Le elezioni del ’94 non le ha perse solo Occhetto. Le abbiamo perse tutti. Io sono fra coloro che ha sottovalutato ed irriso il “partito di plastica”. Nel mio piccolo, sono colpevole anch’io. Altri sono colpevoli per aver consentito, in totale dispregio delle leggi vigenti, che un tipo che aveva delle concessioni da parte dello stato, concorresse alle elezioni. Sembrava poco raffinato, provare a fermarlo ope legis. Non lo era. Se non può per legge concorrere a cariche pubbliche il concessionario di 100 metri lineari di spiaggia, mestiere bagnino, tanto meno può farlo il concessionario di metà dell’etere.
A sconfitta incassata, molti sociologi e sedicenti mass-mediologi, anche a sinistra, si sono affrettati a spiegarci che non avevamo perso per le TV del cavaliere. Ci vuole ben altro. Ancora una volta il maledetto benaltrismo della sinistra. Che non impara mai. Ci sono voluti mesi di discussione e studiosi stranieri, per dire chiaramente che tre TV avevano spostato 4 milioni di voti. Nelle successive elezioni, quanti voti hanno spostato 5 televisioni? Sembra quasi che a mettere le cose giù così, ci sia il rischio di essere accusati di provincialismo politico. Davvero??? Leggete le ultimissime statistiche ISTAT (le trovate anche nel gruppo “FILES”, nella colonna laterale del Tafanus): metà degli italiani ha la terza media inferiore, o meno. Il 95% degli italiani si “forma” sulle TV (attenzione! I numeri dicono che si formano su Buona Domenica e Amici, mica su “La Storia siamo noi”!). Per alcuni parlamentari il Darfur è “uno stile di vita”, e per un membro (anzi, una “membra”) della Commissione Finanze della passata legislatura, la Consob era un oggetto misterioso. Per non parlare di Romolo e Remolo e dei fratelli Cervi, altrimenti scadiamo nel folklore.
Un’altra costante della “stupidità di sinistra” è la nostra congenita incapacità di stare insieme. Eppure mille esempi avrebbero dovuto convincerci che la sinistra unita vince, separata perde. Noi siamo vittime colpevoli, in termini di scissioni a sinistra, della nostra irrefrenabile coazione a ripeterci. Facciamo un inciso. Fare un riepilogo, neanche tanto completo, della storia delle “scissioni” a sinistra, è cosa che fa venire i brividi:
1921 - Dal PSI al PCI. Dalla più famosa scissione della sinistra italiana, quella di Livorno, nasce il partito comunista. E' il 21 gennaio, e nel congresso del partito socialista i "58.000 di Livorno" si contrappongono ai dirigenti riformisti con la prospettiva della conquista rivoluzionaria del potere.
1947 - Scissione di Palazzo Barberini: Giuseppe Saragat esce dal partito socialista in clamoroso dissenso con la politica di Pietro Nenni e del gruppo dirigente accusata di "frontismo" e "filocomunismo". Al congresso, l'11 gennaio, Saragat accusa il gruppo dirigente di aver adottato "metodi antidemocratici" e "metodi totalitari". Invano Sandro Pertini cerca di scongiurare la scissione. Furono 28 i deputati che seguirono Saragat.
1964 - Dal Psi allo Psiup. La sinistra del Psi, guidata da Basso e Vecchietti, esce dal partito e dà vita al Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria. Poi, nel luglio del 1972 il Psiup si autosciolse decidendo la confluenza nel Pci, tranne un'ala, guidata da Vittorio Foa, che costituì il Pdup, Partito Democratico di Unità Proletaria, che poi a sua volta si fonderà con il gruppo del Manifesto.
1969 - Dal Psi al Psdi. Con la scissione socialdemocratica, che rappresenta la seconda divisione tra socialisti e socialdemocratici dopo il fallimento dell'operazione che aveva portato al Partito Socialista Unificato (Psu), nasce il Psdi. I socialdemocratici erano guidati da Mario Tanassi, Mauro Ferri e Luigi Preti.
1991 - Dal Pci al Pds a PRC. A Rimini, dalle ceneri del Pci, nasce il Pds. Un'operazione iniziata da Occhetto con il congresso della Bolognina e portata a termine dal segretario con il XX Congresso. La svolta è contestata da Cossutta, Salvato, Libertini, Serri e Garavini che fondano il Movimento per la Rifondazione Comunista (che poi diverrà il Partito della Rifondazione Comunista).
1995 - Da Rifondazione al Movimento dei Comunisti Unitari (MCU). Sulla fiducia al governo tecnico guidato da Dini Rifondazione Comunista conferma una linea di voto contraria e i gruppi parlamentari si spaccano: 14 deputati, tra i quali Crucianelli, Garavini e Bolognesi, votano la fiducia e danno vita a una nuova formazione, quella dei Comunisti Unitari. E' la prima scissione all'interno di Rifondazione.
1998 – I Comunisti Unitari fondano, insieme a PDS, Cristiano-Sociali, Riformatori per l’Europa, Sinistra Repubblicana, Federazione Laburista e Agire sociale (?), i Democratici di Sinistra (DS)
1998: Da PRC si scinde il gruppo Cossutta, Diliberto ed altri, contrario al voto di sfiducia contro Prodi, per dar vita a PdCI.
2008: facciamo di tutto. Nasce il PD; spariscono RC, Verdi, PdCI, la appena nata SD, e si fondono nella neonata minicoalizione SA. E siamo a quattro. A sinistra della SA nascono ben cinque partitini. E siamo a nove.
Quanto succede in casa degli orfani di Bettino, fra SDI, SI, PSI e quant’altro, vi prego di risparmiarmelo. Ormai siamo alla farsa delle “scissioni familiari (Stefania a destra, Bobo a sinistra); De Michelis che si sposta da destra a sinistra sbagliando i tempi, Boselli che sembra animato da improvvisi ritorni di livore solo contro gli ex-post PC-PDS-DS-SA; l’Italia che diventa l’unico paese del sistema solare dove esistono partiti sedicenti socialisti e socialdemocratici schierati coi post- fascisti e coi razzisti.
Quanto succede nel nome delle coalizioni è, se possibile, ancora più esilarante: L’ulivo, Perlulivo, Democratici per l’Ulivo, l'Unione… mancano solo Bertolli e l’olio Dante. I partiti e le coalizioni: con l’eccezione dell’Asinello di Prodi, che sceglie la zoologia, gli altri formano un vero e proprio orto botanico, fra ulivi, querce, margherite, rosenelpugno. Nella satira impazzano banane e fichidindia.
C’è una malefica costante in questo tourbillon di nomi, di marchi, di sigle: o si fa come dico io, oppure me ne vado e formo il mio partitino, la mia coalizioncina, la mia correntina… Mai, neanche per sbaglio, che a sinistra siamo riusciti a far passare il principio che nelle coalizioni complesse si sta grazie all’adozione di un processo decisionale maggioritario, e che anche all’interno di una coalizione è non solo possibile, ma addirittura necessario, che alcune decisioni vengano prese a maggioranza, secondo un processo decisionale predeterminato; e che una volta presa una decisione, questa debba diventare vincolante per tutti i membri della coalizione. I cespugli non rinunciano al proprio simbolino, al proprio direttivo, al proprio gruppo, a dire la propria in dissenso dalla coalizione… La malefica ricerca di visibilità. Non siamo mai stati sfiorati dall’idea di far parlare solo il leader pro-tempore della coalizione, o un portavoce unico… scherziamo??? E la visibilità?
A sinistra, sulla base di una enorme dose di presunzione, non abbiamo mai sentito il bisogno di dotarci di un esperto vero (e non inventato) di comunicazione. Sarebbe bastato un Marketing Trainee con sei mesi di esperienza per spiegare che nessun prodotto al mondo si sognerebbe di cambiare il marchio (il nome, o la grafica, o entrambi) ogni 5 minuti. Il marchio è un patrimonio da coccolare, curare, conservare. Ci sono cambiamenti ineluttabili (l’abbandono del PCI), altri che sembrano privi di qualsiasi utilità, ma sono certamente dannosi, nel senso di impedire qualsivoglia capacità di penetrazione del “marchio”, di accumulo del ricordo, di costruzione dell'immagine. Se passare dal PCI al PDS può avere un senso storico, quale mai significato possono avere transizioni da PDS a DS? Ci si vergogna dell’accezione “Partito”? e la transizione da DS a PD? Ci si vergogna del proprio “essere di sinistra”? Oppure si subisce il ricatto dei margheriti, ai quali proprio l’accezione “sinistra” procura l’orticaria? E la logica di L’ulivo > Perlulivo > Democratici Per L’Ulivo > l'Unione, qualcuno riesce a spiegarmela in poche semplici parole? Capisco le ragioni tattiche e contingenti. Ma quelle strategiche?
(Continua)
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