Il Modern Jazz Quartet, familiarmente chiamato dagli appassionati MJQ, è stata una delle esperienze jazzistiche più lunghe, nobili, innovative, controverse. Di uno dei suoi membri, Milton Jackson (vibrafono) abbiamo già parlato a lungo in una “perla” specificamente destinata a lui. Il MJQ è rimasto in vita, praticamente immutato nella composizione, dal 1952, con brevi interruzioni, per circa quarant’anni. Mai nella storia del jazz c’era stata una simile longevità.
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Gli altri componenti del gruppo sono stati John Lewis al piano, Percy Heath al basso, Kenny Clarke alla batteria. Di ognuno di questi signori si potrebbe scrivere a lungo. Credo però che si compirebbe un’operazione artificiosa. Il MJQ non è, secondo me, la sommatoria di pregevoli storie musicali individuali, ma il felice amalgama, in un unicum irripetibile, di quattro gemelli omozigoti del gusto e della cultura musicale.
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Questi signori NON POTEVAVANO NON INCONTRARSI, era scritto. Ancora oggi, dopo averli ascoltati alcune volte dal vivo, dopo aver visto decine di copertine di loro dischi, con foto individuali e di gruppo, fatico a riconoscerli uno dall’altro, non tanto per una inesistente somiglianza fisica, quanto per una impressionante “somiglianza stilistica”, anche in foto. Persino il loro modo di vestirsi, il loro modo educato, sobrio, quasi staccato di stare in scena, riflettevano perfettamente il loro stile musicale ed umano.
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I critici spesso assegnano loro, nella storia del jazz, ruoli che essi stessi non sospettavano di aver avuto. Spesso li si associa alla nascita del cool jazz; ma il cool jazz è una invenzione semantica. Se per cool jazz si intende ricerca della perfezione formale, ebbene anche loro, soprattutto loro hanno contribuito alla nascita del cool jazz. Però personalmente non sono mai riuscito a concordare sul fatto che la perfezione formale sia cool, tutt’altro. Spesso non c’è nulla come la perfezione formale, nel jazz che scaldi il cuore (avere un “giro armonico” che è quello che ti aspetti, una “chase” – quei duetti/dialoghi fra due strumenti – esattamente dove e come te li aspetti, un missaggio di livello del suono senza prevaricazioni). Alcune introduzioni a pezzi di loro composizione che richiamano alla mente Bach; alcune celeberrime composizioni che richiamano più la musica da camera che il jazz (uno per tutti, il celeberrimo "Fontessa"... ma come si fa a proporre su un blog un pezzo da 16 minuti?)
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Roba che si impara ad amare col tempo. Milton Jackson era uno dei rari vibrafonisti che spesso suonava con due martelletti anzichè con quattro; perchè era meno bravo di altri?, no, semplicemente perchè preferiva “inventare” melodie e variazioni apparentemente semplici (per le mani), estremamente complesse per il cuore. Anche John Lewis era uno strano pianista: tecnicamente preparatissimo, spesso produceva degli incredibili assolo suonando con due/tre dita di una sola mano, facendo cose che tecnicamente avrei potuto fare persino io, ma bisogna saperle pensare, certe sequenza di note, e metterle dove devono stare. Anche con due dita.
Infine la “sezione ritmica”: sia di Percy Heath che di Kenny Clarke, spesso non ti accorgevi neppure che esistessero. Fino al momento in cui tacevano per un secondo di troppo. E allora ti accorgevi che erano le travi portanti sulle quali Milt e John costruivano la loro musica straordinaria.
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Il brano proposto al vostro ascolto questa settimana è un album (MJQ & Friends) nel quale insieme al quartetto, in ogni brano, sono “guest-stars” loro amici di quasi mezzo secolo di jazz. Nella fattispecie, il brano è un famoso standard (All the things you are), l’ospite è John Coltrane (e scusate se è poco). Buon ascolto.
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The MJQ & Friends: All the things you are
Download modern_jazz_quartet_friends_all_the_things_you_are.mp3
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