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Un mese fa la proposta improvvida di importare da Torino un Salone del libro usato. Tre settimane fa il mancato patrocinio al Festival del cinema gay. E per non perdere il ritmo, oggi sortita doppia: niente soldi a "La biblioteca in giardino" se continua a esibire scrittori di sinistra e più soldi ai teatranti solo se si adeguano al tema proposto dall'assessore per le pièce.
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Se uno non sapesse che il sindaco di Milano è stato ministro dell'istruzione e che Sgarbi è un finissimo critico d'arte, potrebbe pensare a buon diritto che chi regge la città consideri la cultura un mostro da tenere a dieta: poche carote perché non cresca troppo e qualche bastonata ogni tanto perché la smetta di questuare. Eppure non dev'essere così, se Moratti considera l'innovazione e l'ingegno una freccia all'arco dell'amministrazione per conquistare l'Expo e Sgarbi proclama che solo per un difetto di comunicazione la città non appare culturalmente più brillante di Roma. L'unica altra ipotesi ragionevole per tanta arcigna chiusura, purtroppo, è anche peggiore della prima: se non è la cultura in sé, che desta sospetto, allora devono essere gran parte degli uomini e donne di cultura che cercano di lavorare a Milano, a stare antipatici. Con pochissime eccezioni e neppure per i parenti, se perfino la Milanesiana di Elisabetta Sgarbi è più finanziata dalla Provincia che dal Comune.
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Il risultato è inevitabile: avvenimenti culturali e idee prosperano dove l'ambiente è favorevole, i principi intelligenti (perfino i meno raccomandabili) lo hanno sempre saputo e hanno sempre coccolato perfino chi detestano, se è bravo. Mentre chi governa con meno attitudine per queste cose finisce per mettere in imbarazzo i suoi artisti e intellettuali preferiti, spendendoli come "contrappesi" e implicitamente ammettendo che è questione di gusti e affinità, non di valore. In applicazione di un umiliante manualetto cencelli, come nel caso di "La biblioteca in giardino", o con l'imposizione di un "tema fisso" (che poi sia Dio è di un cattivo gusto perfino blasfemo) ai canovacci ammessi al palcoscenico.
Gli incompresi, invece, una volta facevano la fame, adesso più semplicemente vengono invitati ad altri festival o vanno a lavorare altrove. E c'è poco da sorprendersi se qualche volta sono un po' tranchant, quando dicono che a tornare non ci pensano proprio.
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