Le origini della vita/3 (a cura di Charly Brown)
La difficoltà che sorge nell’esporre un argomento di questa portata sta proprio nella necessità di travolgere i confini tra i vari rami dello scibile. Necessità, che sorge soprattutto per chi, come me, è profondamente convinto che la nostra realtà non sia strutturata in caselle ermetiche e classificate in rigorose competenze etichettate come : “fisica”, “chimica” “biologia”e via dicendo, bensì da una linea ininterrotta di consequenzialità interdipendenti, da imputarsi per una parte al caso e per un altra a precise finalità, tutt’altro che casuali. La strada che ho inteso percorrere in questa trattazione, tende prevalentemente a ricollegare quella realtà che ci circonda e ci implica, sotto un unico concetto: quello di organismo. Per coloro che intendono questo termine essenzialmente legato al mondo delle strutture propriamente dette “organiche”, questa generalizzazione potrà creare qualche confusione. Per maggior chiarezza parleremo in questa sede di “organica naturale”. Ovvero delle leggi e dei principi che legano ogni struttura ad una consequenzialità predisposta a priori verso fini ben determinati.
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La miglior comprensione del ruolo del caso nel contesto dell’organica naturale è più agevole descriverlo in termini d’esempio:
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quando il seminatore lancia una manciata di semi di grano nel proprio campo, saprà con statistica approssimazione che una certa percentuale di questi andrà perduta, diventando cibo per corvi, o marcendo in zone troppo umide o per altre ragioni climatiche. Saprà anche quale all’incirca, statisticamente, sarà il numero dei semi che germoglieranno in pianta. Ovviamente non sapremo quali di essi germoglieranno e quali di essi si perderanno. Quest’aspetto della semina, rappresenta la casualità. Però sappiamo che i semi che germoglieranno, verranno a crescere esattamente nella forma e nell’aspetto che ci attendiamo di vedere. Saranno molteplici e tutti strettamente analoghi fra loro. Tanto analoghi, che ad un occhiata superficiale, essi sembreranno esattamente uguali fra loro. Questo secondo aspetto è quello che si connette con uno schema precostituito che si sviluppa dall’interno del seme.
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Consideriamo ora quest’altro aspetto: nella nostra galassia, come già detto, vi sono “seminate” circa 300 miliardi di stelle. Di queste sappiamo che una parte sono di prima generazione, quindi non adatte ad ospitare la vita. Una parte sono troppo grandi o troppo piccole per il medesimo scopo ed una parte – quelle dotate di un momento angolare intenso – non possiedono presumibilmente un sistema planetario. Quali stelle sono allora in linea di principio atte a perpetrare l’evoluzione fino alla creazione di strutture organiche attinenti alla vita? Si teorizza potrebbero essere – solo nella nostra galassia – circa mezzo miliardo. Tutte le stelle di locazione periferica, cioè quelle esterne al nucleo galattico, della classe G fino alla classe F. Ovvero dal 90% della massa del sole fino ad una massa del 120% e dotate di un sistema planetario, potrebbero essere atte a far “germogliare” la vita. Tenendo ovviamente anche conto del fatto che non tutte le stelle del genere sopra citato offrano la possibilità di avere un pianeta nell’ ecosfera (= un’orbita che non sia né troppo vicina, né troppo lontana da queste)
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Dunque, in un breve accenno nel precedente articolo, ho detto che il quark – o quello che si voglia intendere per particella basilare– o il “quanto” materiale dell’universo è quello che dovrebbe rappresentare l’ultimo e concretamente indivisibile elemento base di ogni struttura cosmica conosciuta. Poniamola come proposta assiomatica alla base di questa trattazione.
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Vediamo poi che ogni organismo a noi conosciuto, oltre a conservarsi ed espletare una certa funzione individualmente, provvede alla sua riproduzione, poiché in tutti i casi che ci è dato di osservare ogni struttura nasce, cresce e si trasforma, si riproduce ed infine s’estingue (questo anche a riguardo delle strutture cosmiche, come sistemi solari e galassie). Ma l’estinzione del singolo individuo( sia questo organismo animale o cosmico) non coincide mai, o quasi mai in linea generale, con la fine di un genere di strutture. Noi siamo abituati a distinguere organismi animati da quelli inanimati. Questa differenza però, è puramente astratta. Utile solo ad una suddivisione dello scibile ai fini di una specifica competenza. Gli organismi animati infine sono null’altro che complesse strutture di molecole altamente coordinate costruite su catene di elementi presenti nell’universo e forgiati nel nucleo delle stelle di prima generazione. Elementi come carbonio, azoto, ammoniaca, zolfo e naturalmente idrogeno ed ossigeno. Questi elementi ed altri non menzionati, in condizioni ambientali favorevoli, hanno l’inevitabile tendenza a combinarsi fra loro secondo uno schema preciso in catene di sofisticata complessione, per formare cellule del tessuto organico, quindi organismi cellulari sempre più complessi ed evoluti. Con ciò restano essenzialmente strutture atomiche composte dalle stesse particelle che compongono elementi ed oggetti che noi definiamo inanimati.
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La linea di sviluppo che va da una nube d’idrogeno all’essere intelligente sembrerebbe essere un processo di continuità ininterrotto. La stessa linea di continuità che osserviamo nel seguire il processo che porta un seme di piccole dimensioni evolversi fino ad un albero di sequoia. Il quale poi, a sua volta, produrrà altri semi per garantire la continuità della specie. L’unico fattore di differenziazione tra queste due strutture è solo il tempo di maturazione: qualche decina d’anni per quest’ultimo, qualche miliardo per il primo.
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Va bene, si verrà a commentare, ma una sequoia per evolversi da seme ad albero di ottanta metri d’altezza dovrà attingere materiale da qualche parte. Giusto: le sue radici e le sue foglie assorbono gli elementi che, elaborati e trasformati chimicamente, contribuiranno a formarne il tessuto. Ma da dove assorbe una nube d’idrogeno sparsa nel cosmo la materia utile a crescere e a trasformarsi in una galassia o in una stella ?
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E poi un’altra domanda ancora più stringente. Come fa il seme di una sequoia a sapere che è una sequoia? Non potrebbe ad un certo punto, in preda al caso, diventare un carciofo o un cespuglio d’ortiche? No di certo! esclamerà l’attento lettore: in ogni seme esiste un DNA, ovvero il programma o la software, se vogliamo, che determina lo sviluppo ad immagine e somiglianza del genere che l’ha prodotto. Il caso, semmai, lo potremo ritrovare nel fatto che non tutti i semi prodotti dall’albero verranno ad attecchire. Uno si, altri mille no. Il caso e altre combinazioni ambientali determineranno questa scelta. Ma ciò che attecchisce e prende a crescere dal seme di sequoia, sarà solo una sequoia e mai qualcos’altro.
E allora: come fa una nube d’idrogeno a sapere che diventerà stella e pianeti, che diventerà, in ogni caso portatrice di luce e secondo una statistica casualità, incubatrice di vita planetaria, e in tal caso, quasi certamente, anche di una specie intelligente. Perché non potrebbe invece diventare un carciofo spaziale o una banana cosmica?
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A quest’ultima domanda potremmo rispondere in termini puramente scientifici: perché esistono delle leggi fisiche ben precise che fan si che le molecole d’idrogeno per effetto della gravità si attraggano fra di loro, concentrandosi in nuclei sempre più compatti. Per le stesse leggi, assumono un moto rotatorio, che li separa fra loro condensandoli in uno o più grumi di materia massiccia. A causa della compressione, gli atomi si compongono per formare diversi elementi più complessi.
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Ora però, sorgono altre due domande che la scienza non ci può ancora dare e che tratteremo la prossima settimana.
(continua)
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