Diario all'ultima pagina - Il settimanale è in crisi e chiude. Ma l'editore Luca Formenton assicura: 'Tornerà'. Con una nuova formula
Nel 2002 aveva vinto, a Parigi, il Prix de la Guide de la Presse, come "miglior giornale del mondo". E adesso chiude. Nella sostanza, se non nella forma. Il suo editore, Luca Formenton, puntualizza: "Chiude il 'Diario' così come lo avete conosciuto. Non sarà più un newsmagazine. Con Enrico Deaglio, il direttore, stiamo studiando un nuovo progetto che sarà pronto a settembre". E Deaglio conferma il quadro. Stesso nome, stesso direttore, ma non più un settimanale, forse quindicinale, "di certo non un mensile" (Formenton). La formula, già presentata alla redazione (alcuni non hanno gradito), prevede quattro grandi reportage e una seconda parte di numeri e commenti. Forse un intervallo da settembre a novembre tra l'attuale veste e la nuova. Per il resto non si sa. La pausa estiva è anche pausa di riflessione dopo le estenuanti riunioni, tensioni e persino litigi degli ultimi mesi.
La notizia è pessima. Non solo per gli interessati: per tutti. Nella migliore delle ipotesi si ridimensiona, perde la metà dei suoi decibel, una voce forte, autorevole, intelligente, eterodossa anche rispetto alla sua area di riferimento, la sinistra. Non popolare perché 'Diario', nei suoi 11 anni di vita, è stato un giornale di nicchia e controcorrente. Articoli lunghi, grande spazio alla cultura e al mondo, battaglie di minoranza. Con questo patrimonio non si sta sul mercato, soprattutto se la pubblicità non viene in soccorso. E non l'ha mai fatto. Perché? A pensar male si fa peccato, ma nella redazione di via Melzo, a Milano, sono tutti convinti che i grandi investitori si siano tenuti alla larga per compiacere i potenti di turno bersagliati in copertina. Il risultato è un bilancio che è sempre stato in rosso, attorno al milione di euro l'anno, per una vendita in edicola che, anche nei periodi floridi, non ha mai varcato di molto le 30 mila copie di media. Di abbassare la saracinesca si era già parlato anche in passato, ma la fantasia era venuta in soccorso e certe invenzioni avevano allungato la vita. Come il numero monografico sulla 'Memoria', tre edizioni esaurite, oltre 100 mila esemplari andati a ruba. O come i film sui brogli elettorali del direttore e di Beppe Cremagnani. Non è bastato.
Ora fa anche rabbia ricostruire una traiettoria di soddisfazioni e sacrifici. Nato come allegato dell''Unità', dopo un paio d'anni 'Diario' ha accettato la scommessa di camminare con le proprie gambe avendo come riferimento una sinistra radicale a cui però non è mai stato accarezzato il pelo. Basti ricordare la posizione favorevole all'intervento in Kosovo, osteggiata da diversi lettori. Naturalmente la lunga campagna contro re Silvio, che ha raggiunto l'apice con la copertina dal titolo 'Berlusconeide, tutto quello che dovreste sapere di Silvio Berlusconi prima di consegnargli le chiavi di casa' (130 mila copie). Il periodo più felice. E non è un caso che la crisi acuta arrivi adesso con il centrosinistra al governo. Pure se con i Ds, Deaglio e la sua ciurma non ci sono mai andati leggeri, visti i ripetuti allarmi sulle relazioni pericolose con i furbetti del quartierino. In mezzo battaglie giornalistiche come quelle contro la pena di morte, per la giustizia sui fatti del G8 a Genova. Un motto ispiratore, preso in prestito dal settimanale tedesco 'Die Zeit' e assurto a regola della ditta: 'Cercare la verità. Nel dubbio un po' a sinistra'. Anche la volontà di scoprire talenti. Gli scrittori Roberto Saviano, Mauro Covacich e Francesco Piccolo in quello spazio hanno avuto le prime soddisfazioni della pubblicazione.
Un newsmagazine in senso stretto 'Diario' non lo è mai stato. Adesso abbandona anche formalmente l'etichetta e la cadenza allungata non aiuta le battaglie. Che chiuda del tutto è un dubbio sottile esorcizzato dal profilo psicologico del proprietario. Luca Formenton ama ricordare che la Mondadori e il Saggiatore li hanno creati i suoi familiari, 'Diario' l'ha fatto lui e per questo ci è affezionato. Ha dovuto sopportare molte lamentele (eufemismo), ma si è sempre rifatto a una regola: "In casa mia si diceva che l'editore il giornale lo deve leggere in edicola". Spazio lo ha lasciato e non se ne pente. Gli scoccia rimetterci tutti quei soldi. In redazione chi può si salva. Dovunque vadano in diaspora non possono dimenticare che, tra di loro, si possono anche telefonare e rivedere. Solo uno non risponderà più, Enzo Baldoni, collaboratore, andato a morire in Iraq: la pagina più scura.
Caro Enrico,
no, Diario non morirà, perchè tutti abbiamo diritto, in Italia, ad un giornale come il tuo. Questo paese non può affossare un giornale come Diario, che ha condotto le battaglie che tutti conosciamo (ed alcune delle quali abbiamo anche appoggiato, sia pure coi nostri limitatissimi mezzi), e lasciar vivere e prosperare settimanali come "CHI", di cui la gente ricorda solo le foto di Barbara Berlusconi all'uscita di una discoteca. C'è un limite a tutto. Uccidere "Diario" sarebbe anche uccidere per la seconda volta Enzo Baldoni.
Tafanus
SOCIAL
Follow @Tafanus