Oggi, 12 Dicembre 2011, ripropongo un post del Tafanus di 5 anni fa, per raccontare alle giovani generazioni cosa ha rappresentato Piazza Fontana. Lo lascerò in home-page per un paio di giorni, poi lo rimetterò nella sua giusta collocazione cronologica.
Il post è attuale, perchè in fondo da allora nulla è cambiato, se non la coltre dell'oblio che diventa sempre più pesante... Aggiungo il link ad un bellissimo servizio di RaiNew24 uscito in questi giorni, che merita di essere visto, sia da chi ha vissuto la nascita della strategia della tensione, sia da chi ha sbiaditi ricordi di seconda mano: [RaiNews24]
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Milano. Era il 12 Dicembre 1969. Sono passati 37 anni, ma sembra ieri… una giornata uggiosa, non freddissima. Strade affollate, ma con un traffico che non aveva niente a che vedere con quello di oggi. La gente era in giro a far spese (lo stipendio di novembre si poteva spendere alla svelta, tanto stavano per arrivare le tredicesime).
Piazza Fontana è a poche centinaia di metri dal Duomo, dal Palazzo Reale, Dal Palazzo di Giustizia; alle 16,37, gli orologi infranti fotografano l’ora esatta della bomba della Banca Nazionale dell’Agricoltura. La Banca, in quel giorno, a dispetto dell’orario, era in piena attività, perché un giorno alla settimana si svolgeva una specie di arcaica “liquidazione dei conti” fra allevatori ed altri operatori del settore agricolo.
Chi ha messo quella bomba “non poteva non sapere”: non si va in giro con 7 chili di tritolo e con sofisticati timers, se si pensa di dover fare solo un botto dimostrativo davanti ad una banca chiusa. Chi ha messo quella bomba lo ha fatto per uccidere, e per uccidere molte persone. Il botto è tremendo. Alla fine si conteranno 17 morti e 88 feriti.
Pochi minuti dopo, stavo facendo in macchina Corso XXII Marzo, ma improvvisamente mi sono trovato col traffico bloccato. Ho fermato la macchina ed ho proseguito a piedi, col rumore tetro delle sirene. Tante sirene: pompieri, tanta polizia, tante, troppe ambulanze… mi sono avvicinato a piedi ai margini di Piazza Fontana: dal portone scardinato usciva fumo, odore di bruciato, odore di polvere da sparo, e tanta gente che entrava e usciva, come impazzita… uscivano in continuazione barelle, tante barelle; gente che si muoveva ancora, gente che era già coperta con un pietoso lenzuolo…
Giovanni Arnoldi, Giulio China, Eugenio Lorsini, Pietro Dendena, Carlo Galani, Calogero Galatioto, Carlo Garavaglia, Paolo Gerli, Vittorio Mocchi, Luigi Meloni, Mario Pasi, Carlo Perego, Oreste Sangalli, Angelo Scaglia, Carlo Silvia, Attilio Valè e Gerolamo Papetti lasciano questo mondo senza accorgersene, e senza sapere perché…
Non è stato un balordo isolato: la bomba esplode alle 16,37. Lo stesso giorno una bomba viene scoperta nella sede di Milano della Banca Commerciale Italiana, fortunatamente inesplosa, ma viene fatta brillare subito dopo, con molta, troppa sollecitudine, occultando così una prova importantissima che avrebbe forse permesso di risalire all'origine dell'esplosivo e a chi aveva preparato gli ordigni. A Roma, sempre lo stesso giorno alle 16,55, una bomba esplode nel passaggio sotterraneo della Banca Nazionale del Lavoro che collega l'entrata di via Veneto con quella di via San Basilio, facendo tredici feriti. Altre due bombe esplodono a Roma tra le 17,20 e le 17,30, una davanti all'Altare della Patria e l'altra all'ingresso del museo del Risorgimento, in piazza Venezia, facendo quattro feriti. In sostanza 5 attentati terroristici nel pomeriggio dello stesso giorno, tra il primo e l'ultimo un lasso di tempo di soli 53 minuti…
Inizia ufficiosamente quella che passerà alla storia come “ la strategia della tensione”. Nelle ore successive agli attentati, verranno fermati due militanti di destra, e 84 di sinistra, tanto per chiarire come gireranno le indagini. Nei cinque anni successivi (1970/1974) si conteranno non meno di 130 attentati
Le indagini prendono subito una piega precisa: a sinistra, a sinistra, senza esitazioni… sembra di vedere all’opera tanti piccoli Pisanu ante-litteram, con la loro fissa degli anarco-insurrezionalisti… Lo stesso giorno della bomba, la polizia ha già il primo colpevole “quasi certissimo”: il Pinelli, commovente “anarchico” che non aveva mai lanciato, in vita sua, che qualche parolaccia e qualche volantino. Ma tant’è: è un anarchico, è uno che non scappa di casa (quando vanno a prenderlo ha già pronta la borsa cogli effetti personali, forse, perché tanto vanno sempre da lui). Il Pinelli è uno che non si ucciderebbe neanche se avesse un tumore in fase terminale e tre miliardi di debiti. Dopo tre giorni di interrogatori, vola misteriosamente giù dal quarto piano della questura, dove il commissario Calabresi (momentaneamente e provvidenzialmente assente dalla stanza) conduce gli interrogatori; però, col freddo che fa a Milano a metà dicembre, e col Pinelli “disperato perché si sente incastrato”, la finestra è aperta; la versione ufficiale parla di suicidio, ma i quattro poliziotti e il capitano dei carabinieri Lo Grano, presenti nella stanza dell’interrogatorio al momento della morte del ferroviere, non riusciranno a fermare la corsa del Pinelli verso la finestra aperta…Saranno oggetto di un’inchiesta per omicidio colposo. Verrà poi aperto nei loro confronti un procedimento penale per omicidio volontario. Nei confronti del Commissario Calabresi, che non si trovava nella stanza, si procederà per omicidio colposo. Tutti gli imputati verranno poi prosciolti nel 1975, perché "il fatto non sussiste". Tranquilli, forse il Pinelli non è neanche morto...
La Ballata dell'Anarchico Pinelli
Quella sera a Milano era caldo - ma che caldo, che caldo faceva,
"Brigadiere, apri un po' la finestra!", una spinta ... e Pinelli va giú.
"Sor questore, io gliel'ho giá detto, le ripeto che sono innocente,
anarchia non vuol dire bombe, ma uguaglianza nella libertá".
"Poche storie, confessa, Pinelli, il tuo amico Valpreda ha parlato,
é l'autore di questo attentato ed il complice certo sei tu".
"Impossibile!", grida Pinelli, "Un compagno non puó averlo fatto
e l'autore di questo delitto fra i padroni bisogna cercar".
"Stai attento, indiziato Pinelli, questa stanza é giá piena di fumo,
se tu insisti, apriam la finestra, quattro piani son duri da far".
C'e' una bara e tremila compagni, stringevamo le nostre bandiere,
quella sera l'abbiamo giurato, non finisce di certo cosí.
E tu Guida, e tu Calabresi, se un compagno é stato ammazzato,
per coprire una strage di Stato,
questa lotta piú dura sará.
Quella sera a Milano era caldo ma che caldo, che caldo faceva,
"Brigadiere, apri un po' la finestra!",
una spinta ... e Pinelli va giú.
Questa canzone fu scritta qualche tempo dopo la morte di Giuseppe Pinelli, precipitato durante l'interrogatorio alla questura di Milano avvenuta dopo la strage di Piazza Fontana. La canzone, scritta sull'aria della vecchia canzone rivoluzionaria "Il feroce monarchico Bava" divenne, per anni, un inno della sinistra extraparlamentare contro i complotti e le stragi di stato.
Ci fu qualcuno che credette di ripercorrere le strade sperimentate con successo da Hitler e dai nazisti con l’incendio del Reichstag : compiere attentati, attribuirne la colpa alle sinistre e utilizzare la paura e il disgusto dei cittadini per dar vita ad un governo autoritario.
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16 dicembre 1969: col cadavere di Pinelli ancora caldo, arriva il secondo colpevole “quasi certissimo”: viene arrestato Pietro Valpreda, appartenente al gruppo 22 Marzo, il quale viene accusato di essere l’esecutore materiale della strage. Valpreda era un ballerino, che rimase in carcere per anni sino al punto in cui il parlamento italiano dovette votare una nuova legge per risparmiare a lui altre ingiuste sofferenze e allo stato, un’insostenibile vergogna. La conferma di tali accuse è data da un tassista, Cornelio Rolandi , che racconta di aver portato Valpreda il 12 dicembre sul luogo della strage e da Mario Merlino anch’egli militante nel gruppo 22 marzo, che però si scoprirà poi essere un neofascista infiltrato dai servizi segreti.
Mentre si prosegue ad indagare negli ambienti anarchici, si scopre che le borse utilizzate per contenere l’esplosivo sono stata acquistate a Padova e che il timer dell’ordigno proviene da Treviso. Da questi indizi si arriverà dopo più di un anno ad indagare anche negli ambienti di eversione nera.
I primi neofascisti ad essere individuati come coinvolti nell’attentato sono Franco Freda e Giovanni Ventura. Freda nasce ad Avellino e vive a Padova dove milita nella gioventù missina alle superiori e nel Fuan all’università. Abbandonerà poi l’Msi per aderire all’organizzazione Ordine Nuovo guidata da Pino Rauti. Grande ammiratore di Hitler ed Himmler è convinto sostenitore della supremazia della razza ariana. Ventura nasce a Treviso, milita nell’Azione cattolica e poi nell’Msi. È amico di Freda e come lui ha una formazione ideologica di stampo neonazista. Adesso la pista che si segue è quella nera, e l’indagine coinvolge nuovi personaggi come Guido Giannettini appartenente al Sid esperto e studioso di tecniche militari. Il suo nome viene coinvolto nelle indagini dopo le dichiarazioni di Lorenzon, un professore di Treviso amico di Giovanni Ventura, il quale riferisce al giudice Calogero alcune confidenze fattegli da Ventura circa gli attentati dinamitardi avvenuti i quel periodo. Lorenzon prende questa iniziativa il 15 dicembre ‘69, giorno in cui si reca dall’avvocato Steccarella, a Vittorio Veneto, dove stende un memoriale che poi verrà consegnato alla magistratura. Valpreda si trova ancora in carcere quando nel 1971, si scopre per caso un arsenale di munizioni NATO presso l’abitazione di un esponente veneto di Ordine Nuovo. Tra le armi ritrovate sono presenti delle casse dello stesso tipo di quelle utilizzate per contenere gli ordigni deposti in Piazza Fontana. Quell’arsenale era stato nascosto da Giovanni Ventura dopo gli attentati del 12 dicembre ’69. I magistrati scoprono inoltre che il gruppo neofascista si riuniva presso una sala dell’Università di Padova messa a disposizione dal custode Marco Pozzan, anch’egli esponente di Ordine Nuovo e fidato collaboratore di Franco Freda.
Il 23 marzo 72 inizia a Roma il primo processo per la strage, che vede come principali imputati Valpreda e Merlino. Il processo verrà poi trasferito a Milano per incompetenza territoriale ed infine a Catanzaro per motivi di ordine pubblico… Il 3 marzo ’72 Freda e Ventura vengono arrestati e con loro finisce in manette anche Pino Rauti, fondatore di Ordine Nuovo, su mandato del procuratore di Treviso, con l’accusa di ricostituzione del partito fascista, e perchè implicato negli attentati del’69 e nella strage di piazza Fontana. L’inchiesta è in mano ai magistrati milanesi D’ambrosio e Alessandrini, i quali decidono di rimettere in libertà Pino Rauti senza far cadere i capi d’accusa, per evitare che se Rauti fosse eletto deputato i fascicoli passassero ad una commissione parlamentare. Dalle indagini emerge sempre più chiaramente un collegamento fra Servizi segreti e movimenti di estrema destra. È infatti alla fine del 1972 che uomini del Sid intercettano il Pozzan , latitante dal giugno dello stesso anno, quando fu emesso nei suoi confronti un mandato di cattura per concorso nell’attentato di piazza Fontana, e dopo averlo sottoposto ad un interrogatorio ed avergli fornito un passaporto falso lo hanno fatto espatriare in Spagna.
Il Sid interviene anche per Ventura all’inizio del 1972, quando questi, detenuto nel carcere di Monza, sembra voler cedere e rivelare alcune informazioni sulla strategia della tensione, gli viene fatta avere una chiave per aprire la cella e delle bombolette di gas narcotizzante per neutralizzare le guardie di custodia permettendogli la fuga. Siamo adesso alla volta di Giannettini, il quale, legato al Sid da un rapporto di collaborazione, dopo essere stato sospettato di coinvolgimento nella strage, viene indotto ad espatriare in Francia dove continuerà ad essere stipendiato dal Servizio.
Il verminaio che ha visto allegramente coinvolti servizi italiani e stranieri, fascisti di tutte le specie, imboscatori, traslocatori di processi, sarà l’oggetto di un altro articolo. Qui vogliamo solo ricordare quello che forse tutti sanno, ma alcuni non vogliono sentirsi ripetere: il 3 maggio 2005 il processo in Cassazione (il settimo sulla strage) si chiude con le assoluzioni degli imputati e l'obbligo, da parte dei parenti delle vittime, del pagamento delle spese processuali […]
(continua alla prossima puntata)
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