Scusate per il ritardo. Ho molto esitato, a mettere mano a questo tentativo di analisi della sconfitta, per una serie di motivi. Il primo è che so che sarà un lavoro fisicamente faticoso, perché credo che dobbiamo partire da lontano, e scavare molto in fondo. Il secondo è che so che troverò consensi e dissensi, e che si aprirà un dibattito che lascerà qualche ferita. Il terzo, infine, è che so che questa analisi ha una forte carica di masochismo, e quindi me la sarei evitata volentieri. Sarà come girare il coltello in una piaga. Non ho alternative: è qualcosa che devo a me stesso, prima che agli amici del blog, dai quali mi aspetto critiche, comprensione, ma anche contributi costruttivi.
…"Compagni, lavorate tutti, casa per casa, strada per strada, azienda per azienda"… Era il 7 giugno 1984. Enrico Berlinguer, a Padova, in Piazza della Frutta, stava concludendo, senza saperlo, il suo ultimo comizio. Sono state le sue ultime parole dettate dal cuore e dalla testa. Poi, improvviso, quel maledetto ictus… Berlinguer che impallidisce, ma non si ferma; va avanti, coi compagni che si accorgono che qualcosa di grave sta accadendo. I compagni che lo portano di peso in albergo: fanno appena in tempo ad adagiarlo sul letto, che entra subito in coma. Non si sveglierà mai più. Morirà, senza aver ripreso conoscenza, alle 12,46 dell’11 giugno 1984.
…"Compagni, lavorate tutti, casa per casa, strada per strada, azienda per azienda"… Queste parole, dette 24 anni fa in un contesto drammatico, sembrano dette OGGI, sembrano dette A NOI, nel momento in cui qualcuno di noi ha la tentazione di mollare, altri resistono, ma interrogandosi sulla utilità degli sforzi compiuti, e di quelli da compiere. No, non mollerò: per amore e rispetto verso Enrico, il mio secondo padre; e per amore e rispetto nei confronti delle generazioni future, alle quali non abbiamo il diritto di lasciare un paese in mano a Berlusconi, Scajola, Gasparri e Bossi.
«Noi siamo convinti che il mondo, anche questo terribile, intricato mondo di oggi può essere conosciuto, interpretato, trasformato, e messo al servizio dell'uomo, del suo benessere, della sua felicità. La lotta per questo obiettivo è una prova che può riempire degnamente una vita.»
(Enrico Berlinguer)
Chi era Berlinguer? La sua biografia, che in molti conoscono meglio di me, non devo raccontarla per esteso: è in mille siti, e parecchi “compagni” la conoscono e la ricordano meglio di me. Slolo alcuni punti salienti, con la speranza di stimolare i più giovani ad approfondire la conoscenza. Giancarlo Paletta, per dire quanto precocemente, o con quale autorevolezza, Berlinguer fosse entrato nell’agone politico, scolpiva: “Berlinguer si iscrisse giovanissimo alla Direzione del PCI”.
E’ una bella battuta, ma solo una battuta. Berlinguer, di fatto, entra in Parlamento nel ’68, a 44 anni: giovane per i parametri della politica italiana, ma aveva già i pantaloni lunghi. E’ vero invece che entra giovanissimo nell’impegno civile e politico. Nel ’37, giovanissimo anarchico, partecipa al movimento antifascista sardo; nel ’43, a 21 anni, si iscrive al PCI, e partecipa quindi alla lotta partigiana con la “Brigata Garibaldi”. Dopo l’armistizio Togliatti, che conosceva il padre di Enrico, e che per il giovane Enrico nutriva grandissima stima e fiducia, lo coopta nella direzione del PCI, e lo manda in Sardegna per riorganizzare il partito.
«Se i giovani si organizzano, si impadroniscono di ogni ramo del sapere e lottano con i lavoratori e gli oppressi, non c'è scampo per un vecchio ordine fondato sul privilegio e sull'ingiustizia.»
(Enrico Berlinguer)
E’ appena il caso di ricordare agli immemori che noi “comunisti” abbiamo rotto con Mosca ben prima di quanto i fascisti non abbiamo rotto, con il lavaggio nelle acque di Fiuggi, con l’ometto di Predappio. Correva l’anno 1969: è Enrico Berlinguer che va a Mosca, in rappresentanza del PCI, alla Conferenza Internazionale dei Partiti Comunisti. In disaccordo con la linea sovietica, si rifiuta di firmare la relazione finale. Pronuncia un memorabile discorso, che mai si era sentito, a Mosca. Rinfaccia ad uno sbalordito Leonid Brežnev la tragedia di Praga; sottolinea con forza tutto il suo dissenso con la linea sovietica su temi quali la sovranità nazionale, e la libertà culturale.
Il 1976 è l’anno dello “strappo”: in un famoso congresso del PCUS, a Mosca, Berlinguer parla chiaramente, contro le posizioni ufficiali, di “sistema pluralistico”, e della intenzione di costruire “un socialismo che riteniamo necessario e possibile solo in Italia”. Per chi ancora non avesse capito, Berlinguer condanna, in nome del PCI, “ogni forma di interferenza” dell’URSS sia nei confronti dell’Italia che verso altri paesi. Subito dopo, in un’intervista rilasciata a Gianpaolo Pansa, afferma di sentirsi più tranquillo sotto l’ombrello della NATO.
Nel ’76, alle elezioni politiche, il PCI, senza alleanze col PSIUP, ottiene, da solo, il 34,4% dei voti, ad una incollatura dalla DC. Molti incominciarono perciò a rispettivamente sperare e temere un possibile "sorpasso". I comunisti, consci delle difficoltà dell'impresa, cominciavano comunque a lavorarci su. Dalla loro parte iniziavano a ricevere i positivi risultati della gestione di alcuni importanti enti locali (regioni, province e comuni) nei quali le giunte comuniste, che ambivano all'impeccabilità, davano comunque ottimi risultati: nelle cosiddette "regioni rosse" (Emilia-Romagna e Toscana in testa) i servizi funzionavano, le cooperative davano lavoro e producevano utili, mentre l'impresa privata (soprattutto le piccole e medie imprese, anche artigianali) prosperava dopo gli affanni della crisi del 1974.
Sull’onda dei successi nell’amministrazione di regioni e comuni, dell’efficienza del sistema cooperativistico, dei ripetuti strappi da Mosca, il PCI punta sulla “questione morale” come fulcro delle successive campagne elettorali:
«La questione morale esiste da tempo, ma ormai essa è diventata la questione politica prima ed essenziale perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico.
(Enrico Berlinguer)
Sono parole di una tale attualità, che nessuno si meraviglierebbe se fossero state pronunciate ieri. Il processo di avvicinamento fra il PCI di Berlinguer, ormai definitivamente affrancato da Mosca, e la DC di sinistra, procede lento, ma costante. A fermarlo, ci penserà qualcuno, nel ’78, col massacro di via Fani, e la successiva uccisione di Aldo Moro. Il sogno di Berlinguer, di arrivare all’unione del partito dei lavoratori con quella parte del partito dei cattolici che “guardava a sinistra” finiva li, ma nessuno ci era mai andato tanto vicino come Ernrico Berlinguer.
Forse per questo, nel giugno 1984, ad accompagnare Enrico nell’ultimo viaggio, c’erano milioni di persone in lacrime. Solo per i funerali di Giovanni Paolo II si era vista tanta gente muoversi per un uomo solo. Il Presidente della Repubblica Pertini arrivò subito a Padova per recarsi da Berlinguer. Fece in tempo ad entrare in stanza per vederlo e baciarlo sulla fronte. Poche ore dopo il decesso, si impose per trasportare la salma sull'aereo presidenziale, citando la frase: “lo porto via come un amico fraterno, come un figlio, come un compagno di lotta”.
Il giorno delle elezioni europee, il 17 giugno 1984 il PCI, nonostante la scomparsa di Berlinguer, decise di lasciare il suo segretario capolista e chiese di votarlo in modo plebiscitario. Le elezioni, forse anche per gli eventi precedenti, decretarono la vittoria del PCI che, per la prima ed unica volta nella storia, sorpassò seppur di poco la DC, affermandosi come primo partito italiano.
Ecco, ho voluto iniziare questa, che si preannuncia come una lunga analisi, con un ricordo, confuso e commosso, rivolto a quell’uomo che ha fatto di me, borghese piccolo piccolo, che alle sue prime elezioni aveva votato nientemeno che per i Liberali di Malagodi, e che alle successive credeva di aver compiuto un enorme salto a sinistra, verso l’edera di Ugo La Malfa, un “comunista”, che da un quarto di secolo mette la sua croce sulla cosa che di più gli sembra possa richiamare il ricordo di Enrico Berlinguer.
Nella prossima puntata ripartiremo da qui: dal tentativo di capire con quali strumenti Berlinguer fosse riuscito ad avvicinare proletariato e classi colte; a creare una classe di cittadini “orgogliosi di essere onesti”. E, soprattutto, vorremo capire se è cambiato, in peggio, il nostro marketing politico; oppure se sono cambiati la testa, la pancia e la moralità degli italiani.
(Continua)
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