Le origini della vita/6 (a cura di Charly Brown)
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Quando si tratta di formazione ed evoluzione di sistemi ecologici, intendendo con questo termine, il sorgere di pianeti adatti a favorire il sorgere e l’evolversi della vita, i milioni o i miliardi di anni diventano termini più che altro indicativi. Le tecnologie di laboratorio possono con una buona approssimazione stabilire l’epoca di formazione di certe strutture eco-geologiche, abbastanza recenti. Più indietro si va nel tempo e più diventa difficile stabilire una data precisa: l’approssimazione, insomma, diventa sempre più grande.
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Questa premessa per dire che, più si affinano le tecniche di determinazione cronologica, tanto più si modificano i concetti di “tempo” , riferito ovviamente all’anzianità dei reperti: alcuni potrebbero risultare più recenti di quanto si credeva, altri superare addirittura i limiti di quello che si intendeva come il punto d’inizio di ogni cosa. La vita del nostro pianeta, era stata, in un recente passato scientifico, fissata intorno ai 4 miliardi di anni fa. Oggi si prospetta di poterla far risalire tra 4,5 e i 5 miliardi di anni. Ma alla fine sono numeri e come tali, in questa sede, ci interessano poco. Quello che ci preme capire è come questo sia avvenuto, piuttosto di un ipotetico “quando”. Tutto ciò, in definitiva, esclude categoricamente ogni possibilità che il nostro sistema sia stato messo insieme in sei giorni di circa quattromila anni fa, a partire dalle 9 di mattina (orario di Greenwich??)
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La scorsa settimana avevamo lasciato il nostro pianeta nella stretta di un diluvio universale, che, stando a dati di ragionevole concretezza, non sarebbe durato 40 giorni, ma circa mezzo miliardo di anni, il che avrebbe consentito a Noè di ornarsi di una barba ben più lunga di quella cresciutagli in oltre ottocento anni della sua vita (che probabilmente erano ottocento “lune” – circa settant’anni - ma si sa, anche i libri sacri possono venire tradotti e riscritti anche da certosini un po’ distratti).
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Col raffreddarsi della crosta terrestre è ovvio aspettarsi un rallentamento dell’evaporazione e quindi un alternarsi della piovosità ad ampie schiarite, dove finalmente i raggi del sole avrebbero cominciato a modificare sinteticamente l’alchimia dell’ambiente originario. Cosa successe in quel periodo? Successe che l’irradiazione solare influì sostanzialmente a due livelli: uno nelle acque degli oceani, l’altro sulle terre emerse. Uno, di organizzazioni molecolari mobili e uno, di organizzazioni molecolari immobili. Mentre nell’acqua i raggi del sole favorivano il formarsi di catene molecolari sempre più complesse, e inseguito compendiati in organismi dotati evolutivamente di sistemi rudimentali, ma efficaci di locomozione, sulle terre emerse, ma ben fornite ed irrorate d’acqua, si sviluppavano organismi radicati al terreno. Questa divisione è conseguenza del fatto che mentre la vita mobile ha necessità di ossigeno, quella immobile non ne fa uso alcuno, anzi lo rifiuta come scarto organico. Gli organismi acquatici si avvalgono dell’ossigeno che i raggi del sole scompongono per elettrolisi dall’acqua. Gli organismi all’asciutto, sempre sotto l’influsso dei raggi del sole, scompongono le molecole di anidride carbonica, attraverso la funzione clorofilliana: un atomo di carbonio per me, che mi faccio corteccia e foglie, due atomi di ossigeno come mancia all’atmosfera, per chi più tardi ne verrà ad usufruire. Su queste basi si venne a formare una divisione tra flora e fauna o tra regno vegetale e regno animale.
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Ora vediamo che, un vegetale è un organismo apparentemente semplice, almeno per quanto riguarda i suoi gusti e le sue esigenze: trae il suo nutrimento dal terreno e forma il suo tessuto organico grazie al carbonio che estrae per sintesi dall’atmosfera. L’adattamento dei vegetali è, sotto quest’aspetto, semplicemente circoscritto: un po’ di terra per piantare radici, acqua e sole. Elementi di sussistenza che non ha bisogno di andarsi a cercare al supermercato, ma che trova gratis et amore naturae, standosene in panciolle.
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Altro destino spetta invece agli organismi deambulanti originariamente nati nell’acqua, che per garantirsi il nutrimento sono costretti a muovere le chiappe, anche perché gli altri organismi di cui si nutrono fanno altrettanto e spesso più velocemente di chi cerca di fare merenda con questi. Insomma, l’esistenza “mobile”crea una complessità evolutiva molto più intensa, più aggressiva e sempre più diretta allo sviluppo di difese naturali, e dell’attitudine a sviluppare i mezzi per procacciarsi il necessario a sopravvivere anche a scapito di altri organismi.
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Marx, nella sua interpretazione materialistica della storia, fu il primo a documentare il fatto che l’economia o la necessità di procacciarsi i mezzi per l’esistenza materiale, influisca basilarmente sulla concezione dei rapporti sociali e sulla sovrastruttura. Forse il suo ottimismo eccessivo si fonda sul dato che questi, da noi definiti, rapporti sociali, hanno radici tanto lontane e tanto radicate nella logica evolutiva degli organismi mobili, che difficilmente possono esser modificati con qualche decennio di comunismo. Se Marx avesse proposto di trasformarci in vegetali, invece di socializzare i mezzi di produzione, oggi il mondo sarebbe un paradiso di pace, senza più sfruttatori ne’ sfruttati. Resta la tristezza di considerare che la società vegetale sia infine una organizzazione infinitamente più civile e tollerante di quella che giocoforza noi, discendenti, dell’organismo deambulante, abbiamo potuto creare.
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Ma torniamo alla realtà delle cose, quella che ha indirizzato irreversibilmente questo processo evolutivo, fondato sulla dialettica, sulla selettività naturale e sulla ricerca di equilibrio. Se dovessimo cercare un peccato originale, fu proprio questo, di quei nostri avi monocellulari che per sopravvivere all’ aggressione degl’altri e per mantenere un equilibrio selettivo sono stati costretti ad organizzarsi in strutture complesse per fornirsi di pungiglioni, di denti, tentacoli artigli, veleni e infine di un organo addetto a coordinare tutte le funzioni di difesa e di attacco, per garantirsi una sopravvivenza stabile, per dominare sugl’altri, per salire dopo miliardi d’anni di selezioni e sopraffazioni, al trono di homo sapiens.
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(continua)
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