Per una volta, il centro-sinistra detta l'agenda della discussione politica, e la destra è costretta ad inseguire. Fino ad oggi, nei vari dibattiti TV, dalla destra ho sentito tre temi dominanti, tutti di enorme rilievo politico:
-a) Prodi ha rovinato l'Italia. Pazienza che TUTTE le istituzioni finanziarie e politiche sovranazionali dicano il conrario. La parola d'ordine, nel PdPdL è fissata: che ha fatto Prodi? "...ha rovinato l'Italia...".
-b) Berlusconi teme Veltroni come la morte, tanto è vero che la seconda parola d'ordine è che Veltroni è la maschera di Prodi, che è il VERO leader nascosto dei komunisti, eminenza grigia che manovra dal buio. E' molto comodo far passare questa equazione idiota. Per il cainano sarebbe molto comodo avere come interlocutore un personaggio come Prodi, che spesso ha difficoltà di comunicazione, al posto di Veltroni, che in termini di comunicazione avrebba anche qualcosa da insegnare al Grande Maestro (della loggia P2). Ricordate le precedenti elezioni? Il giochino era diverso ma uguale: il vero leader non era il moderato Professore, ma il komunista D'Alema, che manovrava il burattino. Cambiano i personaggi, rimane immutata la "piéce"; solo che questa volta la gente cambia canale appena inizia questa solfa. Ormai su questa solfa vanno avanti solo lui ed il fido fabrizio senzavergogna cicchetto.
-c) il PD ha detto che andava da solo, e invece ha imbarcato Di Pietro. Orrore!!! E' una cosa che non esalta neanche me (e la prima sortita di Di Pietro, non concordata, sull'assetto TV, dimostra che di Di Pietro forse si sarebbe potuto e dovuto fare a meno). Memento De Gregorio. E tuttavia non è il PdPdL a poter dare lezioni in tal senso, avendo imbarcato (fusione è parola esagerata, visto che nessun partito si è sciolto) i post-fascisti di AN, i patani, la signora Mussolini, il signor Romagnoli... tutti allegramente insieme in un unico fascio.
Oggi, in questo clima di campagna che sta rapidamente abbandonando i toni soft per slittare nella demagogia più becera della destra (cioè la solita), noi abbiamo una miniera tutta nostra da riaprire, ed è quella della questione morale. Berlinguer, dove sei? Nel momento in cui il PD ha deciso che i condannati (anche se in primo grado) e quelli che hanno comunque gravi sospetti giudiziari, non verranno candidati, dobbiamo trovare il coraggio di gridare alla destra, giorno dopo giorno, nome dopo nome, gli sconci nomi che stanno riproponendo alla politica: a volte per crear loro uno scudo contro la magistratura; a volte perchè i dirigenti dei partiti che li ripropongono sono ricattabili, e lo sanno. A volte, infine, perchè con disarmante sincerità non riescono a distinguere una guardia da un ladro, e un obbligo di legge da un problema di opportunità politica.
Sulla c.d. "questione morale" non dobbiamo dare tregua. Sappiamo tutti, senza che ce lo spieghi il cainano, che per costituzione tutti sono innocenti fino a sentenza definitiva. Però un conto è la possibilità giuridica di candidare un processando, o un assolto per errori formali, o un prescritto, o un "auto-depenalizzato"; altro conto è l'opportunità politica di candidare un quasi-certo-ladro. Valga per tutti l'esempio dipietresco: se becco un amico che a casa mia si mette in tasca l'argenteria, fino all'ultimo grado di giudizio è tecnicamente innocente. Però, nel frattempo. io eviterò di invitarlo ancora a pranzo. O no?
Oggi "La Stampa" pubblica un bell'articolo sull'argomento, da cui ho tratto alcuni stralci. Domenica era uscito un articolo dell'Avvenire (il giornale della CEI, il che è quanto dire), che viaggiava sulla stessa falsariga. Ma tant'è: lo spirito di stretta osservanza vescovile del PdPdL e dell'UDC si ferma, non appena incombe la necessità di proteggere i ladroni. Ecco alcuni passaggi dell'articolo de "La Stampa":
Condannati fuori lista: Udc e Pdl si smarcano - «Le regole interne non sono decise dai magistrati»
( di Francesco La Licata)
La si chiami questione morale o rivolta delle coscienze, o come si vuole, torna prepotente in primo piano l’annosa battaglia per la scelta dei candidati presentabili. Riesplode il dibattito sui criteri da seguire per la formazione delle liste alle prossime elezioni [...] Gli appelli a liberarsi dei candidati impresentabili si sono succeduti: in Commissione antimafia si è fatto ricorso ad un non meglio specificato “codice deontologico” (che non è riuscito a decollare); persino il Procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, si è fatto promotore di un invito a soppesare le candidature dal punto di vista dell’etica e del codice penale.
Oggi è il giornale dei Vescovi a lanciare la sfida, indirizzata prevalentemente ai centristi: «Solo candidati puliti”, è il senso di un editoriale di Avvenire di domenica, giorno di massima diffusione nelle parrocchie. E il Pd, nel presentare i dodici punti del programma, sotto il capitolo “giustizia e legalità” ostentava - per bocca di Veltroni - il «principio della non candidabilità al Parlamento dei cittadini condannati per reati gravissimi come quelli contro la pubblica amministrazione o connessi alla mafia e alla camorra». Riuscirà a sfondare, il monito dei Vescovi, nei due principali destinatari del centrodestra? A parte l’impegno scritto del Pd, non sembra che la politica risulti particolarmente entusiasta di gestire la “patata bollente”. Tanto da aver registrato, per esempio in casa Udc (insieme con Forza Italia terminale del messaggio di Avvenire), un senso di sollievo per la trasmigrazione nel Pdl dell’eurodeputato Vito Bonsignore, titolare di qualche problema giudiziario: «Meno male - è il commento raccolto - che è andato. Un problema in meno».
Già, perchè l’altro problema non secondario dell’Udc si chiama Totò Cuffaro, governatore della Sicilia, dimissionario in seguito ad una condanna a cinque anni per aver favorito alcuni esponenti di Cosa nostra. Su Cuffaro, però, è intervenuto personalmente Pierferdinando Casini, che gli ha già assicurato la candidatura al Senato assumendosi la “responsabilità piena della scelta”. «Per Cuffaro garantisco io», ha detto il leader dell’Udc.
E c’è anche il problema del segretario Lorenzo Cesa, indagato a Catanzaro per associazione e truffa all’Unione Europea. Ma, continuando in modo trasversale, i tentacoli del codice penale vanno verso Forza Italia lambendo il sen. Luigi Grillo (aggiotaggio nella vicenda Rcs e Bnl), l’ex governatore della Puglia Raffaele Fitto (corruzione e finanziamento illecito), fino a personaggi di spicco come il sen. Marcello Dell’Utri. Posizione critica, la sua, essendo stato condannato in via definitiva a due anni per frode fiscale e false fatture, e a nove anni in primo grado per mafia (processo in via di appello).
Altri condannati in via definitiva sono i forzisti Massimo Berruti ed Alfredo Vito (patteggiati due anni per corruzione). Saranno candidati i “definitivi”? Da Forza Italia ancora nessuna decisione definitiva. «Stiamo definendo il quadro politico», dice Claudio Scajola. «Siamo, quindi, ad un primo screening che, tuttavia, ci porta a considerare l’eventualità di massima di una ricandidatura degli eletti uscenti». Ma esiste già un criterio, una regola da seguire? «Non un criterio assoluto anche perchè non abbiamo al nostro interno grandi problemi, ma il dovere di valutare caso per caso». E i condannati in Cassazione? A questa domanda Scajola non offre risposte, ma valutazioni personali: «E’ da tenere presente l’invito del vescovi e condivido le perplessità di quanti ritengono controproducente esporre candidature che potrebbero indebolire l’immagine della coalizione».
Più netta la presa di distanza di Michele Vietti (Udc) dalla “suggestione” di «affidare alla magistratura la selezione della propria classe dirigente». Cioè? «Non ci si può fermare all’automatismo della condanna, passata in giudicato o meno. Deve essere il partito ad applicare un proprio codice deontologico, anche sulla base di valutazioni diverse da quelle delle presunte “colpe” giudiziarie. Spesso si può far peggio candidando qualcuno senza “nei” ma privo del patrimonio necessario per fare politica». E a sinistra? La trasversalità, lo abbiamo detto, arriva ovunque. Anche Enzo Carra annovera una condanna definitiva. «Ma per un reato (false comunicazioni al pm ndr) - precisa il giornalista - che non è contemplato nel codice scritto dal Pd. Se si fosse deciso per la mia non candidabilità credo avrei accettato democraticamente, com’è nella mia storia». Qualche problema esiste anche nel “governatorato” della Calabria di Agazio Loiero, impelagato in storie di appalti e sanità. Per non parlare delle presenze in Parlamento degli ex rivoluzionari (Sergio D’Elia) e dei “disobbedienti” Caruso e Casarini, proposti per una condanna a 6 anni a Genova. Ma queste eventuali ricandidature non sono più problemi del Pd.
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