Questo breve assemblaggio di sensazioni è un atto dovuto. Mi era stato chiesto di parlare di Praga dopo il mio breve viaggio, ma il “tagliando” prima, e la necessità di aggiustare le foto dopo, mi hanno fin qui trattenuto. Le foto le pubblicherò (non tutte, perché sono centinaia) su un album apribile dal blog. Ora è estate, non succede (quasi) niente, e quindi ho il tempo per mantenere l'impegno assunto...
E’
strano, avevo visto quasi tutte le città del mondo (molte per lavoro, alcune
per turismo), eppure non conoscevo Praga, che fin da ragazzo era stata un mio
sogno, e che in fondo, da Milano, è molto accessibile… Ho cercato di capire il
perché, e nel mio immaginario trovo una sola spiegazione: forse avevo verso
Praga una tale irrazionale simpatia, che mi ha fatto sempre paura “sciupare
l’immaginario”, confrontandolo con la realtà. A superare questa paura
subconscia è servito molto l’entusiasmo col quale Marisa ha accolto l’idea, pur
essendoci già stata.
La mia Cecoslovacchia (mi abituerò mai a chiamarla Repubblica Ceca, o Cechia?) inizio a vederla quando l’aereo, uno scalcagnato ATR 42, che già vola basso quando è “in quota”, inizia la discesa su Praga. Campagna ordinata, pochi capannoni, poco traffico, agricoltura intensiva ma non troppo. Campi né troppo grandi, né troppo piccoli, ma curatissimi, ordinati. Scendendo verso la periferia di Praga scopro una periferia di migliaia di casette unifamiliari, che non riesco ad inquadrare dal punto di vista “sociologico”: troppo piccole e numerose per essere villette da benestanti, ma tutte col loro giardino, la loro auto, la loro piscinetta. Migliaia di micro-piscine, che sembrano piccoli smeraldi disseminati nella campagna…
A terra, prendiamo un minibus per la città, insieme ad altre due coppie. Visceralmente mi stanno sui c…., poi, durante i pochi minuti di viaggio, accerterò che erano monzesi, probabilmente leghisti, certamente del genere col quale non prenderei neanche un caffè al banco: tutti Tennis Club, bridge, casa in Sardegna, e via elencando in pochi minuti tutti i loro beni terreni ed extraterreni. Non sveleremo la nostra “italianità”, non ci scambieremo una sola parola.
Una delle due sciure è talmente tirata di silicone, che sembra debba scoppiarle la faccia da un momento all’altro. Uno dei maschietti parla di come sia bella la gioventù di Praga. Quella del silicone, con aria acida, ribatte: “…se ti accontenti…”. Siamo fermi ad un semaforo. Attraversa davanti a noi una stangona con un corpo da fotomodella, gli occhi celesti, i capelli biondo cenere, e un incedere da ghepardo. Marisa mi chiede se io mi accontenterei. E’ una provocatrice. Ne vedremo altre mille, di cui mi accontenterei.
Oddio, siamo già arrivati in
centro? No, siamo in periferia, ma i palazzi sono belli come quelli che
troveremo in centro, forse solo un filino meno “leccati”. Sembra una città
senza periferia. Come Cracovia, solo moltiplicata per cinque.
Arriviamo in albergo, un tre stelle carinissimo a 100 metri da Piazza della Repubblica e dal metrò, e a “walking-distance” da tutto. Non mi sono portato il PC, perché magari in albergo li rubano… sapete, questi comunisti… Male. In tutto l’albergo, in tutte le stanze, c’è compreso nel prezzo, il collegamento wireless. Ci farò caso nei giorni successivi: non si riesce a fare 500 metri senza che ci sia un bar, un ristorante, un albergo che non esponga il cartello “Wireless free”.
Non parlerò della storia di Praga o dei suoi mille monumenti (c’è già tutto su Internet), ma delle nostre sensazioni (meglio, delle mie, perché per Marisa è un piacevolissimo ritorno, privo di quei connotati di delusione che a volte ti prendono quando torni in un luogo di cui hai un grande ricordo… Intanto la gente: sembra freddina, poi scopri che è solo riservata. Prova a guardare per più di un secondo in faccia una persona, e nove volte su dieci la sua faccia si aprirà ad un sorriso carico di luce e di gentilezza. Praga la Bella, Praga la Dolce, The Smiling Praha…
Mangiamo qualcosa in albergo, e scendiamo per far quattro passi, senza meta. Ma quanti turisti ci sono a Praga? Sembra che tutto il turismo del mondo si sia dato appuntamento qui. Non in un punto, ovunque. Il tempo non ci aiuta. Cambia dieci volte all’ora, dal sereno a temporali violenti, che ci danno modo di scoprire alcuni bellissimi caffè storici, pieni di tavolini in noce, di stucchi, di lampadari in cristallo di Boemia, e di… camerieri d’epoca. Tutti uguali: sbrigativi, efficienti, gentili. Colpisce la totale assenza di gente di colore. Scopriremo che non si tratta di razzismo: semplicemente la Cechia non è ancora arrivata allo stadio in cui gli strati bassi della popolazione possano rifiutarsi, come da noi, di fare lavori umili. Tutti fanno tutto, quindi eventuali immigrati non troverebbero facilmente neanche lavori marginali. A due isolati dal nostro albergo hanno sventrato un palazzo antico, lasciando in piedi solo la facciata. Scopriremo che lavorano su tre turni, giorno e notte, anche di domenica. Silenziosi, efficienti. Tutti col casco e gli stivali.
Dio, quanto è bella, questa città! Non vedi uno sgorbio, non vedi un graffito, non vedi un muro screpolato! Devono aver scoperto un particolare tipo di intonaco che non si degrada per decenni. Oppure, semplicemente, lavorano a regola d’arte. E poi una grande fantasia ed un grande gusto cromatico… certe sequenze di colori “audaci” ci ricordano le case dei pescatori di Pellestrina, certi colori pastello, tenui ma coraggiosi, ci ricordano l’Hérmitage, o la “piccola “Venezia a Leningrado. O sarà l’assenza di inquinamento? Il traffico è scarsissimo. A volte ti sembra di essere in una zona pedonale, poi scopri che non è così. Il traffico è poco, e ben distribuito, perché anche la Praga turistica non ha un centro di aggregazione, ma ne ha tantissimi (dal centro storico, a Malastrana, al Ponte Carlo, al quartiere ebraico, alla zona del Castello, ai lungo-Moldava, alla piazza Venceslao… siamo tantissimi, ma non abbiamo mai la sensazione di pestarci i piedi. Poi, per ripararci da un ennesimo scroscio di pioggia, facciamo un giro in tram, una specie di circolare. Ma dove cacchio l’avranno messa, a Praga, la periferia?
Il parco-macchine: uno si aspetta
un parco macchine da paese del socialismo reale, e scopre che c’è un parco
macchine di ottimo livello. Vediamo alla fine, fra tante WV, Audi, Skoda,
Mercedes, anche una vecchia Trabant. E’ così “unusual”, che la fotografiamo.
Il primo giorno siamo felici di aver imparato quattro/cinque parole in mezza giornata: (Bar, Taxi, Airport, McDonald)… se continua così, in un anno potremmo avere un dizionario di 2000 parole, sufficiente a capire e parlare… col c…! oddio, ma che significano certe strane parole? E poi tutti quegli strani accenti, anche sulle consonanti! E quelle parole di sei consonanti e due vocali, ma come cacchio si leggeranno? Lasciamo perdere. In fondo molti parlano tedesco, e parecchi, specie fra i giovani, parlano un discreto inglese.
Praga è piena di “buttadentro”, numerosi ma cortesi, e per niente invadenti. Inizialmente non prendiamo nessun volantino (il ristorante vogliamo scegliercelo da soli…) poi scopriamo che non si tratta né di ristoranti, né di City Tours; si tratta di concerti. Praga è piena di posti dove si suona musica sinfonica e musica da camera. Gli italiani tirano alla grande. Non c’è concerto dove non ci sia in tabellone qualcosa di Vivaldi, di Albinoni o di Boccherini.
Camminiamo per ore… ma quando inizierà la periferia? Poi, lentamente, una verità si fa strada. Non c’è, una periferia! Tutti i praghesi che vivono, studiano, lavorano a Praga, abitano case come quelle che da giorni vediamo dovunque. Antiche, belle, monumentali. Alcune portano ancora qualche lieve traccia della devastante alluvione che tre anni fa ha colpito quei paesi, con straripamenti della Moldava, del Danubio, del Reno, ma quei segni te li devono mostrare.
Stiamo facendo proprio le cose da
turisti: solo lo facciamo per conto nostro, e non seguendo un ombrellino
arancione. Oggi prendiamo il classico battellino che fa il giro sulla Moldava;
siamo soli io, Marisa, il marinaio, ed una dolcissima ragazzina di 22 anni,
Ana, che è arrivata a Praga dalla campagna, e si mantiene agli studi (medicina,
con successiva specializzazione in fisioterapia) facendo la guida su questo
battello turistico. E’ la dolcezza fatta persona. Praga, vista dal fiume, è, se
possibile, ancora più bella. Come tutte le città appoggiate su un grande fiume,
quasi tutti i luoghi storici hanno il loro lato “migliore” rivolto verso il
grande fiume, via di comunicazione prima che elemento paesaggistico.
Il passaggio da una zona
“turistica” all’altra della città avviene senza soluzione di continuità. Dal
centro storico alla città ebraica o al Ponte Carlo; attraversi il ponte ed
inizia la città “vecchia” (Malastrana), da cui parte una asfissiante salita
(ancor più terribile perché rettilinea) verso il Castello. Si DEVE farla a
piedi; è un mix di palazzi monumentali (fra i quali anche la bellissima
ambasciata italiana), e di baretti, ristorantini, negozi di artigiani. La
salita costringe ai ritmi lenti. E lentamente sotto gli occhi si apre la Praga sottostante, i suoi tetti, le
stradine laterali che scendono a precipizio; poi sali ancora, e vedi la Praga
da “Google Earth”, coi suoi parchi, i suoi spazi, il suo grande fiume, la
campagna…
Poi la discesa, che ferisce i
polpacci quasi più della salita, ed ancora un peregrinare senza meta per stradine,
caffè-concerto, la torre dell’orologio… Il quotidiano passaggio in piazza
Venceslao, un fiore sulla lapide che ricorda Jan Palach, un commosso passaggio
ravvicinato presso la casa
di Kafka e presso le lapidi dei caduti della
primavera di Praga. Poi andiamo a comprare l’ennesimo mattone al “Muro della
Solidarietà”; una bellissima iniziativa benefica: un banchetto che ti vende un
mattone, sul quale puoi scrivere con pittura a smalto il tuo nome. Paghi quello che vuoi, e il mattone lo metti
dove vuoi, su questo coloratissimo muro della solidarietà che sta prendendo
forma. Il ricavato servirà alla costruzione di un ospedale pediatrico. A
proposito, ma come e perché Kafka ha potuto concepire “La metamorfosi” in una
città così bella, aperta, luminosa?
L’ultimo giorno lasciamo la camera in albergo, e poi ancora a spasso senza meta. Finiamo col mangiare qualcosa a mezzogiorno in un fantastico ristorantino all’aperto, in una piazzetta talmente tranquilla che mi ricorda qualcosa a metà fra le “piazze metafisiche” di De Chirico, e la Place des Vosges a Parigi. Per un attimo mi trovo a pensare: ma quanto costerà la vita a Praga? E l’inverno sarà molto rigido? E i nipotini, mi mancherebbero molto? Insomma, devo confessare che un pensierino ce l’ho fatto…
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