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MAGISTRATI NELLA BUFERA / IL CASO CATANZARO - PALAZZO D'INGIUSTIZIA
di riccardo bocca
Il rafforzamento degli uffici giudiziari calabresi voluto dal governo. E affidato a personaggi vicini a Saladino. Proprio l'indagato del pm De Magistris, che Mastella vuole trasferire
Lunedì 8 ottobre il Consiglio superiore della magistratura deciderà se trasferire il sostituto Luigi De Magistris dalla Procura di Catanzaro. Nell'attesa, l'atmosfera è pesante per tutti. E lo sarà ancora di più per una vicenda che vanta tra i protagonisti sia il ministro della Giustizia Clemente Mastella (cioè colui che ha chiesto di allontanare De Magistris), sia l'ex capo della Compagnia delle opere in Calabria Antonio Saladino: principale indagato del pm De Magistris nell'inchiesta 'Why not' sullo scippo dei fondi pubblici, ma anche manager smaliziato che al telefono si rivolge a Mastella con un amichevole "Clemente", ricevendo in cambio un affettuoso "Tonì".
Adesso, il guardasigilli Clemente e l'indagato Tonì si ritrovano in una storia delicatissima. Tema: il sostegno da parte delle istituzioni alla lotta contro la 'ndrangheta. È questo il fulcro della convenzione firmata il 14 maggio scorso dai ministeri della Giustizia e dell'Interno. Un documento che ha concretizzato nel migliore dei modi il 'Patto Calabria sicura', siglato a febbraio da ministero dell'Interno, presidente della Regione Calabria e altre autorità locali. Nel testo si parla di "interventi urgenti nelle zone di Lamezia, Gioia Tauro e della Locride" per potenziare "le risorse umane e tecnologiche dell'apparato di prevenzione e contrasto anticrimine". Si annuncia l'assunzione con "contratto di lavoro interinale di dieci mesi di 60 unità". E si dice che i nuovi arrivi aiuteranno uffici giudiziari e procure varie "nell'archiviazione, formazione e predisposizione degli atti".
Fin qui, tutto bene. Anzi benissimo, perché la convenzione di maggio indica anche i requisiti per gli aspiranti operatori. I candidati, si legge, devono avere almeno "il diploma di istituto di istruzione professionale, equipollente a quello di istruzione secondaria superiore". Non devono essere stati "destituiti o cacciati per motivi disciplinari da una pubblica amministrazione". E devono avere tenuto "una condotta irreprensibile come previsto per l'accesso alla magistratura". Viceversa, non si fa cenno alle caratteristiche dell'agenzia di lavoro che sarà incaricata delle selezioni. E non si trova un rigo sulle procedure che la stessa azienda dovrà seguire. Si dice solo che la selezione dovrà avvenire con una procedura ispirata al "massimo dell'oggettività e della trasparenza". Il che significa tutto e niente[...]
Non c'è stata alcuna gara pubblica [...] La Prefettura ha attuato la trattativa privata plurima". Ha cioè convocato a sua discrezione una serie di ditte. "Selezionate su Internet", dice Latella. Dopodiché ha scelto soltanto "in base all'offerta più bassa". Che era appunto quella di Worknet spa: un'azienda della filiera Gi Group, il cui amministratore delegato è Stefano Colli Lanzi, docente di Economia alla Cattolica di Milano.
Da parte sua, la direzione business di Worknet spa conferma. E va oltre. Per vincere, dice, ha presentato un ribasso del 22,77 per cento, con un'offerta finale di 1 milione 258 mila 816 euro. Il che sarebbe perfetto se la storia finisse qui.
Invece la storia inizia qui. Nel momento in cui telefoniamo alla filiale di Reggio Calabria della Worknet spa, e poniamo due domande: chi è il capo di questa sede? E chi ha seguito, giorno per giorno, le selezioni dei 60 operatori giudiziari finite il 26 settembre? Le risposte sono esplosive. L'uomo forte della sede, spiega un dipendente al registratore, si chiama Bruno Idà. Un nome noto, in Calabria, da quando lo scorso inverno è stato arrestato in un'inchiesta sui traffici di carne avariata della cosca di 'ndrangheta Iamonte. Lo stesso Idà, sostengono i lavoratori di Worknet spa, ha seguito le selezioni del 'Patto Calabria sicura' a Reggio. E sempre Idà è citato nell'inchiesta 'Why not' di De Magistris: in una telefonata tra Saladino e un'impiegata, dove si parla di un appuntamento a Milano con "Daniele e Dario alla Compagnia delle opere, venerdì".
Riassumendo: l'assunzione di 60 elementi anti 'ndrangheta, obiettivo della convenzione tra il guardasigilli Mastella e il sottosegretario agli Interni Marco Minniti (firmata anche dall'ex prefetto di Reggio Calabria Luigi De Sena, attuale vice capo della Polizia, e dal direttore generale del personale al ministero della Giustizia Carolina Fontecchia), sarebbe stata gestita in parte da un arrestato per sospetta mafiosità, in contatto con la Compagnia delle opere e quindi con Saladino. Ma c'è di più. Sempre alla Worknet avrebbe lavorato al 'Patto Calabria sicura' un'altra figura, femminile. "A coordinare le selezioni", spiega un dipendente, "c'era anche Nadia Di Donna, del settore commerciale. Idà seguiva l'area di Reggio, lei quella di Lamezia e Catanzaro". Una versione confermata dalla stessa Di Donna, la quale contattata dice: "È vero, ho seguito le selezioni. Però non posso rispondere ad altre domande. Devo chiedere l'autorizzazione al superiore... Scusi, ma sono stata assunta da un mese".
A prima vista, una dipendente rispettosa del capo. Ma solo a prima vista. Gli investigatori la descrivono in tutt'altro modo: "(Di Donna) gestisce per conto di Antonio Saladino tutti i contratti del lavoro in affitto fra la Regione Calabria e la società Piazza del lavoro", si legge negli atti, "con i vantaggi economici che vengono quantificati da loro stessi in un'altra conversazione". Addirittura, mostrano le carte, "le attività decisionali (di varie società, ndr), a dispetto degli statuti e degli amministratori in carica, sono assunte di fatto dal Saladino, che amministra tutto avvalendosi della collaborazione e della consulenza di Nadia Di Donna. (Ad esempio), le dimissioni dei vari soci e facenti parte dei direttivi sono decise da questi due".
Non deve stupire, quindi, se Saladino al telefono chiama Di Donna "Nadiuccia". Ed è comprensibile che lei scivoli nel confidenziale "Tonino". Funziona così, in terra di Calabria. Gli amici si aiutano, si alleano. A volte creano comitati d'affari. Comandano con massonerie coperte, come secondo l'accusa avrebbe fatto Saladino. E quando lo Stato italiano assume 60 collaboratori giudiziari, chi finisce a gestire la partita? Persone che in un modo o nell'altro compaiono nell'inchiesta 'Why not'. Quella che tante rogne sta causando a De Magistris. [...]
ha collaborato Paolo Orofino
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Opere in buona compagnia
M. L.
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