"Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani". Benito Mussolini, 1920
.(di Marco Ottonelli - DemocraziaLegalità)
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S L O V E N I !
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Al momento dell'annessione, l'Italia vittoriosa vi ha dato condizioni estremamente umane e favorevoli. Dipendeva unicamente da voi, di vivere in un'oasi di pace. Invece molti di voi hanno impugnato le armi contro le autorità e le truppe italiane. Queste, per un alto senso di civiltà ed umanità, si sono limitate all'azione militare, evitando misure che gravassero sul'insieme della popolazione ed ostacolassero la normale vita economica del paese.
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E' solo quando i rivoltosi sono trascesi ad orrendi delitti contro italiani isolati, contro vostri pacifici concittadini e persino contro donne e bambini, che le autorità italiane sono ricorse a misure di rappresaglia ed a qualche provvedimento restrittivo, di cui soffrite per causa dei rivoltosi.
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Ora, poichè i rivoltosi continuano la serie di delitti, e poichè una parte della popolazione persiste nel favorire la ribellione, disponiano quanto segue:
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1°) A partire da oggi nell'intera Provincia di Lubiana sono soppressi tutti i treni viaggiatori locali; è vietato a chiunque viaggiare sui treni in transito, tranne a chi è in possesso di passaporto per le altre provincie del regno e per l'estero; sono soppresse tutte le autocorriere; è vietato il movimento con qualsiasi mezzo di locomozione, fra centro abitato e centro abitato; è vietata la sosta ed il movimento, tranne che nei centri abitati, nello spazio di un chilometro dai due lati delle linee ferroviarie. (Sarà aperto senz'altro il fuoco sui contravventori); sono soppresse tutte le comunicazioni telefoniche e postali, urbane ed interurbane.
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2°) A partire da oggi nell'intera Provincia di Lubiana, saranno immediatamente passati per le armi: Coloro che faranno comunque atti di ostilità alle autorità e truppe italiane; coloro che verranno trovati in possesso di armi, munizioni ed esplosivi; coloro che favoriranno comunque i rivoltosi; coloro che verranno trovati in possesso di passaporti, carte di identità e lasciapassare falsificati; i maschi validi che si troveranno in qualsiasi atteggiamento - senza giustificato motivo - nelle zone di combattimento.
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3°) A partire da oggi nell'intera Provincia di Lubiana, saranno rasi al suolo: gli edifizii da cui partiranno offese alle autorità e truppe italiane; gli edifizii in cui verranno trovate armi, munizioni, esplosivi e materiali bellici; le abitazioni in cui i proprietari abbiano dato volontariamente ospitalità ai rivoltosi. Sapendo che fra i rivoltosi si trovano individui che sono stati costretti a seguirli nei boschi, ed altri che si pentono di aver abbandonato le loro case e le loro famiglie, garantiamo salva la vita a coloro che, prima del combattimento, si presentino alle truppe italiane e consegnino loro le armi. Le popolazioni che si manterranno tranquille, e che avranno contegno corretto rispetto alle autorità e alle truppe italiane, non avranno nulla a temere, nè per le persone, nè per i loro beni.
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gen. Roatta, Lubiana luglio 1942 – XX
Premessa: la redazione di DemocraziaLegalità ha, come suo scopo principale, sempre privilegiato, quello della ricerca obiettiva della realtà dei fatti, anche quando scomoda e dolorosa. In un momento storico in cui gli eredi del partito fascista sono al governo del Paese, ed in cui la retorica patriottarda risuona ancor più violenta e oscurantista del solito, riteniamo necessario ricollocare storicamente e documentatamente la vicenda delle foibe istriane, vicenda alla quale la destra e le sinistra amorevolmente unite hanno deciso di dedicare una speciale giornata della memoria. Anzi, il ministro Gasparri ha voluto sollecitare tutti i mezzi di informazione liberi ad occuparsi della vicenda. Ci siamo occupati di questo aspetto nell’articolo “Ultime dal Minculpop”. La nostra redazione ha partecipato ad una trasmissione radiofonica – trasmessa da Controradio - che è servita a far luce e a chiarire la verità, appunto, di quel tragico periodo. L’audio completo della trasmissione, cui hanno partecipato Raffaele Palumbo, Nicola Tranfaglia, Giacomo Scotti, Marco Ottanelli, Giovanni Bellini, Sandro Damiani è disponibile nel CD intitolato “l’impunità” in vendita tramite il sito di DemocraziaLegalità.
Le origini antiche di un odio feroce
Sia nella Serenissima Repubblica Veneta, sia nell’Impero Austro-Ungarico, il concetto di nazionalità era tanto sfumato quanto poco “etnico”. È solo dopo la prima guerra mondiale, cioè quando i nazionalismi si affermano fino a sfociare nei razzismi di Stato, che il Regno di Italia comincia una politica di italianizzazione forzata delle “terre irredente”. Da ogni regione, piovono funzionari e impiegati pubblici, che sostituiscono i locali. La lingua ufficiale, anzi, obbligatoria, diventa l’italiano, e dialetti e lingue dei popoli presenti sul territorio sono vietati, proibiti. Se l’effetto di tale norma è assai violento nelle città della costa, dove comunque gli “italiani” erano in maggioranza o assai numerosi, e dove bi e trilinguismo erano la norma, è nelle zone rurali e nell’interno che gli slavi (sloveni, croati, dalmati, cici), in gran parte contadini poco alfabetizzati, si ritrovano ad essere stranieri in patria. Le durissime condizioni imposte dal Regno si fanno ancora più rigide ed intolleranti con il fascismo. Tra gli episodi da ricordare: la chiusura del liceo classico di Pisino, dell'istituto magistrale femminile di Pisino e del ginnasio di Volosca (1918), la chiusura delle scuole elementari slovene e croate, e il confino di alcuni esponenti Sloveni e Croati in Sardegna e in altre località italiane. A ciò si aggiungevano le violenze fasciste non contrastate dalle autorità, come gli incendi delle sedi associative a Pola e a Trieste. In Istria l'uso dello sloveno e del croato nell'amministrazione e nei tribunali era stato limitato già durante l'occupazione (1918-1920). Nel marzo 1923 il prefetto della Venezia Giulia vietò l'uso dello sloveno e del croato nell'amministrazione, mentre per decreto regio il loro uso nei tribunali fu vietato il 15 ottobre 1925. Il colpo definitivo al sistema scolastico sloveno e croato in Istria arrivò il 1 ottobre 1923 con la riforma scolastica del ministro Gentile. L'attività delle società e delle associazioni croate e slovene era stata vietata già durante l'occupazione, ma poi specialmente con l'entrata in vigore della Legge sulle associazioni (1925), Legge sulle manifestazioni pubbliche (1926) e Legge sull'ordine pubblico (1926). Nel 1927 fu il turno del cambiamento dei cognomi (la toponomastica era già stata italianizzata nel 1923). Così vennero italianizzati quasi tutti i cognomi sloveni e croati. Un vero atto di brutalità verso le identità personali. (Non dobbiamo dimenticarci che tali provvedimenti vennero presi anche a Zara e Fiume, città “extraterritoriali” che furono annesse a forza dopo la prima guerra mondiale.)
Le leggi razziali antiebraiche e genetiche del 1938 (che seguono le meno famose, meno organiche, ma altrettanto famigerate leggi razziali del ’36-’37 emanate nei confronti dei popoli di pelle nera, e altri “coloniali”) dividono ancor più la cittadinanza in due categorie, gli “italiani puri” e gli inferiori. Duramente colpita, in particolare, la numerosa e antica comunità ebraica di Trieste, da sempre città cosmopolita e multiculturale.
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La Seconda Guerra Mondiale
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La ignobile aggressione alla Grecia obbliga i comandi italiani in difficoltà a chiedere l’intervento della Germania, mettendo così fine alla illusione della “guerra parallela”. Nel 1941, dopo un criminale bombardamento su Belgrado, che viene rasa al suolo, Tedeschi, Ungheresi e Italiani invadono la Jugoslavia, occupandola completamente in poche settimane.
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All’Italia spettano: l’intera costa dalmata, parte del Montenegro, quasi l’intera Slovenia e la Croazia, sotto forma di protettorato. La Slovenia viene annessa, e diventa la provincia di Lubiana. La Croazia diventa un regno “indipendente”, con primo ministro Ante Pavelic, un fascista feroce e sanguinario, amico di vecchia data di Mussolini, e come Re un cugino di Vittorio Emanuele III, Aimone di Aosta. Il partito fascista e razzista croato, gli Ustascia, formato da fanatici religiosi (cattolici) e nazionalisti, appoggiati dal vescovo di Zagabria e primate di Croazia Stepinac, intraprendono fin da subito una opera di pulizia etnica nei confronti di Serbi e altre minoranze, spesso spalleggiati dalle truppe italiane.
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L’intera Jugoslavia diventa territorio di stragi e di crudeltà. Alla fine della guerra, sarà uno dei paesi che avrà pagato il più alto tributo di morti, da calcolarsi in circa 1 milione e mezzo di persone su 16 milioni di abitanti (si pensi che i caduti italiani tra civili e militari, fra battaglie e bombardamenti, repressioni e fucilazioni, non supera le 300 mila unità su 45 milioni di abitanti). Fatte le proporzioni, è come se in Italia fossero stati ammazzati, in un modo o nell’altro, 4.200.000 connazionali. Pensiamo davvero che vorremmo tanto bene agli jugoslavi???
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In particolare, sono da attribuirsi alla responsabilità diretta delle truppe di occupazione italiana almeno 250 mila morti, che le fonti serbe però portano ad un totale di 300 mila. Di questi, i morti in combattimento sono una parte esigua, perché la stragrande maggioranza delle vittime fu dovuta a vere e proprie stragi e repressioni, a saccheggi e a brutalità. In particolare, è da ricordare il ruolo della II Armata Italiana, sotto il comando del generale Roatta.
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La situazione è differenziata nei diversi territori: le peggiori e più inumane condizioni si verificarono nella Jugoslavia meridionale, dove si aprì una vera e propria caccia al serbo. Vere e proprie spedizioni italo-croate partivano alla volta dei villaggi e delle cittadine serbe, dove, in un’orgia di violenze di ogni tipo, centinaia di uomini, donne e bambini venivano torturati e uccisi. I villaggi jugoslavi distrutti dagli italiani sono non meno di 250, ai quali vanno aggiunti quelli distrutti in collaborazione con i tedeschi o con altre milizie dell’Asse. 250 Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema in cui i colpevoli, i macellai, eravamo noi. Gli episodi di efferatezza e di crudeltà non si contano, e le mutilazioni, gli stupri, gli accecamenti erano all’ordine del giorno.
Il comandante partigiano cattolico Edvard Kocbek così descriveva un'offensiva sferrata dall'esercito italiano nell'agosto del 1942: "I villaggi bruciano, i campi di grano e i frutteti sono stati devastati dal nemico, le donne e i bambini strillano, quasi in ogni villaggio degli ostaggi vengono passati per le armi, centinaia di persone vengono trascinate nei campi di prigionia, i bovini muggiscono e vanno vagando per i boschi. La cosa più sconvolgente è che questi orrori non vengono perpetrati da un'accozzaglia di primitivi come al tempo delle invasioni turche, ma dai gioviali soldati del civile esercito italiano, comandati da freddi ufficiali che impugnano fruste per cani... ". Spesso i partigiani slavi, o gli indifesi abitanti delle campagne, erano bruciati vivi (su roghi di fascine, o chiusi nelle chiese ortodosse, che furono distrutte – in questo modo- in gran numero). Le deportazioni della “inferiore razza serba” furono massicce, e decine di migliaia di ex soldati o di cittadini serbi fu avviata ai campi di sterminio tedeschi o a quello della Risiera di San Sabba, a Trieste, assieme con ebrei ed altre minoranze.
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In Croazia, nel “regno indipendente”, l’opera delle truppe italiane fu di supporto e affiancamento alle milizie ustascia, mentre nelle coste e isole annesse, la repressione della II armata fu assai più pianificata e scientifica. Stessa cosa in Slovenia, che, entrata a far parte del territorio nazionale, doveva essere completamente assimilata.
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Gli occupanti italiani costruirono campi di concentramento che, seppur non scientificamente predisposti allo sterminio, furono la causa di migliaia di morti e di infinite sofferenze. Tutti conosciamo Auschwitz e Buchenwald, ma decenni di censure ci hanno impedito di sapere che noi, italiani, costruimmo e gestimmo i leger di Kraljevica, Lopud, Kupari, Korica, Brac, Hvar, Rab (isola di Arbe). Furono creati campi anche in Italia, per esempio a Gonars (Udine), a Monigo (Treviso), a Renicci di Anghiari (Arezzo) e a Padova. Secondo stime rapportate nel volume dell'A.N.P.P.I.A. “Pericolosi nelle contingenze belliche”, i fascisti internarono quasi 30.000 sloveni e croati, uomini, donne e bambini. In Slovenia, già dall’ottobre del 1941, il tribunale speciale pronuncia le prime condanne a morte, il mese dopo entra in funzione il tribunale di guerra. La lotta contro i partigiani, che diventano una realtà in continua espansione, si sviluppa nel quadro di una strategia politico-operativa rivolta alla colonizzazione di quei territori. Con l’intervento diretto dei comandi militari italiani la politica della violenza si esercita nelle più svariate forme: iniziano le esecuzioni sommarie sul posto, incendi di paesi, deportazioni di massa, esecuzioni di ostaggi, rappresaglie sulle popolazioni a scopo intimidatorio e punitivo, saccheggiamento dei beni, setacciamento sistematico delle città, rastrellamenti… prende corpo il progetto di deportazione di massa, con il trasferimento forzato degli abitanti di Lubiana, progetto che i comandi discutono con Mussolini in un incontro a Gorizia il 31 luglio 1942 . In una lettera spedita al Comando supremo dal generale Roatta in data 8 settembre 1942 (N. 08906), viene proposta, addirittura, la deportazione della intera popolazione slovena
Solo per quel che riguarda la piccola Slovenia, nei lager italiani morirono 13.606 sloveni e croati. Nel lager di Arbe (sull’isola di Rab) ne morirono dai 1.500 ai 2.500 circa. I civili e partigiani “fucilati sul posto”, cioè durante azioni belliche, furono non meno di 2.500. 1.500 invece i fucilati civili trattenuti come ostaggi, uccisi cioè mesi dopo il loro internamento, per stanare le bande partigiane o per vendetta contro azioni verso i nostri militari. I morti per sevizie, torture, o bruciati vivi arrivano ad un totale documentato di 187. Ripetiamo: questo solo nella “provincia di Lubiana”, dove più numerose sono le documentazioni giuntaci. Altrettanto duro, e crudele, è il campo di Gonas vicino Udine. Qua sono migliaia i bambini, soprattutto croati, lasciati a morire letteralmente di fame. (A proposito di morte per fame, è da ricordare come una buona parte dei 100 mila greci deceduti sotto l’occupazione italiana, morì appunto di inedia, poiché, per mantenere i numerosissimi uomini del contingente di occupazione- al quale sono da includere anche i famosissimi reparti di Cefalonia e di Corfù- si procedette con una espoliazione totale delle risorse locali).
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STRALCIO DELLE COMUNICAZIONI VERBALI FATTE DALL'ECC. ROATTA NELLA RIUNIONE DI FIUME DEL GIORNO 23-5-1942
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"Il DUCE è assai seccato della situazione in Slovenia perchè Lubiana è provincia italiana […] Anche il Duce ha detto di ricordarsi che la miglior situazione si fa quando il nemico è morto. Occorre quindi poter disporre di numerosi ostaggi e applicare la fucilazione tutte le volte che ciò sia necessario […]
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L'Ecc. Roatta esprime il suo pensiero nei riguardi del sistema da usare per risolvere la situazione in Slovenia:
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-1) Chiudere la frontiera con la provincia di Fiume e con la Croazia, specialmente nella zona di Gorjanci […]
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-2) Ad oriente del vecchio confine sgombrare tutta la regione per una zona di una profondità variabile (3-4 km.). In tale zona sarebbe interdetta qualsiasi circolazione tranne che sulle ferrovie e sulle strade di grande comunicazione. Apposite pattuglie in servizio di vigilanza aprirebbero senz'altro il fuoco contro chiunque. Il Duce concorda nel concetto di internare molta gente - anche 20-30.000 persone. Si può quindi estendere il criterio di internamento a determinate categorie di persone. Ad esempio: studenti. L'azione però deve essere fatta bene cioè con forze che limitino le evasioni […]
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Ricordarsi che tutti i provvedimenti di sgombero di gente, li dovremo fare di nostra iniziativa senza guardare in faccia nessuno.
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F.to: Generale Roatta (23 maggion 1942)
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Nota del Generale Robotti al Capo di Stato Maggiore Galli
”…chiarire bene il trattamento dei sospetti, perchè mi pare che su 73 sospetti non trovar modo di dare neppure un esempio è un po' troppo. Cosa dicono le norme della 3° circolare, e quelle successive ?…”
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Conclusione: SI AMMAZZA TROPPO POCO !
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Il bilancio
Anche se le dimensioni di una tragedia non dovrebbero essere misurate solo dal numero delle vittime, è chiaro che le cifre sono sempre di forte impatto. In questa ottica, sul numero dei morti dei quaranta giorni di occupazione slava (Tito fu poi indotto a ripiegare e ad abbandonare almeno la fascia costiera) e di quelli del periodo successivo dell’immediato dopoguerra, si è scatenato un indegno balletto. Fonti della destra e di associazioni di profughi parlano di 20-30 mila morti, ma tali numeri sono assolutamente esorbitanti. Il dibattito triestino e giuliano, dentro e fuori dei confini nazionali, ha spesso esasperato i calcoli, le cifre sono state, talvolta, sparate alla cieca. Gli studiosi, ma non soltanto loro, hanno, invece, fatto un buon lavoro. Si è arrivati a indicare cifre attorno alle quattro-cinque mila vittime. Una cifra che comprende, lo ribadiamo, non solo gli infoibati. I quali, calcolati secondo il criterio dei corpi estratti direttamente dalle caverne, sono in effetti 570. Cinquecentosettanta sono dunque gli ufficialmente infoibati. Molti. Ma nulla giustifica i bilanci di fantasia, stilati nell’ordine delle decine di migliaia solo a scopo di pura propaganda e di falsificazione della Storia.
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I morti degli altri
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Se non esistono morti buoni e morti cattivi, non crediamo debbano esistere morti eroi e morti da dimenticare a seconda di chi li ha uccisi. Perché la stragrande maggioranza delle perdite italiane nella guerra derivano dai bombardamenti anglo-americani. Qua non vogliamo elencare le stragi provocate dai massicci e spesso indiscriminati bombardamenti sui civili anche – e soprattutto - dopo la firma dell’armistizio, perché il terreno è troppo vasto. Potremmo raccontare dei 20 mila morti (questi sì, documentati) di una piccola città come Foggia, o di Isernia, che perse un terzo dei suoi abitanti sotto gli attacchi aerei. Potremmo raccontare di Napoli, Livorno, Messina, Palermo e Genova, dove i lutti furono numerosissimi e i danni incalcolabili. O del terribile bombardamento di Treviso. O di quelli indiscriminati che gli aeroplani anglosassoni facevano al ritorno dalle loro missioni, sganciando il “carico in eccesso”, cioè le bombe avanzate, su case e paesi (pratica in uso anche nella guerra alla Serbia del 1999, con lo scarico di bombe in Adriatico). Potremmo anche soffermarci su episodi di esplicito cinismo e crudeltà, come il mitragliamento di bambini alle giostre di Grosseto, o quello dei civili in fila per il pane nelle campagne di Caltagirone. Ma circoscriveremo l’analisi alla sola zona geografica della quale stiamo trattando.
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Trieste viene attaccata massicciamente, per la prima volta, nel 1944. Il bombardamento più pesante è quello del 10 giugno, che viene effettuato come rappresaglia per l’anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia. Solo quel giorno, i morti sono più di 400, migliaia i feriti. Solo nei raid del 15 luglio, del 9 - 10 settembre e del 23 ottobre 1944, si contano rispettivamente 50, 150, e 75 morti. I bombardamenti proseguono fino al maggio 1945 sia sul capoluogo, che sulle cittadine circostanti. Molti i morti anche a Muggia.
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Pola, Istria e Fiume: anche le più piccole località furono martellate ininterrottamente. Pola fu gravemente danneggiata, con decine e decine di morti, fin dal 1943, ma il primo attacco massiccio è datato 8 settembre 1944. Fiume, con porto e industrie militari, subisce distruzioni enormi e paga un altissimo tributo in vite umane.
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Ma l’accanimento degli anglo-americani si manifesta soprattutto nei confronti di Zara. La piccola enclave (1,5 Km quadrati) subirà infatti ben 54 bombardamenti, che ne provocheranno la quasi distruzione. I morti saranno più di 4.000 su una popolazione di 38mila persone.
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Ma per i revisionisti, per i professionisti della cantilena anticomunista, questi morti – dilaniati, straziati, bruciati dagli ordigni caduti dal cielo - non contano. Non contano come non contano gli altri, nel resto d’Italia, caduti – dal 1943, anno dell’armistizio, in poi - esattamente come gli infoibati, anche se la loro morte cadeva dal cielo. La teoria della “pulizia etnica” è tanto forzosa quanto miserabile, poiché la parte politica che, con questo pretesto, insiste da 60 anni in una violenta e brutale campagna (basta leggere alcuni siti web ed alcune riviste di … irredentisti) è la stessa che, negli anni del conflitto, intraprese una pianificata, scientifica, ufficiale e legale, nel senso che fu supportata da infami leggi razziste), campagna di genocidio e di morte nei confronti di ogni minoranza etnica, e, nelle terre conquistate, verso anche i popoli autoctoni maggioritari. Chi ha approvato ed esaltato, forse anche eseguito, i massacri, le deportazioni, i lager, i forni crematori, oggi dovrebbe avere la dignità di tacere.
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