Consulta, bocciata la legge Pecorella - Sì all'appello anche contro gli assolti - Presentata da uno degli avvocati di Berlusconi, fu uno dei provvedimenti sulla giustizia più contestati nella scorsa legislatura. Ciampi la rinviò alle Camere per incostituzionalità - E scoppia di nuovo la polemica. L'Ulivo: sentenza ovvia. L'ex premier: "non siamo una democrazia"
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ROMA - La Consulta ha bocciato la normativa sull'inappellabilità delle sentenze di proscioglimento, la cosiddetta legge 'Pecorella', approvata nella scorsa legislatura. In particolare, i giudici costituzionali hanno dichiarato illegittimo l'articolo 1 della legge, nel punto in cui esclude la possibilità del pubblico ministero di proporre appello contro le sentenze di assoluzione in primo grado.
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Dopo la 'ex Cirielli' sulla prescrizione breve, è stata dunque bocciata un'altra delle leggi sulla giustizia più contestate tra quelle varate durante il governo Berlusconi. Non si è fatto attendere il commento dell'ex premier: "Non siamo in una vera e piena democrazia. Questa sentenza della Corte Costituzionale ci riporta indietro ed è la conferma che tutte le istituzioni sono in mano alla sinistra che fa quello che vuole. Questa è una cosa negativa e preoccupante per tutti", ha detto in serata Silvio Berlusconi, entrando ad una cena con i deputati di Forza Italia.
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La legge (dal nome del suo proponente, Gaetano Pecorella, parlamentare di Forza Italia e avvocato di Silvio Berlusconi) era stata già rinviata alle Camere dal Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi nel gennaio 2006 perché "palesemente incostituzionale" in diversi suoi punti. Dopo alcuni ritocchi, fu riapprovata in extremis, a conclusione della scorsa legislatura.
.E riparte la polemica. Tutte le forze della maggioranza plaudono alla sentenza ma, soprattutto, sottolioneano che questa è una "sentenza annunciata" - come dice il senzatore Felice Casson - "talmente palesi erano i profili di illegittimità di alcuni elementi della legge". E dello stesso tono sono anche i commenti di Margherita, Verdi e Italia dei valori (per Di Pietro "un tassello di legalità") . Durissimi i magistrati di Magistratura democratica: "Fa giustizia di una delle tante leggi ad personam emanate nella scorsa legislatura".
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Ma il centrodestra attacca. Bondi secco: "Un colpo alla vera giustizia", afferma. Ed è molto polemico anche il tono di An che con il capogruppo della Commissione giustizia Consolo dice solo di "attendere le motivazioni di una sentenza incomprensibile". Attacca anche l'ex guardasigilli Castelli: "Una sconfitta per il cittadino".
Repubblica.it
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Berlusconi: “sentenza indegna. Non è democrazia” – Pecorella: “verdetto ad personam “
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MILANO – “Non siamo in una vera e piena democrazia»: Silvio Berlusconi non usa mezze parole per criticare pubblicamente la decisione della Corte costituzionale di dichiarare l'incostituzionalità della legge Pecorella e attacca maggioranza e giudici accusando quest’ultimi di essere nelle «mani della sinistra” […]. Prima di partecipare a una cena con i deputati di Forza Italia, l’ex premier si scaglia contro la decisione: «Questa sentenza ci riporta indietro ed è la conferma che tutte le istituzioni sono in mano alla sinistra che fa quello che vuole. Questa è una cosa negativa e preoccupante per tutti». Poi, ai deputati aggiunge che «è una cosa indegna, siamo l'unico Paese in cui una persona, che è stata assolta, è alla assoluta mercé di un’altra persona». Di «sentenza ad personam», dove la «personam » Silvio Berlusconi sarebbe vittima dei giudici costituzionali, parla l’onorevole Gaetano Pecorella (Fi), padre della norma bocciata ieri e avvocato del leader forzista, convinto che la decisone abbia uno sfondo politico e non rispetti il principio del giusto processo. La conferma Pecorella la trova nel fatto che a fare da relatore nell’udienza è stato Giovanni Maria Flick, vicepresidente della Consulta, che, ricorda, «è stato anche ministro della giustizia nel primo governo Prodi».
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Secondo Pecorella «questa sentenza è in grado di riaprire processi che già sono in Cassazione ». Come quello Sme fissato di fronte alla Corte suprema a fine febbraio e che vede Berlusconi, assolto in primo grado, imputato dopo aver «saltato» l’appello come stabiliva la legge bocciata. Ma l’ex presidente della commissione giustizia della Camera prevede anche il «caos» giudiziario con conseguente allungamento dei tempi della giustizia perché «non si sa cosa accadrà — spiega — per i processi con imputati assolti che sono in Cassazione e che non hanno avuto l’appello. Può darsi che si ritenga che debbano concludersi in Cassazione, ma è anche possibile che si decida farli tornare in appello». Una specie di gioco dell’oca. Ciò che amareggia di più Gaetano Pecorella è che con la «sua» legge sia stato anche cancellato «il grande passo avanti che era stato fatto verso i sistemi processuali occidentali basati sul contraddittorio, sulla parità delle parti, sull’esclusione dell’appello quando un cittadino è stato assolto, proprio perché il giudizio del giudice è quello che salva la persona dalla continua persecuzione di un pubblico ministero».
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Ora, invece, «tornerà ad essere decisivo non il giudizio orale e pubblico di primo grado, ma quello d’appello fatto sulle carte scritte». Al segretario di Magistratura Democratica, Ignazio Juan Patrone, che ha definito la legge Pecorella una delle leggi ad personam varate dal governo Berlusconi, il deputato azzurro annuncia che risponderà con una querela. «Dovrà avere a che fare con me di fronte a un giudice. La sua è un’affermazione falsa e diffamatoria perché ho presentato la proposta di legge ben un anno e mezzo prima che Berlusconi venisse assolto per il caso Sme dal Tribunale di Milano». Quella proposta di legge è stata «esaminata e approvata in tempi normali dal Parlamento senza che mai la sinistra abbia sollevato in aula né la questione di costituzionalità né che si trattasse di una legge ad personam, salvo poi farlo solo in campagna elettorale».
Giuseppe Guastella – Corriere.it
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…forse c’è “un giudice a Berlino”, a dispetto di Berlusconi Silvio, statista, da Arcore, e Pecorella Gaetano, Avvocato di Berlusconi Silvio, che ha fortemente voluto questa legge-vergogna mentre pro-tempore presiedeva la commissione Giustizia, impegnatissima a risolvere problemi che, come tutti sanno, andavano a vantaggio di TUTTI i cittadini, ma di alcuni cittadini un po’ di più. Ora si ritorna alla barbarie: una sentenza di primo grado, se condanna l’imputato, può essere impugnata dal condannato; se lo assolve, non può essere impugnata dal Pubblico Ministero. E’ la famosa simmetria della Giustizia, la Parità delle Parti nel processo, teorizzata in tutti i comizi da Berlusconi, Da Pecorella e persino dall’Ing, Acust. Castelli, la cui sapienza giuridica ci manca tanto…
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Ecco cosa scriveva Elio Veltri su l’Unità nel Marzo 2004 a proposito della sentenza SME, in funzione della quale è stata varata dai diretti interessanti una delle peggiori leggi-vergogna della storia della Repubblica:
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Il punto centrale delle motivazioni della sentenza Sme riguarda la corruzione del giudice Squillante da parte del corruttore, Previti, con i soldi provenienti dalla Fininvest e dalle aziende consociate. Tutto il resto è importante, ma conta poco rispetto alla questione centrale. Che il più potente giudice del Paese, fosse a libro paga dell’avvocato Cesare Previti è un fatto sconvolgente. Un fatto che non riguarda una o poche persone, ma la qualità della democrazia del nostro Paese. Il giudice dice a chiare lettere che il «porto delle nebbie» era diventato la buca delle lettere delle mazzette. Nella sentenza è scritto che «è corretta la formulazione accusatoria che attribuisce a Squillante una condotta di vendita della funzione dietro corrispettivo, individuando il genus di atti, che effettivamente appartengono alla sia specifica sia generica competenza di un magistrato appartenente ad un assai rilevante ufficio giudiziario». «Un rapporto in cui Previti», scrive il giudice «in veste di corruttore, è operante con il concorso consapevole dell’avvocato Pacifico e Squillante è il corrotto messosi a disposizione per favorire l’interesse di una parte (la Fininvest o comunque società collegate o partecipate)».
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Solo riflettendo sulla corruzione di Squillante e sul ruolo che svolgeva nel palazzo di Giustizia di Roma, si può capire quanto sia enorme la gravità dei fatti avvenuti. Squillante era il capo dei Gip di Roma, il più potente giudice del Paese, per una ragione semplice: il gip decide se arrestare un imputato, se scarcerarlo, se mandarlo sotto processo. Cioè, ha un potere decisionale maggiore di un collegio che giudica in tribunale. Ebbene cosa resta della democrazia, se un giudice tanto importante, nel quale le doti di onestà, serenità, imparzialità e trasparenza dovrebbero sommarsi, si fa corrompere e vende i suoi uffici?
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Una volta corrotto il giudice a chi può rivolgersi il cittadino per far valere i propri diritti e per trovare un po’ di giustizia? Il mugnaio prussiano che si rivolge all’imperatore e viene trattato con sufficienza, nel salutarlo gli dice: «Ci sarà pure un giudice a Berlino!». Ripeto: se il giudice di Berlino è corrotto, a chi può rivolgersi il mugnaio? Dopo il giudice, altra istanza non c’è. Ecco perché i tanti che si definiscono liberali dovrebbero urlare allo scandalo e riflettere sul degrado della democrazia. Scandalizzarsi per la corruzione dei giudici della Repubblica da parte di un deputato in carica, definito dal presidente del Consiglio perseguitato politico, dovrebbe appartenere alla sfera dei sentimenti e dei valori comuni e condivisi. Purtroppo, così non è, perché Berlusconi non solo non ha preso le distanze da Previti che a parere dei giudici ha usato i soldi della Fininvest per corrompere Squillante, il che significa che il presidente del Consiglio se non sapeva ha subito un furto, ma lo ha addirittura difeso. Esiste un solo Paese al mondo in cui un giudice corrotto viene giustificato da qualcuno? Ed esiste la possibilità che si sia corrotto da solo?
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La vicenda Sme e il modo in cui non solo gli imputati l’hanno affrontata, ci riporta al cuore della questione democratica del Paese. C’è da tremare davvero di fronte alla corruzione accertata di giudici che hanno giurato fedeltà alla Repubblica ma sono stati fedeli alle aziende del capo del Governo. Ma c’è da tremare ancora di più se classi dirigenti e cittadini reagiscono con il silenzio e l’indifferenza. È vero: sono beati quei Paesi che non hanno bisogno di eroi. Ma sono davvero disgraziati quelli in cui il mercato della Giustizia non scandalizza più nessuno.
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