Nel momento più tragico della TV in termini di omologazione verso il basso della qualità, ho bevuto (anzi, ribevuto) “Senza Rete”, di Angelo Guglielmi e Stefano Balassone, editore Rizzoli, dove i protagonisti narrano di come sia stato possibile (sembra una favola) che nell’87 al PCI venga data una rete (Rai Tre) che tanto non contava un cazzo (l’1,5% di share media), e di partire da lì per farne l’unica rete guardabile in Italia. Gli autori narrano della genesi di una rete che viene reinventata dal nulla, grazie a trasmissioni come Telefono Giallo, Linea Rovente, Un giorno in Pretura, Chi l’ha visto?, Profondo Nord, Milano – Italia, Samarcanda, Il Rosso e il Nero... e poi le trasmissioni di Lubrano, di Chiambretti, la nascita di BLOB, La TV delle ragazze, Avanzi... Insomma, la TV conformista dei pastoni e degli “scemeggiati” in due puntate, dei pippibaudi e delle carrà che anche a sessant’anni scimmiottano pateticamente le liceali, viene rivoltata come un calzino.
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Sia Guglielmi che Balassone resistono in RAI fino... indovinate? al 1994: l’anno della “scesa in campo” dell’unto dal Signore. Poi la TV è ridiventata il buco nero dell’intelligenza. Un libro che fa incazzare, ma che fa anche pensare che se è successo una volta, può succedere ancora.
Tafanus
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