Quattro giorni. Questo è quanto ci resta per scovare, una per una, le poche persone sane di mente che forse ancora si nascondono in qualche recondito anfratto di questo paese. Poi, potrebbe essere l'inizio di un tunnel lungo e buio. Questi sono pazzi. Questi sono "criminali dentro". Questi faranno dell'Italia un paese con le pezze al culo, come l'Italia del '45. Questi sono mafiosi, fascisti dentro. Se torneranno al potere, questo paese non si salverà.
SILVIO BERLUSCONI - Piduista. Un fascicolo giudiziario più alto di quello di Totò Riina. Gli onori della copertina di "Der Spiegel", magazine notoriamente non komunista, che lo definisce "Der Pate", Il Padrino. L'Economist del 2001 che gli dedica una copertina dal titolo "Why Berlusconi is unfit to lead Italy" (Perchè Berlusconi è inadatto a guidare l'Italia), e gli pone, nel servizio, dieci domande, fra le quali una sulla misteriosa origine dei suoi primi capitali (quelli delle 23 holdings lussemburghesi, capitalizzate per miliardi "in contanti", ed amministrate da vecchie casalinghe e barboni quasi centenari). L'Economist non riceve di ritorno risposte, ma querele. Un'altra copertina dell'Economist, nel 2001, dove campeggia un "BASTA!" urlato, ed un sottotitolo che recita: "è giunta l'ora di licenziare Berlusconi".
Questo "bandito" (...in senso metaforico, s'intende...) da tutti i maggiori editorialisti del mondo, ieri è venuto fuori con l'ennesimo attacco ai magistrati, chiedendo "perizie psichiatriche sui pm". Attenzione, sui PM, non sull'intera magistratura. "Il pubblico accusatore - annuncia col tono di chi promette - dovrebbe essere sottoposto periodicamente a esami che ne attestino la sanità mentale". Insomma, secondo il Berlusconi pensiero, nei tribunale dovrebbero girare meno tabulati di intercettazioni e più psicologi.
Scrive Repubblica: "...che negli ultimi giorni si sarebbe alzato il tono della campagna elettorale era un dato atteso e acquisito. Un po' meno atteso era che il Cavaliere e il suo staff tornassero a spingere, a quattro giorni dal voto, su argomenti consumati. Ma a pochi giorni dal voto certi messaggi sono cruciali, per chi se li aspetta e per chi deve ancora decidere come votare. Così, a Savona, città del ponente ligure decisiva per l'assegnazione della Liguria, Berlusconi alza il livello di scontro con la magistratura.
Il leader della Pdl riparte dallo stop alla riforma dell'ordinamento giudiziario firmata dall'allora Guardasigilli Roberto Castelli che prevedeva "test psico-attitudinali" per entrare in magistratura. Polemiche feroci, iter parlamentare complesso e pieno di stop&go. Ma alla fine quel test divenne obbligatorio per legge. Una legge mai applicata in verità, perchè cassata prima ancora di entrare in vigore dalle modifiche messe a punto dal governo Prodi.
Ora Berlusconi rilancia. Non solo test, ma un vero esame medico. E non solo all'inizio, ma periodicamente. Una prospettiva che supera anche l'origine prima della questione: il "Piano di rinascita democratica" di Licio Gelli, il gran maestro della P2 che negli anni settanta aveva chiesto l'introduzione di "esami psico-attitudinali preliminari" per le aspiranti toghe.
Il Guardasigilli in carica, l'ex magistrato e presidente del tribunale di Roma Luigi Scotti accusa Berlusconi di "creare sfiducia" e di "recare un danno al paese". Un altro ex pm come il deputato di An Alfredo Mantovano invita invece a non bocciare la cosa per partito preso: "I piloti e molte altre categorie professionali che hanno la responsabilità della vita delle persone sono sottoposti periodicamente a test di verifica del loro equilibrio fisico e psichico".
Vorrei dire a Mantovano: parli così da parlamentare postfascista, o da ex magistrato? Hai spiegato che "non bisogna bocciare per partito preso" questa splendida idea ai tuoi ex colleghi magistrati che continuano a lavorare e crepare lottando contro la mafia che sembra esservi così "vicina"? Ma vai a cagare!
Continua Repubblica: "...ma la vera perla della giornata è un'altra: "Il fattore Vittorio Mangano (ergastolo per mafia e addetto alle scuderie di casa Berlusconi ndr) è un eroe", parola di Marcello Dell'Utri, senatore uscente, candidato e condannato per tentata estorsione. Che già che c'è se la prende anche con i professionisti dell'antimafia e con i libri di storia, tutti "da rivedere".
Sul sito di Klaus Davi, il senatore dice la sua sulla lotta alla mafia, sull'allarme della politica e sui pentiti. L'antimafia, commenta Dell'Utri condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa e in secondo per tentata estorsione, "è importantissima, ma quando diventa una sorta di brand non è un fatto positivo. Dopotutto, lo aveva già detto Sciascia..." quando inventò la categoria dei professionisti dell'antimafia. L'allarme mafia, aggiunge, "spesso serve ai partiti per coprire la loro mancanza di contenuti". Quanto ai pentiti, poi, Dell'Utri dice di "conoscere quasi tutti i pentiti di mafia, ma oggi faccio fatica a individuarne uno sano, anche se ce ne saranno".
In questo contesto arriva la quasi santificazione di Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore condannato nel 2000 all'ergastolo per associazione mafiosa. "Il fattore Vittorio Mangano, condannato in primo grado all'ergastolo - afferma Dell'Utri - è morto per causa mia. Era malato di cancro quando è entrato in carcere ed è stato ripetutamente invitato a fare dichiarazioni contro di me e il presidente Berlusconi. Se lo avesse fatto, lo avrebbero scarcerato con lauti premi e si sarebbe salvato. A modo suo è un eroe".
Non finisce qui. Noto bibliofilo, collezionista di testi rari nonchè con velleità pedagogiche (Dell'Utri ha ideato una sorta di scuola di politica per i giovani), il senatore aggiunge anche che "se eletto farà di tutto per avviare la revisione dei libri di storia", a cominciare dal periodo della Resistenza.
Appena le agenzie rilanciano il Dell'Utri-pensiero, scattano le reazioni del Pd e della Sinistra, raramente concordi in questa campagna elettorale. Anna Finocchiaro e Rosi Bindi attaccano il senatore che "denigra la resistenza e difende la memoria dei mafiosi". Il verde Angelo Bonelli bolla quelle di Dell'Utri come parole "allucinanti", "fuori dal contesto democratico" e "in contrasto con la Costituzione". Di Pietro ragiona da ex pm e dice: "Quel riconoscimento post mortem nasconde qualcosa d'altro". Un messaggio? Francesco Forgione, presidente della Commissione Antimafia, candidato in Calabria per la Sinistra e chiamato direttamente in causa da Dell'Utri, replica: "Per noi gli eroi possono essere solo le vittime della mafia".
2 GENNAIO 1996: la Procura di Palermo apre un'inchiesta su Marcello Dell'Utri, in seguito alle dichiarazioni del pentito Tullio Cannella. Da un costruttore legato alla mafia, il pentito aveva dedotto che i fratelli Graviano, capimafia di Brancaccio, avevano rapporti con il manager Fininvest.
Nell'ambito del processo «Orsa Maggiore» che si svolge a Catania, il pentito catanese Maurizio Avola dichiara di aver saputo dal mafioso Salvatore Tuccio che Dell'Utri incontrò il boss Aldo Ercolano, del clan Santapaola, per chiederne la protezione in cambio di una quota della Standa.
20 GIUGNO 1996: Dell'Utri è invitato a comparire in Procura per rispondere di concorso esterno in associazione mafiosa. Diversi pentiti, tra cui Calogero Ganci, lo accusano di avere avuto rapporti con mafiosi, tra i quali Vittorio Mangano, proposto da Dell'Utri nel 1974 come stalliere nella villa di Berlusconi ad Arcore, e poi assunto.
La Procura di Palermo interroga per 11 ore Marcello Dell'Utri, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. I pm gli contestano una dichiarazione del pentito Antonino Calderone, secondo cui nel 1976 avrebbe messo a disposizione una casa a Milano per un incontro cui mafiosi.
LUGLIO 1996: nuovo interrogatorio di 10 ore per Dell'Utri. Nega che la Fininvest abbia pagato mafiosi e di aver conosciuto Stefano Bontate e gli altri mafiosi di cui parla Calderone, mentre ammette di conoscere Gaetano Cinà, coimputato nel processo, da una vita. Secondo i pentiti Salvatore Cancemi e Calogero Ganci, Dell'Utri avrebbe versato annualmente 200 milioni di lire a Cosa Nostra.
AGOSTO 1996: rese note le dichiarazioni di Filippo Alberto Rapisarda e di altri pentiti su un progetto di rapimento, a metà degli anni '70, del figlio di Silvio Berlusconi, Piersilvio, da parte di alcuni mafiosi catanesi. Il sequestro non si realizzò perchè Pippo Bono e Gaetano Fidanzati avrebbero detto che Berlusconi era una persona intoccabile. Rapisarda ha dichiarato che ci fu la mediazione di Marcello Dell'Utri.
SETTEMBRE 1996: chiesto dalla Procura di Palermo il rinvio a giudizio di Gaetano Cinà per concorso in associazione mafiosa. È indagato nell'ambito dell'inchiesta su Dell'Utri: sarebbe stato l'esattore delle somme estorte alla Fininvest.
OTTOBRE 1996: richiesto dalla Procura di Palermo il rinvio a giudizio per Marcello Dell'Utri, per concorso in associazione mafiosa. Acquisite anche le dichiarazioni del pentito Gioacchino Pennino secondo cui i miliardi di Cosa nostra sarebbero stati riciclati anche da Dell'Utri.
FEBBRAIO 1997: acquisite dalla Procura di Palermo nuove accuse contro Dell'Utri, rinviato a giudizio per concorso in associazione mafiosa. In un libro mastro trovato in casa di Salvatore Biondino ci sarebbe l'indicazione «Can. 5» e di una somma di denaro: per il pentito Giovan Battista Ferrante si tratterebbe di soldi pagati da Fininvest. I pentiti Francesco Di Carlo e Salvatore Cocuzza hanno parlato di nuovi contatti tra Dell'Utri e Cosa nostra, mentre Francesco Onorato ha riferito di una valigia piena di soldi spedita negli anni '80 a Milano.
AGOSTO 1997: al processo per associazione mafiosa contro Vittorio Mangano, il collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo dichiara di aver conosciuto Silvio Berlusconi nel 1974, quando fu ricevuto assieme a Stefano Bontate e Mimmo Teresi nello studio di Marcello Dell'Utri, e che fin dal 1979 la Fininvest avrebbe pagato mensilmente una tangente a Cosa Nostra.
SETTEMBRE 1997: Calogero Ganci e Francesco Paolo Anzelmo, al processo contro Vittorio Mangano, confermano gli incontri di Dell'Utri con mafiosi, cui avrebbe chiesto aiuto per fronteggiare le richieste della famiglia di Santa Maria di Gesù. Depositati agli atti dei processi contro Giulio Andreotti e Dell'Utri i verbali delle deposizioni di Angelo Siino sui rapporti di mafiosi con Dell'Utri, sulle tangenti pagate per i ripetitori e per la Standa.
NOVEMBRE 1997: inizia a davanti alla seconda sezione penale del Tribunale di Palermo, presieduta da Leonardo Guarnotta, il processo a carico di Marcello Dell'Utri, imputato di concorso esterni in associazione mafiosa, e di Gaetano Cinà, accusato di aver fatto da tramite tra Dell'Utri e gli ambienti di Cosa Nostra. Il Comune e la Provincia si costituiscono parte civile.
GIUGNO 1998: i collaboratori di giustizia Tony Calvaruso e Salvatore Ciulla dicono di non avere mai saputo nulla di rapporti tra l'ex manager Fininvest e uomini di Cosa Nostra. Calvaruso però afferma che Leoluca Bagarella, non ritenendo possibile fondare il movimento politico «Sicilia Libera», indicò di votare Forza Italia.
SETTEMBRE 1998: Rapisarda dichiara che la Fininvest ebbe circa 30 miliardi di lire da Stefano Bontade e Mimmo Teresi, tramite Dell'Utri.
OTTOBRE 1998: Rapisarda afferma che Dell'Utri conosceva l'esattore Nino Salvo da cui avrebbe ricevuto 5 miliardi di lire.
FEBBRAIO 1999: Tommaso Buscetta in videoconferenza dichiara di non avere conosciuto l'imputato e Silvio Berlusconi, e di conoscere invece Vittorio Mangano, ma di non avere mai saputo che avesse lavorato per Berlusconi, nè delle attività di Bontate.
MARZO 1999: inviata dal gip di Palermo alla Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera la richiesta di arresto per Dell'Utri, accusato di avere tentato di inquinare le prove del processo con l'aiuto dei collaboratori di giustizia Giuseppe Chiofalo, di Messina, e Cosimo Cirfeta, pugliese. I due avrebbero dovuto cercare di convincere altri pentiti a smentire quelli che accusavano l'esponente di Forza Italia.
APRILE 1999: inviati alla Camera nuovi atti a supporto della richiesta di arresto per Dell'Utri. Sono fotografie in cui lo si vede entrare con una valigetta nella casa del collaboratore di giustizia Giuseppe Chiofalo, dove è stata poi trovata la somma di 80 milioni: secondo i Pm il compenso per i tentativi di screditare i collaboratori accusatori del deputato. Respinta dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere la richiesta di arresto per Marcello Dell'Utri.
Inviato alla Camera dalla Procura di Palermo il verbale di un nuovo interrogatorio del collaboratore Giuseppe Chiofalo che nega di avere ricevuto denaro dal politico, ma ammette di averlo incontrato e di avere ricevuto promesse di aiuto nel caso avesse confermato le dichiarazioni favorevoli del collaboratore Cosimo Cirfeta.
Negata dalla Camera dei deputati l'autorizzazione all'arresto di Marcello Dell'Utri.
GENNAIO 2003: il collaboratore di giustizia Nino Giuffrè (sentito come teste) dichiara di aver saputo da Michele Greco che il capomafia Stefano Bontade, con la scusa di andare a trovare Vittorio Mangano, allora stalliere ad Arcore, incontrava Berlusconi. Giuffrè afferma anche che dopo l'assassinio di Salvo Lima, Cosa nostra ritenne che Forza Italia desse più garanzie.
GIUGNO 2004: dopo 18 udienze di requisitoria i pm chiedono la condanna ad 11 anni per Dell'Utri; 9 anni invece per Gaetano Cinà, ritenuto il tramite fra lui e Cosa nostra. Al via l'arriga del collegio difensivo.
NOVEMBRE 2004: dopo 25 udienze i legali di Marcello Dell'Utri concludono chiedendone l'assoluzione con formula piena. Gli avvocati che rappresentano il Comune e la Provincia di Palermo, parte civile nel processo, chiedono un risarcimento di 5 milioni di euro. E' è il giorno dell'ultima udienza prima della camera di consiglio, e delle dichiarazioni spontanee dell'imputato Dell'Utri. Parla davanti ai giudici per 90 minuti, rivendica la sua innocenza, dice di aver considerato il processo come «una malattia» da cui curarsi e guarire, e conclude: «Credo che sarò assolto perchè non vedo elementi per una condanna». Poi il Tribunale di Palermo, presieduto da Leonardo Guarnotta, si ritira in camera di consiglio nell'aula bunker del carcere di Pagliarelli.
DICEMBRE 2004: La sentenza emessa dal Tribunale di Palermo, presieduto da Leonardo Guarnotta (giudici a latere Gabriella Di Marco e Giuseppe Sgadari) dichiara "Dell'Utri Marcello e Cinà Gaetano colpevoli dei reati loro rispettivamente contestati e ritenuta la continuazione tra gli stessi, condanna Dell'Utri Marcello alla pena di anni 9 di reclusione e Cinà Gaetano alla pena di anni 7 di reclusione". "Entrambi gli imputati sono interdetti in perpetuo dai pubblici uffici, nonché in stato di interdizione legale durante l'esecuzione della pena". E quando la sentenza sarà espiata, Dell'Utri e Cinà saranno sottoposti alla "misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata di anni due". E' il provvedimento che i giudici applicano ai condannati per mafia che risultano particolarmente pericolosi.
Vittorio Mangano (1940 – 2000) è un criminale italiano legato a Cosa Nostra, conosciuto come lo stalliere di Arcore. Fu indicato al maxiprocesso di Palermo, sia da Tommaso Buscetta che da Totò Contorno, come uomo d'onore appartenente a Cosa Nostra, della famiglia di Pippo Calò, il capo della famiglia di Porta Nuova (della quale aveva fatto parte lo stesso Buscetta).
Fu stalliere (con funzioni di amministratore) nella villa di Arcore di Silvio Berlusconi, nella quale visse tra il 1973 e il 1975. Era stato proposto per quell'incarico da Marcello Dell'Utri. Il 28 novembre 1986 un attentato dinamitardo alla villa milanese creò danni alla cancellata esterna e Berlusconi parlando al telefono con dell'Utri accusò Mangano.
Il nome di Mangano viene citato dal Procuratore della Repubblica Paolo Borsellino in una intervista rilasciata il 19 maggio 1992 riguardante i rapporti tra mafia, affari e politica, due mesi prima di essere ucciso nell'attentato di via d'Amelio. Borsellino affermò nell'intervista che Mangano era "uno di quei personaggi che ecco erano i ponti, le teste di ponte dell'organizzazione mafiosa nel Nord Italia".
Il 19 luglio 2000 Mangano fu condannato all'ergastolo per il duplice omicidio di Giuseppe Pecoraro e Giovambattista Romano, quest'ultimo vittima della "lupara bianca" nel gennaio del 1995. Di questo secondo omicidio Mangano sarebbe stato l'esecutore materiale. Verrà inoltre sospettato di aver rapito il principe Luigi D'Angerio dopo una cena alla villa di Silvio Berlusconi, il 7 dicembre 1974.
Mangano, malato di tumore, morì pochi giorni dopo la sentenza, il 23 luglio 2000, in carcere, dov'era già da cinque anni per reati per cui era stato precedentemente condannato (traffico di stupefacenti, estorsione).
Ora, per il suo datore di lavoro Dell'Utri, Mangano viene proposto per la nomination ad eroe. D'altronde, anche se Dell'Utri era già uno "stimato manager" ed un "raffinato bibliofilo", lui con lo stalliere si dava familiarmente del tu, e conversava amabilmente a telefono anche anni ed anni dopo la cacciata da Arcore, quando già la naturale criminale di Mangano era nota a cani e porci.
E ora, come se non bastassero i regali che ieri il nano e i suoi soci ci hanno fatto, arriva l'ultimo (ma sarà davvero l'ultimo?) regalo da Casa Nostra:
Mafia, indagato De Gregorio - Il senatore accusato in Calabria per associazione finalizzata a riciclaggio
(Guido Ruotolo - La Stampa)
Associazione mafiosa finalizzata al riciclaggio. Il senatore Sergio De Gregorio, leader di Italiani nel Mondo, presidente della commissione Difesa del Senato, è iscritto sul registro degli indagati della Procura di Reggio. Ipotesi di reato pesantissima per il candidato, in un collegio senatoriale della Campania, del Popolo della Libertà. Ci sarebbero diversi indizi, video e intercettazioni ambientali che documenterebbero le relazioni pericolose del senatore.
Campagna elettorale per le elezioni amministrative di Reggio città, aprile del 2007. Italiani nel Mondo ha una sua lista, collegata al cartello che sostiene la candidatura a sindaco di Giuseppe Scopelliti (An, Casa delle libertà), che otterrà poi un discreto risultato: Sergio De Gregorio è in città. Una sera viene portato a cena in collina, al ristorante «La Quercia», località Trunca, dal capogruppo alla Regione di An, Alberto Sarra, anche lui indagato per mafia. Alla tavolata sono presenti componenti della famiglia Ficara, alleata dei Latella, che controlla la zona Sud della città, Ravagnese. In quel ristorante, però, ci sono gli investigatori dei carabinieri, seduti a una tavolata accanto, che registrano e riprendono la cena.
La Procura di Reggio aveva avviato un’attività preventiva di monitoraggio sulla campagna elettorale, sui rapporti tra mafia e politica. Quella sera a tavola - di cena ve ne sarà anche un’altra - si parla di affari, di aspettative, di possibili favori per gli uomini della ’ndrangheta reggina, di prospettive elettorali. E De Gregorio annuisce, si dichiara disponibile ad assecondare le richieste dei «clientes». Chissà se il senatore ha ben presente chi sono i suoi interlocutori.
La ’ndrangheta reggina vuole investire i suoi capitali in attività immobiliari. Nel centro città, in piazza Sant’Agostino, c’è una caserma dismessa dell’Esercito, caserma «Mezzacapo», che gli speculatori dell’«onorata società» sono interessati ad acquistare. All’allora presidente della commissione Difesa del Senato viene chiesto di agevolare l’operazione. Gli investigatori avrebbero anche documentato le varie «missioni» alla segreteria di De Gregorio a Roma degli emissari della ’ndrangheta, colletti «bianchi» al servizio dei Ficara-Latella. In questa inchiesta è indagato anche il consigliere regionale di An Alberto Sarra, già finito nei guai per i suoi rapporti con la ’ndrangheta.
Ora tocca a noi. 72 ore, e dopo questi pezzi di merda sgoverneranno l'Italia. Facciamo il possibile per impedirlo. Facciamo circolare. Continuiamo fino all'ultimo istante la nostra campagna sugli impresentabili. Tentiamo di convincere i nostri indecisi a votare. Spieghiamo come non sbagliare a mettere la croce sulla scheda. Ritroviamo l'orgoglio smarrito. Lo dobbiamo a noi stessi, lo dobbiamo ai nostri figli.
RESISTERE, RESISTERE, RESISTERE!
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P.S.: Ricevo e pubblico questo ultimo appello da Paolo Farinella:
Elezioni politiche 2008: nota a margine
di Paolo Farinella, prete - Genova
Care Amiche e Cari Amici,
un par di giorni ancora e sapremo il nostro destino: se essere una Repubblica costituzionale o una mafia istituzionalizzata. In questi ultimi giorni di degenerazione elettorale il futuro è più chiaro. In sintesi:
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1) Veltroni non mi entusiasma affatto e se fossimo in una democrazia normale, darei il mio voto come testimonianza ad un partito minore, pur sapendo che non andrà mai al governo. Ora però non si può fare perché siamo in emergenza. A malincuore voto Veltroni alla Camera e al Senato. E’ l’ultima volta che voto «per disperazione». Alle prossime elezioni, se ve ne saranno ancora (dubito, se vincerà Berlusconi), voterò solo secondo coscienza.
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2) Berlusconi & C. Se per disgrazia dovesse vincere, avremo questo scenario: 5 anni di «sgoverno»:
a) Tremonti sarà il fantasioso ministro dell'economia, quello che ha raschiato il fondo del barile.
b) Berlusconi smantellerà tutta la Costituzione, compresa la parte I (diritti e doveri) e sarà la devastazione morale e sociale della Nazione.
c) Alla scadenza del mandato di Napolitano, l’uomo di Arcore si farà eleggere presidente della Repubblica e anche capo del governo. Per i prossimi 12 anni l’Italia avrà Berlusconi al governo e Berlusconi Capo dello Stato. Questa è la stragegia che è sottintesa a questa campagna elettorale. Non volevamo morire democristiani, dovremo rassegnarci ad essere seppelliti berlusconiani?
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3) Chi volesse votare Berlusconi & C. dovrebbe ricordare questi semplici fatti:
a) Berlusconi ha una grande considerazione delle donne: nel suo finto partito, ma sicuro pied-à-terre, le donne possono stare solo in posizione orizzontale o tutt’al più in piedi, ma solo per fare torte ai maschi che si sacrificano per il bene dell’Italia. Nel casino delle libertà, della donna si dice quello che Pio X (santo) diceva nel secolo scorso: «La donna? che la tasa, che la staga in casa e che piasa».
b) Se vince Berlusconi distruggerà quel residuo di giustizia che è rimasto: chiede l’esame psicologico per i magistrati, mentre è lui ad avere bisogno del test neuropsichiatrico.
c) Accusa Di Pietro di essere giustizialista, ma nessuno gli ricorda che nel 1994 fu lui a chiedere a Di Pietro di fare il ministro della giustizia nel suo governo. Possibile che gli Italiani dimentichino così presto la verità dei fatti?
c) Se vince Berlusconi, l’Italia torna in guerra in Iraq: lo ha promesso al suo amico Bush.
d) Se vince Berlusconi, andranno in Parlamento 24 inquisiti o condannati, cioè delinquenti dichiarati o candidati ad esserlo. Questa gente farà le leggi e sarà garante di legalità (?????).
e) Se vince Berlusconi, abbasserà le tasse ai super-ricchi a spese dei poveri: lo ha già promesso.
f) Se vince Berlusconi, facilmente avremo un Stato clericale perché il suo duplice interesse è sistemare i suoi affari ancora in sospeso (per es. tv) e insediarsi al Quirinale. Per questo avrà bisogno del sostegno di là e di qua del Tevere.
g) Se vince Berlusconi, potremmo dire addio alla lotta all’evasione fiscale perché chi ruba alla collettività è definito da lui “furbo”.
h) Marcello Dell’Utri, suo fraterno compagno di mafia, condannato in 3° grado per associazione mafiosa e per questo sicuro senatore, dichiara: 1) che il mafioso stalliere-controllore di Berlusconi, Vittorio Mangano, è un eroe; che una volta al potere rivedranno la Resistenza, cioè l’aboliranno per legge.
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4) Mai come in questa occasione, ognuno di noi è chiamato a difendere lo Stato di diritto, la Carta costituzionale, salvata da un referendum popolare e ora di nuovo in pericolo mortale.
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5) Proprio perché siamo prigionieri di una legge elettorale voluta da Berlusconi, votarlo significa premiarlo e dargli carta bianca perché l’uomo è senza scrupoli, senza etica, senza dignità politica, senza senso dello Stato.
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6) Votare Berlusconi significa abdicare alla propria dignità di cittadino e di persona perbene.
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