La smania penitenzialista che pare
abbia colto, in forma virulenta, il
nostro stimatissimo presidente della Repubblica, è uno di quei repentini
fenomeni di conversione che lasciano allibiti e confusi. Quest’uomo, approdato
al Quirinale perché “gradito” a Berlusconi , ha voluto subito mostrare (con lo
zelo del parvenu ammesso a corte) la gratitudine per la fiducia ricevuta.
Il sofferto viaggio in Ungheria, con le meste e imbarazzanti
cerimonie in memoria degli insorti del ’56 in veste di pentito ufficiale del comunismo italiano, è
stata una vicenda penosissima e mortificante: era talmente addolorato e
commosso che il presidente ungherese Solyom ha dovuto confortarlo perché
riuscisse a prender sonno. Ma l’insopprimibile empito di espiazione che cova
nell’animo di Napolitano, non gli dà pace: con la benevola e cameratesca
approvazione di Fini, convoca al Quirinale l’Associazione dei Profughi Giuliano-Dalmati,
distribuisce medaglie d’oro a piene mani e, nell’entusiasmo del momento, ne
consegna una anche al figlio
dell’ultimo prefetto repubblichino di Zara.
Non soddisfatto, e convinto di
dover pentirsi anche dei peccati altrui, si scaglia sdegnato contro la “furia
sanguinaria e il disegno annessionistico slavo… che assunse i sinistri contorni
di una pulizia etnica”, sorvolando, con stupefacente levità, sui venticinque anni di sanguinosa occupazione
italiana e di sradicamento etnico delle popolazioni slave.
Le accuse di razzismo e
revanscismo fatte dal presidente croato, sono forse eccessive: ma non si può
negare che tanto ciarpame revisionistico sarebbe eccessivo persino per quel
nostalgico gauleiter di Gasparri. Non vorremmo che, dopo l’elogio di Giovanni
Leone, dovessimo sentire quello di
Craxi, con relativa convocazione al Quirinale di tutti i galantuomini del
defunto PSI (De Michelis e Cicchitto in testa coi labari del partito) per un’altra sobria e commovente cerimonia
di pubbliche scuse e privati struggimenti del Presidente, consegna di
medagliette e pianti accorati sulla spalla di Stefania.
Nulla più impedirebbe, a questo punto, che, il 25 Aprile si rechi ginocchioni dal Vomero a Predappio col capo cosparso di cenere, flagellandosi la schiena con un gatto a nove code e, giunto sulla tomba del duce, si getti bocconi sul freddo marmo a invocare il perdono divino (e quello di Alessandra Mussolini) per le orribili sofferenze inflitte al nonno da quei lestofanti di partigiani.
Speriamo vivamente di no: ma vorremmo che il nostro Presidente, tra l’altro insignito dell’onorificenza di “Gran Cruz de la Orden de Isabela La Catolica” (he casualmente era quella che cacciò gli ebrei dalla Spagna), si rilassi e si tranquillizzi: i tempi grami dello stipendio da funzionario di partito sono finiti. Il settennato al Quirinale e il laticlavio onorario a vita non glieli toglie più nessuno.
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