvero di forme di produzione non inquinanti, è necessario valutare in primo luogo un'immagine di ciò che il nostro ambiente oggi presenta come conseguenze dell’industrializzazione e le proiezioni di quello che potrebbe essere, su questa prospettiva di crescita. Come affermato nel precedente articolo di questa rassegna, le opinioni su questo punto sono spesso discordanti. Esistono diverse spiegazioni per giustificare queste discrepanze: il fatto fondamentale è che si parla di “previsioni” e chi le fa, spesso si dimentica di mettere nel conto elementi imprevisti, che potrebbero mutare radicalmente il quadro della proiezione.
Quando si parla di “ecologia” si è tendenzialmente portati a considerare il nostro pianeta più come un meccanismo che come un organismo. Nel senso che, mentre un meccanismo è un apparato facilmente prevedibile nelle sue fasi e nei suoi cicli, un organismo possiede qualità di autosufficienza e capacità di sopravvivere adattandosi e reagendo evolutivamente a situazioni mutevoli.
Da Repubblica.it, un articolo di A. Cianciullo, ci fornisce questa previsione:
“ROMA - Un'estate mozzafiato, con i suoi 42-43 gradi che soffocano le città. Un inverno schizofrenico, con folate gelide di aria siberiana che si alternano a brezze primaverili. E soprattutto sete. Sete dei campi, sete delle metropoli, sete delle centrali elettriche che rischiano la paralisi. Una sete interrotta dalla beffa delle piogge tropicali, violente e inutili, perché l'acqua scorre via rapida, troppo veloce per alimentare le falde idriche ma puntuale nello strappare la terra sotto le case e i ponti.
È questa la faccia climatica dell'Italia che verrà. Un paese invaso delle specie esotiche, che si troveranno perfettamente a loro agio a casa nostra. Senza più ghiacciai, sciolti dal calore crescente. Con 4.500 chilometri quadrati di meno, per le terre rubate dal mare. Con il profilo paesaggistico sconvolto dalla moltiplicazione degli incendi, dalla scomparsa delle sugherete cancellate sulla costa dall'avanzata del fronte salino, dalla migrazione degli olivi verso Nord, dallo spostamento degli aranceti in collina e dei castagni sui pendii più alti degli Appennini.
Questo scenario non è una previsione astratta” (….)
Ebbene, non è una previsione astratta, ma sempre una previsione. Dal 1960 in poi la cronaca scientifica si è pasciuta di previsioni apocalittiche. Sulla base di proiezioni fatte nel secolo scorso, oggi, nel migliore dei casi, avremmo già dovuto vivere su palafitte, cosparsi di oli solari, per difenderci dai raggi ultravioletti, penetrati da giganteschi buchi nell’ozono. Avremmo già dovuto poter assistere allo spettacolo delle cascate del Monte Bianco, e visitare Venezia sommersa in tenuta da sommozzatore. Senza contare che, stando alle previsioni di quel periodo, la popolazione mondiale avrebbe già dovuto oggi raggiungere l’entità che “oggi” si prevede essere fra 50 anni.
Pur concedendo ai fornitori di previsioni catastrofiche il merito di fungere da “campanello d’allarme” e come stimolo per la politica a ravvedersi ed intraprendere qualcosa al fine di limitare gli eccessi, non possiamo fare a meno di concederci il privilegio di ridimensionare questi quadri sulla base di un’obiettività scientifica.
1. Effetto serra.
La combustione di materiali contenenti carbonio, combina un atomo di questo elemento con 2 atomi di ossigeno, sottratti all’atmosfera. La molecola che viene a formarsi è una molecola di anidride carbonica. Questo elemento ha il vantaggio di incrementare la crescita della flora, che attraverso la fotosintesi clorofilliana, scinde la molecola di anidride carbonica, intascandosi l’atomo di carbonio, che serve alla sua crescita ed espellendo nell’atmosfera i due atomi di ossigeno, di cui non sa cosa farne. In condizioni di equilibrio, in questo scambio chimico, i conti della “colf” tornano: tanto ti tolgo, tanto ti rendo. Nel caso di un eccesso di emissione di anidride carbonica, le cose potrebbero cambiare, ma non fino a quando questo eccesso si traducesse in una maggiore crescita della flora ed un conseguente riassorbimento dell’ anidride carbonica, in cambio di due begl’atomi di ossigeno. Il discorso cambierebbe, se spezzassimo questo equilibrio, tagliando all’ingrosso l’eccesso di flora per farne carbonella. In questo malaugurato e purtroppo realistico caso, la composizione atmosferica si andrebbe arricchendo di anidride carbonica ed impoverendosi di ossigeno. Con quali conseguenze? Ecco: è stabilito che un eccesso di anidride nell’atmosfera trattiene i raggi del sole, che diversamente, riflessi sulla crosta terrestre, dovrebbero tornare a disperdersi nello spazio. E’ come uno specchio, dove l’energia solare rimbalza tra questo e la crosta terrestre, producendo un surriscaldamento atmosferico sempre crescente. Ora ci chiediamo, fino a che limite? Dovremmo attenderci che questo effetto possa assimilare il clima della nostra Terra a quello di Venere? Con una temperatura di 500 gradi centigradi ed una atmosfera poco salutare, a base di gas solforici? Cominciamo a stabilire che Venere si trova 50 milioni di chilometri più vicina al sole di quanto lo sia la Terra. Consideriamo che nel Mesozoico, il contenuto di ossigeno dell’atmosfera era in misura molto inferiore a quella odierno e che l’anidride carbonica, era presente in misura molto maggiore. Se poi risaliamo ad ere precedenti, troveremmo che l’atmosfera della terra era composta quasi essenzialmente, oltre ai gas inerti, di anidride carbonica con tracce di ossigeno. Il nostro pianeta distava allora come oggi 150 milioni di chilometri dal Sole. Se ha sopravissuto ad un effetto serra nei primordi del suo esistere, non si capirebbe perché non dovrebbe farlo nel futuro, in condizioni nettamente meno squilibrate di allora.
Diciamo che, il termine “effetto serra”, sta a definire un processo irreversibile, che porterebbe ad una assoluta impossibilità di vita planetaria (come noi la conosciamo). Ma per le ragioni sopra esposte, sul nostro pianeta, ne viene esclusa la possibilità. Rimane il problema di un progressivo surriscaldamento, peraltro reversibile e controllabile. A mantenere una certa stabilità di temperatura, ci pensa già la natura, senza interventi tecnologici. Surriscaldamento significa maggiore evaporazione, quindi strati più spessi di nuvole, maggiore protezione dall’irradiazione solare, estati più calde, ma anche inverni più freddi, ma compensati entrambe dall’opposto climatico degli emisferi terrestri. Globalmente non cambierebbe molto, entro certi limiti, ma localmente potrebbero verificarsi, più che problemi nuovi, un incremento ed una intensificazione di problemi già conosciuti: uragani, trombe d’aria, alluvioni ed una maggior escursione termica tra estate ed inverno. In relazione allo scioglimento dei ghiacciai ed la calotta del Polo Nord, non è ancora possibile stabile con certezza se si tratti di un fenomeno ciclico od un progressivo accentuarsi del problema. Come detto, i pareri discordano. Resta in ogni caso un rischio e come tale, va tenuto in stretta sorveglianza.
La stratosfera terrestre contiene una concentrazione di ozono, un gas costituito da tre atomi di ossigeno (O3) e che fornisce uno schermo nei confronti delle radiazioni ultraviolette provenienti dal sole. E’ un gas relativamente instabile. Ogni anno, durante la primavera dell’emisfero australe, la concentrazione dell’ozono stratosferico nell’area situata in prossimità del Polo Sud diminuisce per cause non ancora accertate. Sembrerebbe che a partire dalla metà degli anni settanta questo periodico assottigliamento assuma proporzioni sempre maggiori. Recentemente si è venuto a scoprire una altro buco, di dimensioni molto inferiori, in prossimità del Polo Nord. Di questo assottigliamento viene, con insufficienza di prove, accusato l’ inquinamento atmosferico derivato da combustione di idrocarburi. La stranezza di questa imputazione sta nel fatto che, questi buchi si siano formati nelle due uniche vaste zone del globo dove non esistono ne’ industrie, ne’ traffico automobilistico, ne’ nessuna altra forma di combustione naturale o artificiale. Qualora ci rifiutassimo di supporre che il buco più grande, quello sul continente Antartico, si sia formato grazie all’abuso, da parte dei pinguini, di deodoranti in confezione spray, sarebbe perlomeno doveroso ricercare la ragione di questo assottigliamento dello strato dell’ozono, anche in altra direzione. Dato che la formazione della maggior parte dell’ozono della stratosfera avviene a più di 30 Km di altezza, in corrispondenza della zona equatoriale, dove risulta più rilevante l’irraggiamento solare, l’assottigliamento dello strato d’ozono nelle zone polari potrebbe essere, dopotutto, una conseguenza del tutto naturale.
E’ comunque consigliabile, per chi durante le vacanze volesse dedicarsi ai bagni di sole, di non scegliere come meta balneare le due zone polari, per evitare di esporsi a pericolose radiazioni ultraviolette.
Tutto ciò, ben s’intenda, non ci concede il diritto di dormire tra due guanciali. I problemi esistono e sono seri. Forse non tanto quelli più lontani da noi, come l’effetto serra o i buchi nell’ ozonosfera o lo scioglimento dei ghiacciai, bensì quelli relativi a forme d’inquinamento dannoso alla nostra salute, all’espansione di sostanze cancerogene, alle radiazioni nucleari. A tutte quelle forme di produzione energetica ed industriale, insomma, il cui abuso e lo sperpero in eccessi di superfluo, riempiono ospedali e cimiteri.
Il fine della scienza applicata, dovrebbe essere quello di intraprendere una svolta radicale nella ricerca energetica, in un’area neutra, scevra dal giogo sporco e meschino di chi la frena e continua ad avvelenare il mondo, riempiendosi le tasche e la borsa, già colme.
(continua la prossima settimana)
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