...MEMORIA CORTA...
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L'Espresso del 25-11-05
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Dynasty Caprotti - Il boss di Esselunga non vuole lasciare niente al figlio. Perché lo considera troppo tenero con i dipendenti
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Perché l'anziano proprietario di Esselunga, Bernardo Caprotti, preferisce vendere il suo impero a un concorrente anziché lasciarlo nelle mani del figlio Giuseppe? Al di là delle valutazioni di carattere economico, nella decisione del fondatore del gruppo non è difficile intravedere motivazioni personali assai delicate e tutte interne alla dynasty milanese. Per chi conosce la famiglia non è un mistero infatti che il giovane Giuseppe ha idee politiche un po' diverse da quelle del suo ottuagenario papà. Se Bernardo è notoriamente un conservatore (fu tra i primi finanziatori di Forza Italia nel 1993), Giuseppe ha moderate simpatie di sinistra e, soprattutto, filo-ambientaliste; se il padre è noto per aver impostato le relazioni industriali con principi di durezza tipo Wal-Mart, il figlio vagheggia invece un'azienda ispirata a modelli di socialismo utopistico. Smarcatosi pubblicamente dal genitore-fondatore nel 2002 (dopo le prime rivelazioni sui casi di mobbing in Esselunga e sulle vessazioni nei confronti dei dipendenti), Giuseppe è stato poco dopo licenziato proprio dal padre-padrone, che che gli ha tolto ogni delega operativa. Essendo tuttavia proprietario del 30 per cento del gruppo, il giovane Giuseppe ha cercato pochi mesi fa di rientrare, proponendo al padre di vendergli una quota per arrivare così alla maggioranza. Niente da fare: piuttosto che cedere la sua creatura a un figlio ecologista che lui considera un po' troppo "di sinistra", Bernardo preferisce venderla a un gruppo concorrente.
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L'Espresso del 03-05-01
ESSELUNGA / CAPROTTI FA INCETTA DI AREE DISMESSE
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Prima era amico di Formentini. Ora è vicino a Berlusconi e Albertini. Così piano piano ha comprato mezza città. Obiettivo...
di Giuseppe Nicotri
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Arrivato a 75 anni e a 6 mila miliardi di fatturato, con un utile netto di 200, più di 11 mila dipendenti e 109 punti vendita concentrati in Lombardia, Piemonte, Veneto, Toscana ed Emilia, Bernardo Caprotti potrebbe dirsi soddisfatto della sua Esselunga, fondata nel 1957 come Supermarkets Italiani, e magari vendere anche lui agli stranieri. Farebbe il pieno perché i suoi fratelli Claudio e Guido hanno lasciato la società già nel 1982, come del resto altri soci blasonati quali la famiglia Crespi (ex "Corriere della Sera"), la International Basic Economy di Nelson Rockefeller, la principessa Letizia Boncompagni e quel Marco Brunelli che ha poi preferito far nascere i supermercati Gs. Al suo fianco c'è solo il figlio Giuseppe, laurea in Storia contemporanea alla Sorbona di Parigi e due anni di apprendistato in un supermercato di Chicago prima di diventare il braccio destro di papà. Ma nel futuro dei Caprotti non c'è la vendita e nemmeno la Borsa. C'è il mattone. Fatale è l'attrazione verso le aree industriali dismesse. Soprattutto a Milano, dove Bernardo ha tessuto una fitta trama di amicizie con gli amministratori del centro-destra. A gennaio, per esempio, ha messo a disposizione del sindaco Gabriele Albertini il buffet e le ex officine OM di via Ripamonti per gli Stati Generali di Milano. Negli stessi giorni, Caprotti ha organizzato una cena elettorale per Silvio Berlusconi a palazzo Trivulzio Brivio-Sforza con 180 invitati, tra i quali molti fornitori della Esselunga. L'obolo è stato sostanzioso: non i trenta miliardi di cui si è parlato, ma otto sicuri. Non sono state improvvisazioni. Già nel settembre 1999 Caprotti aveva acquistato l'intero paginone centrale del "Corriere della Sera" per sostenere le tesi di Albertini a favore dell'aeroporto di Linate contro la Malpensa pigliatutto. E prima ancora, nel '94, con il sindaco leghista Marco Formentini, Caprotti aveva firmato la convenzione per ristrutturare il Padiglione d'arte contemporanea distrutto dalla bomba del 27 luglio '93. Ben quattro delle cinque localizzazioni commerciali previste dalla giunta Formentini nel Piano di riqualificazione urbana erano toccate a Caprotti. Così erano stati chiusi i vecchi punti vendita in affitto e aperti i nuovi di proprietà. Con gli autobus dell'Azienda dei trasporti milanese che trasportavano, gratis, i cittadini nella zona con il nuovo punto vendita. Oggi la lista delle aree dismesse a Milano e dintorni diventate proprietà della Esselunga è impressionante: ex Maserati di via Rubattino, ex Lancia in via Papa, ex Magneti Marelli in via Adriano, ex Finalube ed ex Dalmine e Scac a Quarto Oggiaro, ex Carlo Erba in via Imbonati, ex Montecity in via Bonfadini, ex Acciaierie Redaelli a Rogoredo, Oerlikon in via Scarsellini e area industriale di via Antonini 32. Poi ci sono le aree a Pantigliate, ad Abbiategrasso, della ex Cantoni a Legnano. E le mire sulle aree Ferrovie dello Stato a Porta Vittoria, dell'ex Motta in viale Corsica, del Sieroterapico di Cabassi, della zona Garibaldi-Repubblica di De Mico.
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...ecco, questa sembra essere la storia di un imprenditore quasi rovinato dalla politica. E che aspetta 50 anni, ed una probabile, imminente crisi di governo, per tentare di sdebitarsi cogli amici, e cogli amici degli amici...
(Fine)
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