La crisi dei mutui subprime americani ha cancellato la credibilità delle agenzie di certificazione: è la dimostrazione che i soldi spesi per assicurarsi il loro servizio sono denaro buttato
Il bello del capitalismo è che ogni tanto vi succede qualcosa che separa il denaro dai cretini... Passano i decenni, nuove bolle finanziarie si gonfiano e poi esplodono, ne seguono crisi creditizie più o meno drammatiche, molte presunte fortune vanno velocemente in fumo. Ma il celebre aforisma di Galbraith torna sempre di battente attualità. È così anche oggi, sebbene il disastro innescato dai mutui americani ad alto rischio stia facendo venire alla luce una tale catena di imprevidenze e leggerezze da alimentare qualche sospetto in più. Uno, in particolare: quello che, in qualche caso, accanto alla sciatteria professionale tipica dei cretini abbia giocato un ruolo non marginale anche un'inconfessabile pulsione all'imbroglio.
Il denaro, stavolta, sarà separato anche dai venditori di fumo? Ecco una domanda da porsi per capire se la lezione della crisi in atto servirà a migliorare i comportamenti del mercato oppure soltanto a preparare il terreno per nuove scriteriate disavventure. Che, finora, siano stati chiamati a pagare il conto i fondi ovvero le banche che si erano più disinvoltamente iscritti alla riffa dei titoli senza speranza è normale, logico e giusto. Ma non basta. È meno normale, logico e giusto che simili soggetti - non importa al riguardo se solo per colpa o anche per dolo - abbiano potuto diffondere in giro per il mondo la loro spazzatura finanziaria senza che qualche utile segnale di pericolo venisse tempestivamente lanciato.
L'aspetto davvero stupefacente di questa vicenda, infatti, non consiste tanto nella manipolazione dei crediti che è stata fatta mettendo insieme nello stesso cesto mele marce e mele sane. Che sul mercato vi siano dei volponi è una verità risaputa da qualche millennio: se ne occupava già il codice di Hammurabi. Ciò che sconcerta è la clamorosa negligenza con la quale gli istituti deputati alla valutazione dei rischi, le sedicenti autorevoli agenzie di rating, hanno soppesato simili strumenti finanziari, assegnando loro (in molti, troppi, casi) la classificazione massima della tripla A. Un timbro di garanzia a prova di rapina, che si è rivelato una tragica trappola.
Alcuni crack aziendali recenti hanno già scosso dalle fondamenta la credibilità dei certificatori di bilancio: basti ricordare il caso della mitica Arthur Andersen, seppellita dallo scandalo Enron. Ora si scopre che gli occhiuti analisti di S&P, Moody's e Fitch si sono lasciati infinocchiare da alcuni loro clienti come sprovveduti apprendisti. Così pronti e rigorosi nel segnalare l'ovvio - come la minore affidabilità dei Bot se il deficit dello Stato cresce - stavolta hanno fatto partire l'allarme soltanto quando i buoi impazziti avevano già abbattuto la porta della stalla. Che cosa non ha funzionato? Il dubbio di una collusione con i clienti a fini di profitto aziendale illumina un conflitto d'interessi latente, ma di inaudita pericolosità.
Stati, banche, fondi, imprese pagano ogni anno fior di miliardi per assicurarsi il servizio di questi supponenti arbitri del rischio finanziario. Mai così tanti soldi sono stati così tanto mal spesi. Sarebbe da cretini, per ridirla con Galbraith, continuare a farlo, come nulla fosse accaduto.
Nella foto l'ex Ministro delle Finanze del Berlusconi Uno, il leghista Pagliarini (quello che spiegava l'alta finanza, sulla spianata di Pontida, in dialetto milanese), nonchè "Senior Partner" (micacazzi) della Arthur Andersen Italiana, prima che questa società andasse a remengo in seguito al fallimento della Enron
Il denaro, stavolta, sarà separato anche dai venditori di fumo? Ecco una domanda da porsi per capire se la lezione della crisi in atto servirà a migliorare i comportamenti del mercato oppure soltanto a preparare il terreno per nuove scriteriate disavventure. Che, finora, siano stati chiamati a pagare il conto i fondi ovvero le banche che si erano più disinvoltamente iscritti alla riffa dei titoli senza speranza è normale, logico e giusto. Ma non basta. È meno normale, logico e giusto che simili soggetti - non importa al riguardo se solo per colpa o anche per dolo - abbiano potuto diffondere in giro per il mondo la loro spazzatura finanziaria senza che qualche utile segnale di pericolo venisse tempestivamente lanciato.
L'aspetto davvero stupefacente di questa vicenda, infatti, non consiste tanto nella manipolazione dei crediti che è stata fatta mettendo insieme nello stesso cesto mele marce e mele sane. Che sul mercato vi siano dei volponi è una verità risaputa da qualche millennio: se ne occupava già il codice di Hammurabi. Ciò che sconcerta è la clamorosa negligenza con la quale gli istituti deputati alla valutazione dei rischi, le sedicenti autorevoli agenzie di rating, hanno soppesato simili strumenti finanziari, assegnando loro (in molti, troppi, casi) la classificazione massima della tripla A. Un timbro di garanzia a prova di rapina, che si è rivelato una tragica trappola.
Alcuni crack aziendali recenti hanno già scosso dalle fondamenta la credibilità dei certificatori di bilancio: basti ricordare il caso della mitica Arthur Andersen, seppellita dallo scandalo Enron. Ora si scopre che gli occhiuti analisti di S&P, Moody's e Fitch si sono lasciati infinocchiare da alcuni loro clienti come sprovveduti apprendisti. Così pronti e rigorosi nel segnalare l'ovvio - come la minore affidabilità dei Bot se il deficit dello Stato cresce - stavolta hanno fatto partire l'allarme soltanto quando i buoi impazziti avevano già abbattuto la porta della stalla. Che cosa non ha funzionato? Il dubbio di una collusione con i clienti a fini di profitto aziendale illumina un conflitto d'interessi latente, ma di inaudita pericolosità.
Stati, banche, fondi, imprese pagano ogni anno fior di miliardi per assicurarsi il servizio di questi supponenti arbitri del rischio finanziario. Mai così tanti soldi sono stati così tanto mal spesi. Sarebbe da cretini, per ridirla con Galbraith, continuare a farlo, come nulla fosse accaduto.
Nella foto l'ex Ministro delle Finanze del Berlusconi Uno, il leghista Pagliarini (quello che spiegava l'alta finanza, sulla spianata di Pontida, in dialetto milanese), nonchè "Senior Partner" (micacazzi) della Arthur Andersen Italiana, prima che questa società andasse a remengo in seguito al fallimento della Enron
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