(Seconda e conclusiva puntata. La prima puntata è stata pubblicata dal Tafanus, per cortese concessione di Giancarlo Livraghi, il 20 c.m.:
http://iltafano.typepad.com/il_tafano/2008/01/il-potere-della.html )
Maggiori informazioni su http://www.gandalf.it/ e su http://stupidita.it/
È ovvio che concetti come questi possono essere inquadrati con le classiche “coordinate cartesiane”.
Non so perché la regola (o l’usanza) sia numerare i “quadranti” da I a IV in senso “antiorario”. Ma se così vuole la matematica, così sia.
Se sulle ascisse (asse X) collochiamo il vantaggio (o svantaggio) che qualcuno ottiene con le proprie azioni, e sulle ordinate (asse Y) il beneficio (o danno) ad altri, ognuno di noi può definire, in base alle conseguenze pratiche di un comportamento, dove si colloca una persona o un gruppo di persone – in generale o in una particolare circostanza. È evidente che i comportamenti collocati nel “primo quadrante” (in altro a destra) sono a vari livelli di “intelligenza”, mentre nel “terzo quadrante” (in basso a sinistra) si tratta di stupidità.
È altrettanto ovvio che nel quarto quadrante (in basso a destra) si possono collocare diversi livelli di “banditismo”. Invece quelli del secondo (in alto a sinistra) possono richiedere interpretazioni più complesse. (Questo è uno dei punti in cui la mia interpretazione diverge, in parte, da quella di Carlo Cipolla – di un altro, più generale, parleremo nelle osservazioni conclusive di questo articolo).
Si può trattare di “sprovveduti” quando inconsapevolmente danneggiano se stessi e gli altri. Ma la stessa collocazione può riguardare comportamenti consapevolmente generosi o “altruistici”. In questo caso l’analisi può procedere in due modi. Può tener conto dei vantaggi morali e sociali – e perciò collocare quei comportamenti nell’area dell’intelligenza. Oppure lasciare che si trovino a sinistra dell’asse “Y”, ma usare una definizione diversa da “sprovveduti” (a questo proposito vedi anche il supplemento a La stupidità del potere).
Senza entrare nei dettagli, che possono essere complessi, di analisi come queste, il fatto è che le valutazioni degli effetti di diversi comportamenti si possono fare su scala individuale (rapporti fra due persone) o su una base più estesa, riferita a “grandi” sistemi (nazioni, comunità internazionali o anche l’umanità in generale) o ad ambiti più ristretti (situazioni locali, imprese, associazioni, gruppi organizzati o spontanei, aggregazioni umane di qualsiasi specie, natura e dimensione).
Il sistema, nel suo complesso, può progredire o arretrare per una combinazione di comportamenti di varia specie, non tutti e non sempre “altruistici”. Ma è chiaro che il massimo beneficio collettivo si ottiene con azioni “intelligenti” – e il massimo danno con quelle “stupide”. In altre parole, se ognuno bada troppo al suo interesse particolare, trascurando gli effetti del suo agire sugli altri, si ha un degrado generale della società nel suo complesso – e così anche chi credeva di essere “furbo” si rivela stupido. Ma spesso accade che questa constatazione avvenga quando è troppo tardi per poter rimediare.
Questo conferma la premessa fondamentale: il fattore di maggior danno in ogni società umana è la stupidità.
Naturalmente si creano particolari, e spesso drammatiche, conseguenze quando c’è uno squilibrio fra causa ed effetto. Come nel caso in cui le azioni di pochi influiscono sulla condizione di molti. Per qualche ulteriore osservazione su questo tema vedi La stupidità del potere
Nell’uso di queste coordinate ci sono alcune differenze fra il metodo proposto da Carlo Cipolla e quello che sto seguendo in questi ragionamenti. Sono principalmente tre.
Le osservazioni di Cipolla (come quelle di Walter Pitkin e di quasi tutti quando si occupano di questo argomento) si basano su un’ipotesi di separazione netta: alcune persone sono intelligenti e altre sono stupide. Come vedremo poco più avanti, la mia convinzione è che quasi nessuno è totalmente stupido e (soprattutto) nessuno può illudersi di essere sempre intelligente. Perciò è necessario tener conto della componente di stupidità (come di altre categorie di comportamento) che è presente in ognuno di noi.
Le analisi basate sui risultati possono essere fatte tentando di definire in generale il comportamento di una persona oppure limitandosi a un particolare sistema di circostanze. Questa seconda soluzione non è da escludere, anzi può essere particolarmente interessante per scoprire come la stessa persona, in situazioni diverse, possa avere un comportamento diversamente classificabile e definibile.
La più ovvia tendenza è, quando si traccia un grafico di questo genere, collocare se stessi nelle ascisse (asse X) e qualcun altro nelle ordinate (asse Y). Ma può essere molto utile fare il contrario: cioè valutare il nostro comportamento in base all’effetto sugli altri. La difficoltà sta nel fatto che, ovviamente, la qualità dei risultati deve essere valutata dal punto di vista di chi ne subisce l’effetto – ma sapersi “mettere nei panni degli altri” è sempre utile, specialmente quando tentiamo di verificare il nostro livello di stupidità (o di intelligenza).
È un fatto universalmente noto che le persone consapevoli e generose generalmente sanno di esserlo, i malvagi e i prepotenti si rendono conto del proprio atteggiamento e anche le vittime più deboli e peggio informate hanno qualche percezione del fatto che qualcosa non va... ma gli stupidi non sanno di essere stupidi – e questo li rende ancora più pericolosi. Il che mi riporta alla prima, angosciosa domanda: sono stupido?
Ho superato varie prove di “quoziente di intelligenza” con buoni risultati. Purtroppo conosco il funzionamento di quei formulari e so che significano poco o nulla. Molte persone mi hanno detto che sono intelligente. Ma anche questo non è significativo. Potrebbero essere troppo gentili per dirmi la verità. O, al contrario, potrebbero voler sfruttare la mia stupidità a loro vantaggio. O potrebbero essere stupide come me. Mi rimane un filo di speranza. Spesso sono acutamente cosciente di quanto sono stupido (o lo sono stato). E questo indica che non sono completamente stupido.
A volte ho cercato di collocarmi nello schema cartesiano, usando il più possibile risultati concreti di azioni (non opinioni) come unità di misura. Secondo la situazione, sembra che io tenda a oscillare nella parte alta del grafico (sopra l’asse X) talvolta nel quadrante destro, cioè con un livello variamente “basso” o “alto” di intelligenza – ma in alcuni casi sono disperatamente perso in quello a sinistra, cioè fra quelli che avvantaggiano gli altri con proprio danno. Spero di essere “utile agli altri” così spesso come mi sembra. Ma so che non sbagliare è impossibile – e che non si finisce mai di imparare. In generale, sembra logico aspettarsi che i fattori più forti di successo si trovino nel primo o quarto quadrante delle coordinate, cioè nei settori a destra dell’asse Y. Ma il numero impressionante di persone che si collocano dall’altro lato, e tuttavia hanno splendide carriere, si può spiegare solo con un forte desiderio da parte di molti potenti di circondarsi il più possibile di stupidi.
Poco dopo aver letto il suo libro, scrissi a Carlo Cipolla (ho fatto una cosa del genere solo due volte in vita mia). Fui piuttosto sorpreso quando mi rispose. Con una lettera breve, ma cortese. Gli avevo chiesto: «Che cosa pensa del mio “corollario” alla sua teoria?» La risposta fu «Be’, perché no?» – che credo di poter interpretare come conferma e approvazione del Corollario di Livraghi alla Prima Legge di Cipolla
In ognuno di noi c’è un fattore di stupidità che è sempre maggiore di ciò che pensiamo. Questo “corollario” (come gli altri due – vedi “ Seconda Parte ”) non è necessariamente collegato a un singolo autore. Potrebbe anche, per esempio, riferirsi al “Rasoio di Hanlon” o alla “Legge di Finagle” – come a ogni considerazione generale sull’onnipresenza della stupidità e sul fatto che è spesso, se non sempre, più diffusa e più pericolosa del previsto.
Così si crea un modello tridimensionale e non credo di doverne spiegare la struttura, perché è improbabile che una persone stupida o pavida sia arrivata a leggere fino a questo punto. Naturalmente, oltre alla nostra e altrui stupidità, possiamo inserire anche altre variabili, come i nostri diversi fattori di comportamento e il modo in cui si combinano con quelli di altre persone. Può essere saggio dimenticare il fattore “intelligenza”, perché non ce n’è mai abbastanza. Ma non è il caso di trascurare i valori del “quarto quadrante”, perché anche la persona più generosa può qualche volta comportarsi da “bandito”, anche se solo per errore. Con l’aggiunta di questi fattori si crea un modello multi-dimensionale di difficile gestione. Ma anche considerando solo le nostre componenti individuali di stupidità la complessità può essere sconcertante. Provare per credere... ed essere davvero spaventati.
Vedi anche Il potere della stupidità, seconda parte
e la terza parte La stupidità del potere
oltre all’indice dei testi successivi.
Avevo fatto parecchi tentativi, nel corso degli anni, di trovare il testo originale inglese del saggio di Carlo Cipolla sulla stupidità. Era stato scritto all’inizio degli anni ’70 e distribuito in fotocopia “fra pochi amici”.
Poi stampato nel 1976 a Bologna in un piccolo opuscolo “fuori commercio” come regalo natalizio a colleghi e amici. Pubblicato dalla Whole Earth Review nel 1987 (senza, a quanto pare, autorizzazione dell’autore).
Sembrava irreperibile – finché, nel 2002, si scoprì che era diventato disponibile online in Ecotopia e altri siti. Ma ora, per volontà dei titolari del “diritto d’autore”, non è più consentito metterlo a disposizione in rete.
(È un peccato che così quel testo sia diventato di nuovo irreperibile. Ma quella, purtroppo, è la legge).
Ringrazio Giancarlo per la sua cortesia, e spero di poter attingere ancora dai suoi sapidi scritti. Tafanus
SOCIAL
Follow @Tafanus