Ma se si ripete lo stesso esperimento con l'intera locuzione "Io non sono razzista però" in italiano e in inglese (per scrupolo di ricerca in più varianti: 'I am not a racist but', 'I'm not racist but' etc), si hanno circa diecimila documenti per le versioni italiane (con "però" o con "ma") e circa cinquantamila per le versioni inglesi. In definitiva, se per ogni 'razzista' abbiamo venticinque 'racist', per ogni 'Non razzista però' abbiamo solo cinque 'Not racist but'.
Considerando l'enorme diffusione dell'inglese rispetto all'italiano nel mondo e in particolare nel mondo del web, si può affermare che il 'Non razzista però' (che da questo momento in poi, per esigenze di sintesi, chiameremo 'Noràppero') è una figura caratteristica del Belpaese. E questo fa ritenere che le ragioni della sua diffusione vadano ricercate in quei valori di solidarietà e di tolleranza che hanno formato buona parte degli italiani nelle parrocchie come nelle sedi dei partiti di sinistra. Il razzismo ne è la negazione assoluta e il "non essere razzisti", più che un valore guida, è una condizione di appartenenza. L'idea è che si nasce "non razzisti". Ancora oggi, alla domanda secca: "Lei si considera razzista?" la stragrande maggioranza di noi risponde con decisione "no".
Anche per questo non esiste un modello assoluto di Noràppero. Ci sono Noràpperi in tutte le classi sociali. Noràpperi ricchi e poveri, colti e incolti. Ci sono Noràpperi di sinistra, di destra e di centro. A volte è possibile distinguerli dall'enfasi con cui pronunciano la prima e la seconda parte della frase. Il Noràppero di sinistra di solito scandisce la prima parte ("IO NON SONO RAZZISTA) e sussurra il "però" mentre quello di destra fa il contrario, bisbiglia la premessa e declama la conclusione [...]
Il ritmo geometrico della loro proliferazione, ha introdotto i 'però' anche in proposizioni dov'erano superflui: "Io non sono razzista, però la legge va rispettata". Come se non fosse vero il contrario, che è il razzista a non rispettare la legge, quella fondamentale, la Costituzione. O anche in situazioni dove il razzismo non c'entra nulla, come quando lo si confonde con la normale irritazione nei confronti di un giovane maleducato che non cede il posto sull'autobus, se il maleducato è un nero.
Alla fine è accaduto l'inevitabile: la rivolta delle avversative abusate. Stanche di vagabondare senza meta, esasperate dal precariato semantico, hanno deciso di mettersi assieme e quindi di dissolversi, come le lampadine di una luminaria che decidono all'improvviso di spegnersi. Se ne sono andate, lasciando un solo rappresentante. Un enorme "però". Così il Noràppero ha visto con sgomento comporsi la sintesi beffarda di quella eterna premessa e delle sue contraddittorie e disomogenee conclusioni:
"Io non sono razzista, però... sono razzista!".
Sbigottito - in particolare se colto e di sinistra - ha reagito a questo schiaffo al principio di non contraddizione nell'unico modo che gli è sembrato possibile: con un doppio salto carpiato nel tempo.
"Io non era razzista, però - aiuto! - sto diventando razzista".
In questo modo ha creduto di salvare il suo 'non razzismo' infuso, originario. Quello coltivato, ma mai verificato, nell'oratorio, nella sezione di partito, nelle buone letture e nei buoni film. Il Noràppero - che è tuttora uno dei più strenui difensori dei diritti civili degli afroamericani - ricorda con struggente nostalgia i bei tempi in cui si commuoveva per Martin Luther King e per Kunta Kinte e, quando usciva di casa, se proprio gli andava male, al massimo s'imbatteva in un sardo o in un calabrese ("Io non sono razzista, però perché i sequestri li fanno sempre loro?").
L'acrobatica riconciliazione con la coscienza e con logica aristotelica, ha poi creato un nuovo problema. Il Noràppero, infatti, ora è costretto a domandarsi: "Se io - che non lo sono mai stato - sto diventando razzista, che ne sarà del resto del paese che, diciamocelo, è molto meno colto e tollerante di me?".
L'angoscia personale è diventata universale e sono scoppiate le prime lotte intestine. I Noraàperi delle periferie sbeffeggiano i Noràpperi delle classi medio-alte: "Doveva arrivarvi lo zingaro sotto casa. E quando li avete spediti a Tor di Nona andava tutto bene?". La crisi del Noràppero è ormai drammatica.
Si può fare qualcosa? C'è una salvezza per il Noràppero: per il Noràppero che si nasconde in ognuno di noi? Chissà. Ma, quando ci si perde in un labirinto, bisogna ripartire dall'ingresso. Forse all'origine di tutto c'è stato un errore di presunzione: l'essersi proclamati 'non razzisti' quando mancava la materia prima per mettere alla prova la saldezza delle nostre convinzioni. E anche un errore di metodo: aver abusato del termine associandolo a vicende diverse (una lite sul tram e uno stupro, una discriminazione e un banale sgarbo) e aver conseguentemente abusato dei "però" e dei "ma" fino a farne un intercalare meccanico e sciatto. L'aver in definitiva abbandonato quel metodo di analisi della realtà che in gioventù aveva consentito a noi Noràpperi di non sentirci migliori ma solo più fortunati dei nostri coetanei devianti dei quartieri ghetto. L'aver dimenticato che la fatica di comprendere il mondo, di ricomporne la disgregazione in un moderno 'conosci te stesso', tutta quelle buone cose che il Noràppero giovane ha letto in Gramsci, consiste soprattutto nella capacità di distinguere e di discernere nel proprio tempo.
([email protected]) (13 maggio 2007
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