EDITORIALE lunedì 16 aprile 2007
SINISTRA. DAL WEEK-END DI FIUGGI ALLA SETTIMANA DECISIVA PER DS E DL
DI PAOLO FRANCHI
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Chissà se è il caso di dire: finalmente. Ma in ogni caso ci siamo. Questo fine settimana Quercia e Margherita celebreranno i loro ultimi congressi, e poi prenderà il via la fase costituente del Partito democratico. Un solo augurio - sincero, sincerissimo - ci sentiamo di esprimere non solo ai diretti interessati ma a tutto il centrosinistra e in primo luogo a tutti i riformisti: l'augurio che, archiviati i congressi, si archivi pure lo scemenzaio di queste settimane e di questi giorni, e si cominci, sempre che non sia ormai troppo tardi, a fare sul serio. Onestamente non sapremmo dire se il nuovo partito troverà la risposta giusta da dare al ragazzo (leggiamo su Repubblica) che a Piero Fassino ha chiesto come si regoleranno i democrats di fronte al fatto che da qualche anno d'inverno non c'è più il freddo di una volta: a pensarci bene, ci verrebbe da dire di no. Sarebbe già qualcosa, comunque, se si smettesse di immettere ed espellere a giorni alterni nobili antenati, che oltretutto sono impossibilitati a pronunciarsi in materia, dall'ipotetico Pantheon del Pd, e di tirare il sasso e nascondere la mano sulle leadership passate, presenti e future, per concentrarsi piuttosto su quello che un tempo veniva chiamato il «che fare». Prendere atto che Ds e Margherita sono palesemente a fine corsa, e sbrigarsi a mettere insieme le loro due debolezze nella speranza che, sommandole, venga fuori qualcosa di non troppo dissimile da una forza, non basta a dar vita a un nuovo partito (anzi, a un partito nuovo) a vocazione maggioritaria. Che però non nasce neppure facendo affidamento sulle virtù salvifiche del popolo delle primarie, attualmente in sonno ma sempre pronte a manifestarsi di nuovo purché qualcuno (chi?) riesca a spezzare, o almeno ad allentare, la cappa delle oligarchie partitocratiche.
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Chissà se è il caso di dire: finalmente. Ma in ogni caso ci siamo. Questo fine settimana Quercia e Margherita celebreranno i loro ultimi congressi, e poi prenderà il via la fase costituente del Partito democratico. Un solo augurio - sincero, sincerissimo - ci sentiamo di esprimere non solo ai diretti interessati ma a tutto il centrosinistra e in primo luogo a tutti i riformisti: l'augurio che, archiviati i congressi, si archivi pure lo scemenzaio di queste settimane e di questi giorni, e si cominci, sempre che non sia ormai troppo tardi, a fare sul serio. Onestamente non sapremmo dire se il nuovo partito troverà la risposta giusta da dare al ragazzo (leggiamo su Repubblica) che a Piero Fassino ha chiesto come si regoleranno i democrats di fronte al fatto che da qualche anno d'inverno non c'è più il freddo di una volta: a pensarci bene, ci verrebbe da dire di no. Sarebbe già qualcosa, comunque, se si smettesse di immettere ed espellere a giorni alterni nobili antenati, che oltretutto sono impossibilitati a pronunciarsi in materia, dall'ipotetico Pantheon del Pd, e di tirare il sasso e nascondere la mano sulle leadership passate, presenti e future, per concentrarsi piuttosto su quello che un tempo veniva chiamato il «che fare». Prendere atto che Ds e Margherita sono palesemente a fine corsa, e sbrigarsi a mettere insieme le loro due debolezze nella speranza che, sommandole, venga fuori qualcosa di non troppo dissimile da una forza, non basta a dar vita a un nuovo partito (anzi, a un partito nuovo) a vocazione maggioritaria. Che però non nasce neppure facendo affidamento sulle virtù salvifiche del popolo delle primarie, attualmente in sonno ma sempre pronte a manifestarsi di nuovo purché qualcuno (chi?) riesca a spezzare, o almeno ad allentare, la cappa delle oligarchie partitocratiche.
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Vedremo. Vedremo con spirito critico, non aprioristicamente ostile, intendiamo dire. Con rispetto. E con disincanto. Lo stesso spirito, lo stesso rispetto, e pure, perché no, lo stesso disincanto con cui guardiamo ai processi nuovi che la stessa nascita del Pd (o meglio il modo davvero non esaltante in cui il Pd sta cominciando a prendere forma) ha messo in movimento a sinistra. A Fiuggi, per cominciare, è successo qualcosa di importante, qualcosa di letteralmente impensabile appena fino a pochi mesi fa, qualcosa di più significativo della ricomposizione di alcuni pezzi e pezzetti della diaspora socialista. Anche qui si è inaugurata una stagione costituente. Se dovessimo prendere alla lettera le parole di Enrico Boselli, e pensare che in fondo al percorso ci sia la resurrezione di un partito denominato Partito socialista italiano, sezione italiana (perdonate il linguaggio d'epoca) del Partito del Socialismo europeo e dell'Internazionale, diremmo subito che nella ridente cittadina termale si è dato (legittimo) sfogo all'orgoglio, ma si è fatta pure della demagogia, e soprattutto si è perso del tempo. Ma a noi pare che dal congresso dello Sdi sia uscita soprattutto l'indicazione, molto meno nostalgica, di scommettere sull'esistenza e sul futuro di una sinistra “larga”, che nel Partito democratico, o almeno in questo Partito democratico che sta per nascere, non si riconosce. Offrendo almeno a una parte di questa sinistra l'ancoraggio al socialismo democratico e liberale, in Italia e in Europa, come prospettiva e come collante, senza perdere di vista, ma a distanza, quanto va capitando in Rifondazione e nella sinistra radicale Che si tratti di un cammino difficile, e zeppo di incognite, è fuor di dubbio. Ma la questione socialista, adesso, è sul tappeto. E non si può liberarsene facendo spallucce.
Vedremo. Vedremo con spirito critico, non aprioristicamente ostile, intendiamo dire. Con rispetto. E con disincanto. Lo stesso spirito, lo stesso rispetto, e pure, perché no, lo stesso disincanto con cui guardiamo ai processi nuovi che la stessa nascita del Pd (o meglio il modo davvero non esaltante in cui il Pd sta cominciando a prendere forma) ha messo in movimento a sinistra. A Fiuggi, per cominciare, è successo qualcosa di importante, qualcosa di letteralmente impensabile appena fino a pochi mesi fa, qualcosa di più significativo della ricomposizione di alcuni pezzi e pezzetti della diaspora socialista. Anche qui si è inaugurata una stagione costituente. Se dovessimo prendere alla lettera le parole di Enrico Boselli, e pensare che in fondo al percorso ci sia la resurrezione di un partito denominato Partito socialista italiano, sezione italiana (perdonate il linguaggio d'epoca) del Partito del Socialismo europeo e dell'Internazionale, diremmo subito che nella ridente cittadina termale si è dato (legittimo) sfogo all'orgoglio, ma si è fatta pure della demagogia, e soprattutto si è perso del tempo. Ma a noi pare che dal congresso dello Sdi sia uscita soprattutto l'indicazione, molto meno nostalgica, di scommettere sull'esistenza e sul futuro di una sinistra “larga”, che nel Partito democratico, o almeno in questo Partito democratico che sta per nascere, non si riconosce. Offrendo almeno a una parte di questa sinistra l'ancoraggio al socialismo democratico e liberale, in Italia e in Europa, come prospettiva e come collante, senza perdere di vista, ma a distanza, quanto va capitando in Rifondazione e nella sinistra radicale Che si tratti di un cammino difficile, e zeppo di incognite, è fuor di dubbio. Ma la questione socialista, adesso, è sul tappeto. E non si può liberarsene facendo spallucce.
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Può darsi che la separazione sia definitiva e irreversibile, e può darsi pure (anche se ci sembra difficile) di no. In tutti e due i casi, e non lo diciamo per un buonismo che non ci appartiene, è importante che sia il più possibile consensuale. Non ci sono traditori, non ci sono venduti, non ci sono scissionisti, non ci sono secessionisti. C'è gente che ha molto in comune, e però avverte che è giunto il momento di prendere strade diverse.
Può darsi che la separazione sia definitiva e irreversibile, e può darsi pure (anche se ci sembra difficile) di no. In tutti e due i casi, e non lo diciamo per un buonismo che non ci appartiene, è importante che sia il più possibile consensuale. Non ci sono traditori, non ci sono venduti, non ci sono scissionisti, non ci sono secessionisti. C'è gente che ha molto in comune, e però avverte che è giunto il momento di prendere strade diverse.
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