I "garbugli" della Rete (21)
Premessa: mentre leggerete questo scritto, vi prego di non dimenticare che è stato pubbicato nel 1998; considerando la velocità alla quale si muove l'informatica, e la rete in particolare, 10 anni sono un secolo. Gli articoli di Giancarlo non dimostrano, però, l'età che hanno... Taf
Si parla spesso di hacker; e spesso non ci si capisce, perché la parola ha significati diversi. Un giorno qualcuno mi disse che ci sarebbe stata una riunione clandestina, in cui un famoso hacker avrebbe raccontato come era riuscito a penetrare nel Pentagono. Ci andai. Non era affatto clandestina; parlava Richard Stallman, che non si è mai sognato di “penetrare” in alcun sistema, ma si occupa di freeware: quel software che non è sempre gratuito ma è free, cioè libero, e può essere liberamente usato e modificato da tutti (un argomento importante, su cui tornerò in un prossimo garbuglio).
Quel signore è un hacker? Si, nel significato originale della parola. Che non vuol dire “malintenzionato”, come sembrano intendere gli articoli sui giornali e i discorsi che si sentono in giro.
La cosa è spiegata bene in alcuni libri, come il classico Hackers: Heroes of the Computer Revolution di Stephen Levy (1984) e l’ottimo Hacker Crackdown di Bruce Sterling (1992); di tutti e due ci sono traduzioni italiane. C’è anche un bel libro italiano uscito alla fine del 1997: Spaghetti Hacker di Stefano Chiccarelli e Andrea Monti. Quando sono andato a comprarlo, il libraio mi ha detto che lo doveva continuamente riordinare, perché andava a ruba. Evidentemente c’è interesse per l’argomento.
In sostanza un hacker è una persona con una forte preparazione tecnica che si diverte a trafficare con le macchine e a inventare cose nuove. Quello che in Italia chiamiamo uno “smanettone”. Senza persone come queste non ci sarebbero molte tecnologie che stiamo usando e non ci sarebbe l’internet.
I primi hacker del MIT non si occupavano di computer, ma di trenini elettrici. I primi che si divertirono a fare cose un po’ birichine (più per dimostrare la loro abilità che con l’intenzione di fare danni) furono quelli che negli anni settanta inventarono le blue box per fare telefonate interurbane senza pagarle.
Dirà chi legge: ma tu cosa c’entri? Non sono uno “smanettone” perché non ho la competenza tecnica. Ma non posso evitare di “mettere le mani” sul computer, perché non accetto che faccia cose diverse da quelle che mi servono; e quando (come purtroppo succede spesso) un software fa i capricci, o si comporta in modo diverso da come vorrei, scatta un impulso basato su un fermo principio filosofico: la macchina deve lavorare per me, e non viceversa. Ne nascono talvolta battaglie impegnative, se occorre mi faccio aiutare da uno “smanettone” vero, ma alla fine le cose devono andare come voglio.
Credo che non ci si debba arrendere mai. Sistemi, protocolli, procedure di comunicazione in rete, eccetera, devono adattarsi alle esigenze delle persone; non noi alle fisime di qualche ingegnere matto o di qualche prepotente e gigantesca software house. Questo è un comportamento da hacker.
Il confine fra “bravo tecnico” e “disturbatore’ è sottile. Alcuni cosiddetti hacker sono arrivati davvero a fare cose illegali o dannose (anche se spesso il loro scopo non era nuocere, ma vantarsi della loro abilità; tanto è vero che molti giovani hacker “da grandi” si trovano, con lauti stipendi, in qualche grande impresa di software).
Ma c’è un altro motivo per cui penso di essere un po’ hacker; e ha poco a che fare con la tecnologia. Credo di essere stato, per tutta la vita, una specie di hacker culturale. Ho sempre avuto l’invincibile tendenza ad andare oltre la superficie delle cose, a cercare notizie e informazioni diverse da quelle più diffuse. Insomma sono inguaribilmente curioso.
Per quelli come me, se non ci fosse la rete bisognerebbe inventarla; anche se presto ci accorgiamo che trovare ciò che cerchiamo non è facile. Ci sono decine di motori di ricerca, alcuni hanno una potenza enorme, altri hanno acute capacità selettive... ma spesso non trovano ciò che stiamo cercando. Così nasce il divertimento (ma anche la fatica) di dialogare in giro, usare il filo dei contatti personali finché finalmente si trovano quei nodi della rete che ci permettono di imboccare nuovi percorsi. Roba da hacker...
E non finisce qui. Sentiamo spesso parlare di regole, filtri, controlli, insomma censura. Finora in Italia siamo quasi completamente liberi. Ma se un giorno i “controllori” riusciranno davvero a limitare le nostre capacità di ricerca e di dialogo, allora per quelli come me non resterà altra scelta che trovare qualche percorso non controllabile, mettersi su un server in Ruritania con un’identità marziana, o in qualsiasi altro modo diventare un hacker, un bucaniere dell’informazione.
Spero che non succeda mai... ma se succederà, cari lettori e care lettrici, ci daremo appuntamento sulla mia imprendibile nave fantasma in qualche invisibile baia della Tortuga.
Articolo pubblicato per cortese concessione di Giancarlo Livraghi
http://gandalf.it/garbugli/garb21.htm
CHI E' - Laureato in filosofia all'Università degli Studi di Milano. Aveva cominciato a lavorare (mentre studiava) come giornalista, redattore e bibliografo. Il suo primo lavoro a tempo pieno è iniziato nel 1952, quando è entrato come copywriter nell'agenzia CPV (sede italiana della Colman, Prentis and Varley). Poco più tardi, è divenuto direttore creativo e in seguito ha avuto responsabilità gestionali più ampie. In quel periodo l'agenzia si è sviluppata fino a diventare la più grande in Italia.
Nel 1966 è diventato consigliere delegato e poi presidente della McCann-Erickson italiana. Negli anni seguenti la McCann è cresciuta rapidamente, fino a diventare la più grande agenzia di pubblicità italiana nel 1971. Nello stesso anno, Livraghi è stato nominato presidente del comitato new business europeo e responsabile dell'area Europa sud.
Dal 1975 è stato executive vice-president della McCann-Erickson International a New York. È ritornato in Italia nel 1980 come socio di maggioranza della Livraghi, Ogilvy & Mather, che sotto la sua guida ha avuto un veloce sviluppo. Nel 1993 ha lasciato il mondo delle agenzie di pubblicità. In quel periodo aveva già cominciato ad interessarsi alla comunicazione in rete.
Nel 1994 è stato tra i fondatori di ALCEI, l’associazione per la libertà della comunicazione elettronica interattiva, e ne è divenuto il primo presidente. È stato presidente della TP (Associazione professionisti pubblicitari), della Federazione Professionale della Pubblicità e dell’ASSAP (Associazione delle Agenze di Pubblicità). Nel 2004 è stato eletto alla Hall of Fame dell’Art Directors’ Club.
Approfondimenti e bibliografia su http://gandalf.it/livraghi.htm
Vi chiederete cosa c'entri io... Nulla. Ho avuto il piacere di conoscere Giancarlo a metà degli anni '60, quando io ero un giovane uomo di marketing per il Sud-Europa della Vick (che allora era una divisione della Richardson-Merrell, e Giancarlo era già un guru della pubblicità (ma diciamolo sottovoce, perchè non ama sentirsi definire "guru", anche se è esattamente così che lo vedevo io, in quegli anni).
Poi, nei giorni scorsi, per una serie di circostanze abbastanza fortuite (Lucio Sorge o suo figlio, non ricordo bene), mi avevano segnalato il sito di Giancarlo, che "merita la visita", l'ho ricontattato per chiedergli il permesso di "rubargli" qualcosa, ed ho, con piacere ma senza sorpresa, ritrovato la persona squisita che avevo lasciato 40 anni fa.
Grazie, Giancarlo, e.... a rirubarti.
Tafanus
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