...a cura di Tafanus
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La fama di Keith Jarrett è talmente consolidata ed universale, che poco possiamo aggiungere a quanto riportano le biografie ufficiali. Nasce negli USA nel 1945, e fin da bambino mangia pane e pianoforte. E’ pianista la nonna paterna, è insegnante di piano sua zia, e sua madre canta in alcune piccole bands della Pennsylvania, dove la famiglia vive. Keith Inizia a studiare il piano a tre anni, dà il primo concerto a 9, e comincia stabilmente a guadagnare soldini a 12. A 18 anni lo ritroviamo prima alla celeberrima Berklee Music School di Boston (è una scuola che sentirete nominare spesso, perchè sta partorendo un sacco di jazzisti (e soprattutto di jazziste) in arrivo dall’Italia, quasi tutti predestinati a grandi affermazioni professionali neli USA e in giro per il mondo.
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A vent’anni è a New York, con Art Blakey e i Jazz Messengers, un gruppo che ha fatto la storia di questa musica. Pochi mesi, ed arriva un’altra tappa fondamentale della sua vita: incrocia il batterista Jack DeJohnette, che ritroverà più tardi, per formare, insieme a lui e al bassista Gary Peacock, un trio che è stato forse il più stabile, nel tempo della storia del jazz: 15 anni insieme, una vita... Ma prima di questa avventura, che sarà la più importante della sua vita, farà in tempo ad essere “scoperto” ed assunto da Miles Davis, e a militare in gruppi nei quali suonano personaggi del calibro di Herbie Hancock e Chick Corea.
Il suo storico trio, insieme a Jack DeJohnette e Gary Peacock, nasce nell’83, e resiste per 15 anni, trovando una perfezione formale, un amalgama, che forse in tutta la storia del jazz moderno hanno raggiunto solo il Trio di Bill Evans del ’64, con Scott La Faro e Paul Motian, ed il Modern Jazz Quartet. Poi Jarrett deve interrompere la collaborazione, verso la fine degli anni ’90, per una “sindrome da affaticamento cronico” (ascoltando il brano che vi proporrò, capirete cosa questo significhi, e come sia possibile).
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In questa fase, mentre gli riesce difficile tenere legati altri musicisti a causa della aleatorietà del suo impegno, scopre la musica classica, e lascia mirabili interpretazioni di Haendel, Bach, Shostakovich, Mozart.
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Nel 2004 a Keith Jarrett viene assegnato il “Léonie Sonning Music Award”, un prestigiosissimo premio quasi sempre assegnato a concertisti di musica classica. Il primo a ricevere questo premio era stato un tale di nome Igor Stravinsky. Oltre a Keith Jarrett, solo un altro jazzista aveva vinto questo premio: Miles Davis.
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Sulla scelta del pezzo da proporre sono stato molto incerto, perchè quelli che meritano di essere ascoltati sono decine e decine. Alla fine, ne ho scelto uno (è un classico del pianismo jazz: si intitola “Solar”, e per qualsiasi pianista jazz è una sorta di tesi di laurea. Jarrett, col suo trio, lo esegue ad una velocità folle, senza una esitazione, senza una sbavatura, e mantenendo per tutti gli oltre 5 minuti dell’esecuzione una fluidità di invenzione e di esecuzione che ha del miracoloso. L’ho scelto anche per far capire come, suonando in un modo così pazzesco, ci si possa ammalare di “sindrome da affaticamento”. Il pezzo non è facilissimo, ma ascoltatelo chiudendo gli occhi, e immaginando il movimento delle mani. Poi pensate che prima di “eseguire” certe improvvisazioni, queste sono nate in qualche angolo dell’anima e del cervello, e sono arrivate alle mani attraverso il sistema nervoso e quello muscolare...
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No, meglio di no: non pensate a niente. Ascoltatelo e basta, pensando che di pianisti così ne nascono uno ogni dieci anni.
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Keith Jarrett Trio: Solar
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