E' difficile dire quando e per colpa di chi sia cominciato tutto questo. Forse coi primi corsi di "formazione-lavoro", subito surrettiziamente trasformati in periodi di prova prolungati a costo ridotto; o forse ancora prima, coi contratti stagionali; o ancora col lavoro nero, con le finte collaborazioni occasionali... Risparmiatemi l'elenco. Chiunque di noi abbia o conosca dei ragazzi sa di quante forme di sodomizzazione dei lavoratori il genio italiano, la disattenzione della sinistra e la ferocia della destra siano capaci di consentire.
Un fatto è certo: oggi le persone non vengono più assunte, ma affittate. E la forma più odiosa di "affitto" è il lavoro interinale che, fatta salva l'indubbia eleganza del termine, non è altro che la sublimazione e la legalizzazione del caporalato su base industriale.
E' così che l'Italia, ex orgogliosa "quinta potenza economica" del mondo, oggi si trova a fare i conti con la "scomparsa del lavoro" (vedi Rifkin), con la retrocessione al penultimo posto in Europa in termini di salari e stipendi, con la flessibilità occasionale che rapidamente si è trasformata in precarietà eretta a sistema.
E' così che un uomo di appena 39 anni, lavoratore, sano di fisico e di mente, con moglie, due figli, casetta col mutuo, di fronte all'ennesimo colpo infertogli dal caporalato chiamato "lavoro interinale", scrive un brevissimo, terribile biglietto: "Mi ammazzo perché insieme al lavoro ho perso anche la dignità".
Su questo caso, oggi su Repubblica Maurizio Crosetti ha scritto un magistrale, toccante articolo, di cui riportiamo alcuni passaggi:
"...dicono che Luigi Roca avesse la faccia di chi per anni ha assorbito la tristezza, giorno dopo giorno, fino a disegnarsela sul volto, tra i lineamenti, come una ruga. Dicono anche che due settimane fa quella faccia invece e stranamente sorridesse: "Stavolta ho trovato il lavoro giusto, mi assumeranno, durerà". L'aveva detto al suo amico Vito, vicino di casa e sindacalista. Erano al parco giochi di Rocca Canavese, c'erano anche i bambini. Invece Luigi si è ucciso, perché era tutta un'illusione e la tristezza era ormai dentro la sua storia, non solo sul suo viso."Mi ammazzo perché insieme al lavoro ho perso la dignità" [...] Il suo contratto, interinale, non è stato rinnovato perché la Thyssen adesso ha 150 persone "da collocare", come si dice terribilmente in questi casi. Come se le persone fossero i pezzi di un incastro. Però Luigi era diventato il pezzo stagliato: di troppo, e già troppo vecchio. Trentanove anni, un'età da matusalemme se cerchi il posto fisso. Ma ci aveva creduto. Dopo quattro anni di rimbalzi, un mese, due mesi in fabbrica e poi a casa, era arrivato un impiego giusto, più solido. "Durerà" [...]
Aveva trovato una donna, Barbara, con la quale stava da dodici anni, si erano sposati ed erano nati Niccolò e Davide, 6 e 7 anni. Barbara Agostino, che fa le pulizie in un'azienda di stampaggio e adesso dice tra le lacrime: "Mio marito si è ucciso perché si sentiva umiliato. Chissà cosa deve avere provato, dentro, per decidere di farla finita. Se quell'azienda gli avesse rinnovato il contratto, ora non sarei una vedova con due figli piccoli da allevare".
Quindici anni in fabbrica, poi quattro a spasso, a chiedere e non ottenere mai. La paura di non rientrare più. Ma anche la forza di provarci ogni volta di nuovo, con le sue mani. Quelle che Luigi aveva usato per ristrutturare la porzione di vecchia cascina trasformata nella loro casa, in campagna [...] Aveva fatto il mutuo, per riuscirci, e finalmente era sicuro di poterlo pagare. L'aveva rivelato all'amico sindacalista, quel giorno al parco.
Due settimane fa. La faccia non più triste sarebbe durata solo sette giorni, fino a quando gli hanno detto che non sarebbe stato confermato. Lì è cominciato il crollo, silenzioso ma evidente. Nessun segno che facesse presagire l'epilogo, solo il ritorno della faccia di prima. L'avevano vista tutti. Non era bastato a capire [...] Perché la precarietà del lavoro è un domino che abbatte quasi tutte le tessere che incontra, o almeno le più fragili, quelle meno in equilibrio ai bordi del tavolo. Lì stava Luigi da quattro anni, con i suoi 39 già addosso e la paura di non uscire mai più dal precariato. Per assurdo, la mazzata finale è giunta proprio dall'illusione di esserne fuori. "Era contento, fiducioso" dice Vito Bianchino, il sindacalista Cisl. "Luigi dedicava tutto se stesso alla moglie e ai figli. E un'azienda non può lasciare a casa a cuor leggero certe persone, le caratteristiche del lavoratore contano".
Buona salute, gran voglia di faticare, ottime motivazioni. Questo era il suo profilo. Incoraggiante. Si era tranquillizzato, aveva capito che anche di fronte alle possibili ingiustizie bisogna restare calmi e ragionare, senza reagire sempre d'istinto. Un percorso lungo e duro, che però Luigi aveva conquistato sulla sua pelle, cicatrici e dimissioni comprese. Era stato sul fondo e aveva cominciato a risalire. Fino a quando non l'hanno convocato in un ufficio per dirgli che no, arrivederci e grazie.
Così lui ha scelto l'albero in un bosco vicino a casa, ha preso la corda ma prima la carta e la penna. Tre lettere. Ai genitori ha chiesto perdono. Alla moglie Barbara ha scritto: "In questo tipo di vita serve una forza che io non ho. Non lo dico per giustificarmi, ma perché tutti possiate perdonarmi. Ho valutato le conseguenze del mio gesto ma non ce la faccio, ho perso lavoro e dignità". L'ultima lettera, per i due figli piccoli. "Non mi giudicate e comportatevi bene. Trattate bene la mamma e conservate di me la parte buona che vi ho lasciato". (M.C.)
Se n'è andato così, Luigi Roca: senza gesti eclatanti, senza salire su un cornicione, senza lasciarsi penzolare nel vuoto dalla balconata del Teatro delle Vittorie in favore di telecamere. Se n'è andato scusandosi, senza far rumore, dopo aver scritto tre brevi biglietti densi di "dignità". Di quella dignità che pensava di aver perso, insieme alla speranza di un lavoro.
Di quella dignità che invece hanno perso, senza neanche riuscire ad esserne consapevoli, il ceto imprenditoriale, che questo sistema di caporalato ha fortemente "preteso", ed il ceto politico, di destra ma anche di sinistra, che ha fatto di tutto per aderire a queste pretese; a volte persino con uno zelo ed una voglia di "concedere" superiori a quanto neanche gli imprenditori più beceri avessero osato sperare.
Com'era facile immaginare, la "flessibilità", diventata prima precariato ed infine caporalato, non ha creato un solo posto "vero" di lavoro, ma ha distribuito il lavoro che c'era in forme più arbitrarie, instabili e mal pagate. E' ora di invertire la tendenza, prima che i Luigi Roca diventino legioni.
Tafanus
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