Ricevo dall’amico Luigi Lunari questo prezioso cadeau. Una favola moderna, alla quale ognuno potrà attribuire la morale che crede, se crede. Io, per anni, ho lavorato IN o PER la pubblicità, con un certo pudore. Negli anni della “Milano da bere” per molti gasatissimi yuppies la pubblicità era un traguardo. Per me, e per tanti amici non gasati, è stata una fase interlocutoria, della serie “fare la pubblicità è pur sempre meglio che lavorare”. Mi onoro di aver fatto parte di questa scuola di pensiero insieme a personaggi della statura e della modestia di Sandro Baldoni, di Lele Panzeri, e di altri che sarebbe troppo lungo elencare, coi quali ho condiviso l’idea che, qualora le zie avessero chiesto alle mogli “che lavoro fa tuo marito”, la risposta avrebbe dovuto essere: “Il Ragioniere”. Forse è per questo che ho ricevuto con un sorriso di gratitudine questo racconto breve dell’amico Gigi.
"...ORE 5,59 DEL MATTINO..."
PROLOGO
Erano le 5.59 del mattino di un giorno qualsiasi quando il Padreterno,
schioccando il pollice e il dito medio della mano destra, abolì d’un tratto la pubblicità. La abolì in fatto ed in diritto,
sopprimendone la presenza perfino come lemma dai dizionari, che passarono così
direttamente da “pubblicare” a “pubblico”, saltando “pubblicità”,
“pubblicitario”, “pubblicizzare” e derivati.
ATTO PRIMO
Già un minuto dopo, infatti, i primi tram in uscita dalla rimessa si
presentarono puliti e riconoscibili: tutti eguali nella loro tinta verde, le
fiancate sgombere da ogni immagine di automobili o di spiagge esotiche, le
porte ben visibili anche di primo acchito, i finestrini perfettamente
trasparenti.
La novità dilagò a macchia d’olio, e tutti ebbero subito mille occasioni per rendersene conto. I giornali uscirono senza i paginoni variopinti su questo o quel supermercato, e senza pezzetti di carta colorata impiastricciati sulla prima pagina; i canali televisivi passarono da un programma all’altro senza l’insistente stillicidio degli spot su cellulari o dentiere; e - come sarebbe apparso chiaro nel prosieguo della giornata - senza interrompere film e dibattiti con sperticati elogi di computer o marche di birra. E anche su internet - per quanti lo aprirono già di prima mattina - le “home pages” apparvero limpide e chiare: senza il grandinare di messaggi in movimento, di intrusioni ammiccanti, di inviti a cliccare questo o quello, di filmati gracchianti e ineliminabili.
La stessa rivoluzione si verificò nelle strade. Nessuna gigantografia sui muri delle case, a pubblicizzare film storici o concerti rock, niente manifesti a conclamare svendite e liquidazioni; niente cartelli ai margini delle autostrade… Perfino i supermarket, fino al giorno prima così prodighi di aggressivi consigli per gli acquisti, apparivano rilassati e rispettosi. Il cliente entrava, si aggirava tra gli scaffali dove in bell’ordine erano disposti dentifrici, merendine, confezioni di pasta e di biscotti, scatolette di tonno e di sardine: tutti in serena attesa, senza vantare le proprie superiori qualità con chiassosi cartelli di stile fumettistico, senza gareggiare in sconti, in metàprezzi, in offerte speciali… Liberati dai costi della pubblicità, tutti i prodotti erano sensibilmente scesi di prezzo. Il consumatore - non più distratto da eccitanti immagini femminili che gli garantivano la superiorità di questi o quei maccheroni - sceglieva liberamente, grazie anche al passa-parola dell’esperienza altrui. Spendeva meno, sceglieva meglio, sfuggiva alle tentazioni degli acquisti inutili, cessava di ingombrare il frigorifero di cibarie destinate alla spazzatura, e gli armadi di top e di short che passavano di moda con la stessa velocità con cui erano state imposti. Il mondo senza pubblicità era decisamente più bello e rilassante.
Tuttavia…
ATTO SECONDO
…tuttavia, la trasformazione ebbe un suo alto, drammatico prezzo in un immediato aumento della disoccupazione. Agli ingressi della metropolitana - per esempio - si trovarono immediatamente disoccupati i ragazzi che distribuivano giornali gratis con sunti di notizie politiche e con i gossip del giorno. E cinque metri più in là, si trovarono altrettanto disoccupati gli spazzini incaricati di raccogliere i giornali che in quei cinque metri i frettolosi passanti avevano letto e subito gettato. Persero il lavoro anche i giornalisti e i tipografi che quei giornali avevano composto fino al giorno prima, e che si reggevano naturalmente sulle inserzioni pubblicitarie. E dietro si trovarono senza lavoro, nelle aziende di pubblicità, le fitte schiere di quanti vi lavoravano: art director, chief executive, copywriter, account, production manager, creativi, grafici, planner, fotografi, impaginatori, stylist… Chiusero i battenti gli studi radiofonici, cinematografici e televisivi che si pubblicità si nutrivano, e finirono in strada turbe di cameramen, fonici, modelle, parrucchieri, truccatori, agent press… Il problema si fece presto gravissimo, provocò interpellanze in Parlamento, agitò i sindacati, che a gran voce chiesero il riconoscimento di uno stato di calamità, e interventi governativi a difesa delle categorie. Timidamente, il ministro del commercio estero notò come sulla bilancia dei pagamenti avesse avuto un benefico impatto la minore importazione di carta, di colori, di materiale fotografico specializzato e costoso… ma si trattò di poco più che uno stuzzicadenti opposto a un’inondazione. L’entità del fenomeno fece salire la percentuale dei disoccupati ai valori massimi degli ultimi cinquant’anni; ci furono disordini che spesso degenerarono in gratuite violenze, l’opposizione gridò allo scandalo, il governo restò in carica solo perché nessuno voleva ereditarne la patata bollente. Mai, nella storia della repubblica italiana, si era verificata una situazione tanto minacciosa per l’ordine pubblico.
Tuttavia…
ATTO TERZO
… tuttavia, il minor costo di ogni prodotto commerciale - non più gravato dagli investimenti pubblicitari - fece aumentare in misura considerevole il risparmio delle famiglie. Al momento della dichiarazione dei redditi, ogni capofamiglia notò che quell’anno si era speso meno, e che il bilancio si chiudeva con un attivo assolutamente impensabile in passato. Le minori spese resero più facile al contribuente una più onesta dichiarazione fiscale, dalla quale risultava peraltro una maggiore possibilità contributiva. Le tasse aumentarono, ma - tutto sommato - in misura minore di quanto non fossero diminuite le spese: e con immediati, benefici effetti. Lo Stato vide crescere le entrate, il governo fu in grado di allentare i cordoni della borsa, e di rispondere positivamente alle richieste dei vari i ministeri e dei vari enti pubblici locali, fino a quel momento costretti a faticose acrobazie di bilancio e a ridurre all’osso il personale. Grazie alle nuove disponibilità economiche i tribunali poterono finalmente colmare i vuoti di organico, ed assumere i cancellieri e gli stenografi necessari alla normale attività processuale; le università riaprirono i concorsi, le scuole onorarono le cattedre, gli ospedali ovviarono alla cronica carenza di infermieri, le municipalizzate d’ogni tipo e dimensione allargarono le assunzioni molto al di là delle solite clientele di raccomandati…. Agli orfani della pubblicità (art director, creativi, modelle, parrucchieri…) non fu difficile trovare lavoro e nuove mansioni nella situazione che si era andata creando. La tensione sociale si allentò, le manifestazioni di protesta cessarono, la vita sembrò davvero migliorare: scuole più efficienti, magistratura meno lenta, perfino infermiere più carine, grazie alla nuova utilizzazione di modelle e veline in un lavoro di cui esse avvertirono subito il minore stress, la ridotta pericolosità mediatica e un senso preciso di utilità per la collettività.
EPILOGO
Tutto prese subito una via più seria e appagante. Il Padreterno guardò giù, si compiacque, e pensò: “Ma perdio, non potevano arrivarci da soli?”
Luigi Lunari
Luigi Lunari, nato a Milano, dove vive da sempre, si laurea in legge, studia composizione e direzione d'orchestra. È stato anche giudice di pace. Si occupa di teatro in varie direzioni, dedicandosi per periodi di varia durata all'insegnamento universitario, alla saggistica, alla critica. Per più di vent'anni - dal 1961 al 1982 - collabora con Grassi e Strehler al Piccolo Teatro, esperienza dalla quale nascerà, nel 1991, il romanzo teatrale “Il maestro e gli altri”.
Svolge intensa attività di traduttore, e per l'editore Rizzoli sta traducendo l'intera opera di Molière, oltre a curare i volumi dedicati nella stessa collana a Goldoni. Vasta anche la sua attività saggistica, dedicata in particolare a Goldoni, Molière e Brecht.
Autore di notevole eclettismo, scrive fortunati originali televisivi (“Dedicato a un bambino”, “Accadde a Lisbona”,“Le cinque giornate di Milano”) e una serie di commedie di deciso impegno civile e di satira politica, quasi tutte ispirate alla realtà sociale italiana: da “Tarantella con un piede solo” a “Non so, non ho visto, se c'ero dormivo”, da “I contrattempi del tenente Calley” a “L'incidente”, “Il senatore Fox”, “Sogni proibiti di una fanciulla in fiore”, “Nel nome del padre”, “Tre sull'altalena”.
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