Lo stato di emergenza rifiuti nella Regione Sicilia (a seguito di istanza del Presidente della Regione e del Ministro dell’ambiente) fu proclamato a mezzo del D.P.C.M. del 22 gennaio 1999, con previsione del 30 giugno 2000 come data di scadenza (via via prorogata). Tale situazione fu determinata dalla inadeguatezza delle discariche preesistenti e, quindi, del sistema di smaltimento dei rifiuti urbani, che sarebbe potuto degenerare in una emergenza non fronteggiabile con i mezzi e i poteri ordinari.
Come nel caso della regione Campania, si assiste, nel tempo, a repentini mutamenti di strategia rispetto al Piano originario di gestione dell’emergenza. I motivi? In una memoria presentata dal Commissario delegato si trova scritto che l’attività programmatoria ”ha scontato soprattutto nella fase iniziale la mancanza di dati ed elementi di conoscenza sui rifiuti in Sicilia necessari per qualunque attività di programmazione (basti ricordare, ad esempio, che l’Arpa Sicilia alla quale la legge demanda la competenza in materia di catasto dei rifiuti è stata istituita con l.r. n. 6 del 3 maggio 2001).” Si decide, pertanto, ad un certo punto, di ridurre gli iniziali obiettivi della raccolta differenziata dal 50% al 35% e di puntare decisamente sulla produzione di cdr ai fini della termovalorizzazione. Si legge infatti nella relazione del Minambiente del 5/12/01: “tutto lo sforzo della gestione commissariale è stato polarizzato sul versante della produzione di cdr.”
Come in una fotocopia delle vicende campane, quindi, i piani originari collassano, la gestione integrata dei rifiuti si strozza già a monte col fallimento della raccolta differenziata, le discariche si riempiono, la mondezza inizia ad accumularsi e si impongono, giocoforza e come la manna dal cielo, i termovalorizzatori.
L’avviso pubblico di gara per la realizzazione di quattro impianti fu pubblicato in data 9 agosto 2002 (in ambito solo nazionale, e non europeo come invece la Legge statuiva), imponendo un termine assai breve di 80 giorni (il minimo previsto dalla normativa) per la presentazione della proposta di partecipazione alla procedura concorsuale, sul presupposto dell’urgenza. L’avviso di gara viene quindi pubblicato in pieno periodo feriale e fissa poco più di due mesi per la presentazione di un’offerta che pure prevede molteplici e complesse incombenze: studio di compatibilità ambientale, studio economico di fattibilità, piano finanziario, proposta della tariffa, progettazione degli impianti di termovalorizzazione e dei siti di raccolta, compattamento e smistamento, individuazione dei territori, acquisizione delle aree, studio approfondito del servizio da svolgere e dei luoghi relativi ai siti di produzione, elevatissime garanzie finanziarie, ecc.
Importante, in questi casi, è arrivare preparati: sapere già da tempo, “per altre vie”, che l’amministrazione sta procedendo all’indizione di un bando di gara. Ho fatto alcune ricerche in proposito. In un esposto/denuncia del comitato cittadino “no all’inceneritore” di Campofranco, tra le premesse, si legge delle “dichiarazioni rese da un noto pentito di mafia dell’area di Agrigento (tale Maurizio Di Gati), secondo cui del termovalorizzatore di Casteltermini si parlava ancora prima della pubblicazione dell’avviso di gara ed addirittura nel giugno 2001, durante la campagna elettorale regionale (dichiarazioni di cui in atto si occupa il Tribunale penale di Palermo nel processo “talpe in procura” a carico dell’attuale Presidente della regione)”.
Una delle società riunite in associazione temporanea di’imprese che risultò aggiudicataria di 2 dei 4 sistemi integrati, “puntualmente” (per usare l’espressione della Corte dei Conti) è risultata infiltrata dalla criminalità mafiosa (sponsorizzata dal boss Santapaola): la Altecoen. Circostanza peraltro nota, visti i “precedenti” della ditta in vicende legate alla raccolta dei rifiuti nel Comune di Messina. Nella “relazione territoriale sulla Sicilia” del 2005 si legge, in un passaggio: “E’ interessante notare come gli investigatori messinesi pongano in evidenza il fatto che alla procedura contrattuale relativa alla scelta del contraente privato del Comune di Messina abbiano partecipato tutte società di fatto riconducibili a famiglie mafiose e che la decisione circa l'aggiudicazione sia stata il frutto di accordi intervenuti fra le cosche mafiose ed i rispettivi referenti politici; tanto è vero che l'Altecoen, esclusa in un primo momento dalla procedura, viene riammessa a seguito del parere favorevole espresso dal direttore tecnico del servizio nettezza urbana del Comune di Messina, professionista, quest'ultimo, che successivamente entrerà a far parte dell'organico della MessinAmbiente.”
Per evitare “disguidi”, comunque (e vista l’emergenza, ovviamente), la stipula della convenzione con l’aggiudicataria avvenne a prescindere dall’acquisizione della certificazione antimafia.
Anche in questo caso, come nella “fotocopia” campana, il Commissario esercitò l’opzione di attribuire agli operatori privati la facoltà di scegliere i siti dove ubicare i vari impianti. Scelta sulla quale si esprime duramente la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite connesse: “…desta perplessità la delega alle imprese aggiudicatarie dell'individuazione dei siti per la realizzazione dell'impiantistica connessa al ciclo dei rifiuti, aumentando tale delega il rischio dell'inquinamento mafioso, a causa del conclamato radicamento territoriale delle compagini criminali.”
Da qui ricorsi amministrativi, sospensioni, rilevanti e decisivi rallentamenti che si protraggono ai nostri giorni, attività strategiche affidate (tutte), direttamente, senza procedimenti concorrenziali e trasparenti, a soggetti esterni fuori dal controllo pubblico (e quindi ancor più esposti alle pressioni delle ecomafie); fino alla procedura d’infrazione europea, per le gare aggiudicate dal Commissario Cuffaro, per violazione della direttiva 92/50/Cee sugli appalti pubblici di servizi (“per avere, in particolare, il Commissario stipulato le convenzioni senza la idonea pubblicazione dei bandi di gara”); spendendo centinaia di milioni di euro per realizzare un fallimento: si è oggi al di sotto del 5% di raccolta differenziata, mentre il conferimento dei rifiuti in discarica si attesta, ancora, addirittura oltre il 90% del totale dei rifiuti prodotti.
Questo il presente. Diamo ora un’occhiata al futuro così come programmato. Ma alla programmazione reale (perché, certo, se venisse rispettata la normativa sulla raccolta differenziata la quantità di rifiuti destinata all'incenerimento dimezzerebbe in cinque anni). Questo scrive Massimo Giannetti su “Il Manifesto” del 21/2/07: “Ma i rifiuti sono un business troppo ghiotto: è infatti di 75 euro per ogni tonnellata di rifiuti consegnata agli impianti il budget che le ditte riceveranno se i quattro “mostri” dovessero diventare realtà. A conti fatti, esclusi gli introiti che ne deriverebbero dalla vendita all'Enel dell'energia elettrica prodotta dagli stessi inceneritori, è un affare di almeno tremila miliardi in venti anni”. E non a caso, infatti, gli impianti sono esageratamente sovradimensionati.
Vale citare in proposito quanto osservato dall’esperto Prof. Aurelio Angelini dell’Università di Palermo nel corso dell’audizione presso la IV Commissione dell’Assemblea Regionale Siciliana (presidente On. Bennati) in data 22/9/05. Dal relativo resoconto stenografico risultano queste sue affermazioni: “Ho qui una tabella, che lascerò agli atti, che riassume tutti gli impianti di incenerimento attivi in Italia. Tutti questi impianti ad oggi termovalorizzano, su un territorio che è dieci volte la Sicilia, 2 milioni e 890 mila tonnellate di rifiuti; cioè, noi andiamo ad installare in Sicilia una potenza di incenerimento pari a tutta quella che c’è nel resto d’Italia, su un territorio che è un decimo”. Il futuro, appunto: la Sicilia pattumiera d’Europa. Con i danni a carico dei molti ed i vantaggi appannaggio dei soliti, pochi, tristemente noti.
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