Le origini della vita/9 - Epilogo
Il risultato di questa breve ricerca sulle origini della vita volge al fine di stabilire un rapporto tra casualità e finalizzazione prestabilita, in una linea di continuità che trapassi, senza odore di miracolo, la soglia tra realtà inanimata e realtà animata. Continuità che ritroviamo in linea di esempio, nel percorso che lega, nel suo sviluppo, le radici di un albero, ai suoi rami, foglie, fiori e frutti.
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Per accettare realisticamente questo risultato, abbiamo detto, ci si deve in primo luogo adattare all’idea che anche il cosmo, nella sua totalità debba considerarsi come un organismo, con le sue radici, i suoi equilibri, e le sue finalità, che nel caso specifico vanno, come si è detto, da una nube d’idrogeno, fino al risultato finale, rappresentato da quel “frutto” che contiene concettualmente la comprensione e la realizzazione in termini critici dell’organismo di cui fa parte: l’uomo e il suo universo, come parti inscindibili della medesima struttura. Così come lo è il nostro cervello nei confronti di tutti gli altri organi, non pensanti, ma più o meno essenzialmente indispensabili al suo funzionamento. Questa ragione, peraltro, suggella il legame indissolubile tra la nostra esistenza e l’ambiente che ci ha creati. Confermando altresì, in termini più realistici che etici, la necessità di dedicare all’ambiente la stessa cura cui il nostro cervello dedica alle altre parti acritiche ma indispensabili del corpo.
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Menenio Agrippa, che con la sua famosa parabola pose fine alla rivolta degli schiavi, precorre i tempi di questa ipotesi. Ma egli, negligentemente si dimentica di aggiungere nella sua suggestiva esposizione, che se alle mani che portano il cibo alla bocca, non venisse distribuito in giusta misura una parte del nutrimento di cui esse provvedono ad approvvigionare il ventre, quest’ultimo si impinguerebbe di grasso superfluo, facendo marcire le mani nell’inedia. Su questa consapevolezza, spesso innata, traggono le menti più sensibili e più consapevoli di appartenere ad una comunità , più che ad un’accozzaglia d’individui rissosi, il senso etico di prodigarsi anche per il benessere di altre “parti periferiche”dell’organismo sociale, che, stando sulla falsa riga della storiella di Agrippa, sono costrette a subire la paternalistica benevolenza e le bizze di un epa colmo fino al vomito, ma mai sazio.
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La storia della società umana dagl’albori della preistoria fino ad oggi, ripropone gli stessi principi e gli stessi processi con cui ogni organismo si evolve, integrando per sintesi gli estremi dialettici in organizzazioni sempre più coese ed efficienti, anche se l’attuale stato di cose rappresenta ancora una fase intermedia nel lungo processo d’integrazione e di strutturazione della società mondiale. Un processo che ha visto nuclei famigliari integrarsi in tribù, dalla tribù alle organizzazioni feudali, al concetto di stato e di federazione di stati. Vedendo le cose individualmente e limitatamente al tempo della nostra esistenza, questo processo evolutivo sfugge alla nostra attenzione, così come sfugge ad una madre il lento ma progressivo crescere del figlio, quando questo è oggetto di quotidiana osservazione. Per comprendere ed accettare questo concetto come realtà inconfutabile, occorre liberarsi per un attimo dal proprio individualismo, dall’importanza soggettiva di essere nati da chi e dove si è nati, dall’unicità di chiamarsi Rossi invece che Gialli, dalla certezza di avere dalla propria parte un dio sempre pronto a giustificare ogni nostra nefandezza e a giudicare severamente quella degl’altri. Ma più ancora, riuscire a comprendere che ciò che è ora, non è ciò che sarà nel futuro, così come non è più come fu nel passato. Ciò che è oggi, è ciò che per la logica evolutiva dell’organismo sociale deve essere e che non potrebbe essere diversamente.
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La nostra esistenza come esseri raziocinati o divenuti tali attraverso un lungo percorso evolutivo, non ha paragoni. L’intuizione di un fine inteso come quelle di civile organizzazione, non può venire assunto scientificamente attraverso una verifica di paragone con circostanze analoghe. Queste ci sono sconosciute. Nessuno è mai venuto a farci partecipe di precedenti esperienze, così come noi le trasmettiamo di generazione in generazione e se qualcuno ci fu, non ne ha mai lasciato una traccia tangibile e nemmeno molto chiara.
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Tuttavia, è difficile disconoscere l’esistenza di un filo conduttore, di un processo di sviluppo che s’identifica in ogni struttura esistente e che tende in ognuna di queste a riunire e coordinare una quantità sempre crescente di singoli elementi attorno ad un interesse comune di sopravvivenza e di cooperativa efficienza. Soltanto su questa osservazione è possibile stabilire con qualche certezza che il nostro esistere complessivamente non sia né una beffa del caso né un’anomalia planetaria, ma il fine ultimo scolpito nella materia di cui ogni esistenza è composta e che inequivocabilmente suggerisce l’idea di un universo vivo, che si è posto come fine quello d’ incarnarsi in una esistenza dotata dei sensi e della logica necessaria per assumerlo e comprenderlo e usufruire, un giorno, quando il suo segreto verrà penetrato, dell’eredità di una virtuale onnipotenza.
Charly Brown
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Si conclude temporaneamente questa serie di articoli di Charly Brown, che hanno suscitato grande curiosità, anche, e forse principalmente, fra i "non addetti ai lavori", che poi è lo scopo che si prefigge una serie di articoli divulgativi, su materie a volte ostiche per i più. Ora Charly farà una pausa (spero breve) dovuta ad impegni precedentemente assunti, e alla necessità di "ricaricare le pile", ma tornerà presto coi suoi articoli.
Taf
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