...banditi si nasce. Ed egli lo nacque...
NEL mezzo della luna di miele che la maggioranza degli italiani credeva di vivere con il nuovo governo, la vera natura del berlusconismo emerge prepotente, uguale a se stessa, dominata da uno stato personale di necessità e da un'emergenza privata che spazzano via in un pomeriggio ogni camuffamento istituzionale e ogni travestimento da uomo di Stato del Cavaliere. No. Berlusconi resta Berlusconi, pronto a deformare lo Stato di diritto per salvaguardia personale, a limitare la libertà di stampa per sfuggire alla pubblicazione di dialoghi telefonici imbarazzanti, a colpire il diritto dell'opinione pubblica a essere informata sulle grandi inchieste e sui reati commessi, pur di fermare le indagini della magistratura.
La Repubblica vive un'altra grave umiliazione, con le leggi ad personam che ritornano, il governo del Paese ridotto a scudo privato del premier, la maggioranza parlamentare trasformata in avvocato difensore di un cittadino indagato che vuole sfuggire al suo legittimo giudice, deformando le norme.
In un solo giorno - dopo la strategia del sorriso, il dialogo, l'ambizione del Quirinale - Silvio Berlusconi ha chiamato a raccolta i suoi uomini per operare una doppia azione di sfondamento alla normalità democratica del nostro sistema costituzionale. Sotto attacco, la libertà di informazione da un lato, e l'obbligatorietà dell'azione penale dall'altro.
Per la prima volta nella storia repubblicana, il governo e la sua maggioranza entrano nel campo dell'azione penale per stravolgerne le regole e stabilire una gerarchia tra i reati da perseguire. Uno stravolgimento formale delle norme sulla fissazione dei ruoli d'udienza, che tuttavia si traduce in un'alterazione sostanziale del principio di obbligatorietà dell'azione penale. Principio istituito a garanzia dell'effettiva imparzialità dei magistrati e dell'uguaglianza dei cittadini.
La nuova norma berlusconiana (presentata come un emendamento al decreto-sicurezza, firmato direttamente dai Presidenti della I e II commissione di Palazzo Madama) obbliga i giudici a dare "precedenza assoluta" ai procedimenti relativi ad alcuni reati, ma questa precedenza serve soprattutto a mascherare il vero obiettivo dell'intervento: la sospensione "immediata e per la durata di un anno" di tutti i processi penali relativi ai fatti commessi fino al 31 dicembre 2001 che si trovino "in uno stato compreso tra la fissazione dell'udienza preliminare e la chiusura del dibattimento di primo grado". (...per andare più sul sicuro, l'emendamento avrebbe potuto aggiungere che il provvedimento è limitato a tutti i nani pelati di età compresa fra70 e 75 anni, alti fra un metro e un cazzo ed un metro e un cazzo e mezzo, residentia nord-est di Milano, nel raggio di 20 chilometri, che abbiano subito almeno tre liposuzioni e tre trapianti di capelli negli ultimi 5 anni. Eccetera. NdR)
È esattamente la situazione in cui si trova Silvio Berlusconi nel processo in corso davanti al Tribunale di Milano per corruzione in atti giudiziari: con l'accusa di aver spinto l'avvocato londinese Mills a dichiarare il falso sui fondi neri della galassia Fininvest all'estero.
Quel processo è arrivato al passo finale, mancano due udienze alla sentenza. Si capisce la fretta, il conflitto d'interessi, l'urgenza privata, l'emergenza nazionale che ne deriva, la vergogna di una nuova legge ad personam. Bisogna ad ogni costo bloccare quei giudici, anche se operano "in nome del popolo italiano", anche se il caso non riguarda affatto la politica, anche se il discredito internazionale sarà massimo. Bisogna con ogni mezzo evitare quella sentenza, guadagnare un anno, per dar tempo all'avvocato Ghedini (difensore privato del Cavaliere e vero Guardasigilli-ombra del suo governo) di ripresentare quel lodo Schifani che rende il premier non punibile, e che la Consulta ha già giudicato incostituzionale, perché viola l'uguaglianza dei cittadini: un peccato mortale, in democrazia, qualcosa che un leader politico non dovrebbe nemmeno permettersi di pensare, e che invece in Italia verrà presentato in Parlamento per la seconda volta in pochi anni, a tutela della stessa persona, dalla stessa moderna destra che gli italiani hanno scelto per governare il Paese.
Con ogni evidenza, per l'uomo che guida il governo non è sufficiente vincere le elezioni, e nemmeno stravincerle: non gli basta avere una grande maggioranza alle Camere, parlamentari tutti scelti di persona e imposti agli elettori, una forte legittimazione popolare, mano libera nel dispiegare legittimamente la sua politica. No. Ancora una volta a Berlusconi serve qualcosa di illegittimo, che trasformi la politica in puro strumento di potere, il Parlamento in dotazione personale, le istituzioni in materia deformabile, come le leggi, come i poteri della magistratura.
È una coazione a ripetere, rivelatrice di una cultura politica spaventata, di una leadership fuggiasca anche quando è sul trono, di un sentimento istituzionale che abita la Repubblica da estraneo, come se fosse un usurpatore, e non riesce a farsi Stato, vivendo il suo stesso trionfo come abusivo. Col risultato di vedere il Capo dell'esecutivo chiedere aiuto al potere legislativo per bloccare il giudiziario. Qualcosa a cui l'Occidente non è abituato, un abuso di potere che soltanto in Italia non scandalizza, e che soltanto l'establishment italiano può accettare banalizzandolo, per la nota e redditizia complicità dei dominati con l'ordine dominante, che è a fondamento di ogni autoritarismo popolare e di ogni democrazia demagogica, come ci avviamo purtroppo a diventare.
Questo uso esclusivo delle istituzioni e della norma, porta fatalmente il Premier ad un conflitto con il Capo dello Stato, garante della Costituzione. Napolitano era già intervenuto, nelle forme proprie del suo ruolo, contro il tentativo di introdurre la norma anti-prostitute nel decreto sicurezza, spiegando che non si vedeva una ragione d'urgenza. Poi aveva preso posizione per la stessa ragione contro l'ingresso nel decreto della norma che porta i soldati in strada a svolgere compiti di polizia. Oggi si trova di fronte un emendamento che addirittura sospende per un anno i processi penali e ordina ai magistrati come devono muoversi di fronte ai reati, una norma straordinaria inserita come "correzione" in un decreto che parla di tutt'altro.
Che c'entra la sospensione dei processi con la sicurezza? Qual è il carattere di urgenza, davanti ai cittadini? L'unica urgenza - come l'unica sicurezza - è quella privatissima e inconfessabile del premier. Una stortura che diventa un abuso, e anche una sfida al Capo dello Stato, che non potrà accettarla. Come non può accettarla il Partito Democratico, che ieri con Veltroni ha accolto la proposta di Scalfari: il dialogo sulle riforme non può continuare davanti a questi "strappi" della destra, perché non si può parlare di regole con chi le calpesta.
Nello stesso momento, mentre blocca i magistrati e ferma il suo processo, Berlusconi interviene anche sulla libertà di cronaca. Il disegno di legge sulle intercettazioni presentato ieri dal governo, infatti, non impedisce solo la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche, con pene fino a 3 anni (e sospensione dalla professione) per il cronista autore dell'articolo e fino a 400 mila euro per l'editore. Le nuove norme vietano all'articolo 2 la pubblicazione "anche parziale o per riassunto" degli atti delle indagini preliminari "anche se non sussiste più il segreto", fino all'inizio del dibattimento.
Questo significa il silenzio su qualsiasi notizia di inchiesta giudiziaria, arresto, interrogatorio, dichiarazione di parte offesa, argomenti delle difese, conclusioni delle indagini preliminari, richiesta di rinvio a giudizio. Tutto l'iter investigativo e istruttorio che precede l'ordinanza del giudice dell'udienza preliminare è ora coperto dal silenzio, anche se è un iter che nella lentezza giudiziaria italiana può durare quattro-sei anni, in qualche caso dieci. In questo spazio muto e segreto, c'è ora l'obbligo (articolo 12) di "informare l'autorità ecclesiastica" quando l'indagato è un religioso cattolico, mentre se è un Vescovo si informerà direttamente il Cardinale Segretario di Stato del Vaticano, con un inedito privilegio per il Capo del governo di uno Stato straniero, e per i cittadini-sacerdoti, più cittadini degli altri.
Se il diritto di cronaca è mutilato, il diritto del cittadino a sapere e a conoscere è fortemente limitato. Con questa norma, non avremmo saputo niente dello spionaggio Telecom, del sequestro di Abu Omar, della scalata all'Antonveneta, della scalata Unipol alla Bnl, del default Parmalat, della vicenda Moggi, della subalternità di Saccà a Berlusconi, dei "pizzini" di Provenzano, della disinformazione organizzata da Pollari e Pompa, e infine degli orrori della clinica Santa Rita di Milano. Ma non c'è solo l'ossessione privata di Berlusconi contro i magistrati e i giornalisti (alcuni).
C'è anche il tentativo scientifico di impedire la formazione di quel soggetto cruciale di ogni moderna democrazia che è la pubblica opinione, un'opinione consapevole proprio in quanto informata, e influente perché organizzata come attore cosciente della moderna agorà. No alla pubblica opinione (che non sappia, che non conosca) a favore di opinioni private, meglio se disorientate e spaventate, chiuse in orizzonti biografici e in paure separate, convinte che non esista più un'azione pubblica efficace, una risposta collettiva a problemi individuali.
A questo insieme di individui - di cui certo fanno parte anche gli sconfitti della globalizzazione, la nuova plebe della modernità - il populismo berlusconiano chiede solo una vibrazione di consenso, un'adesione a politiche simboliche, una partecipazione di stati d'animo, che si risolve nella delega. La cifra che lega il tutto è l'emergenza, intesa come orizzonte delle paure e fine del conformismo, del politicamente corretto, delle regole e degli equilibri istituzionali.
Conta decidere (non importa come), agire (non conta con che efficacia), trasformare l'eccezione in norma. Il governo, a ben guardare, non sta militarizzando le strade o le discariche, ma le sue decisioni e la sua politica. Meglio, sta militarizzando il senso comune degli italiani, forzandolo in un contesto emergenziale continuo, con l'esecutivo trasformato per conseguenza da organo ordinario in straordinario, che opera in uno stato d'eccezione perenne. Così Silvio Berlusconi può permettersi di venire allo scoperto in serata, scrivendo in una lettera a Schifani che la norma blocca-processi "è a favore di tutta la collettività", anche se si applica "a uno tra i molti fantasiosi processi che magistrati di estrema sinistra hanno intentato contro di me per fini di lotta politica".
È il preannuncio di una ricusazione, in una giornata come questa, vergognosa per la democrazia, con il premier imputato che rifiuta il suo giudice mentre ne blocca l'azione. A dimostrazione che Berlusconi è pronto a tutto. Dovremmo prepararci al peggio: se non fosse che il peggio, probabilmente, lo stiamo già vivendo.
L'ira di Napolitano per il blitz: "Non è il decreto che ho firmato"
(di Claudio Tito)
Il Cavaliere tentato dal messaggio tv: "Non mi faccio azzoppare" - Il capo dello Stato: "Se quelle norme ci fossero state dall'inizio, non avrei firmato"
ROMA - "Se quelle norme fossero state contenute nel decreto fin dall'inizio, non l'avrei firmato". Questa volta il clima bipartisan è svanito di colpo. La "sintonia" con il Quirinale di cui spesso aveva parlato Silvio Berlusconi si è trasformata nel primo conflitto istituzionale della legislatura. Giorgio Napolitano ha sbattuto i pugni sul tavolo. Lo ha fatto prima con il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Gianni Letta, e poi con il ministro della Difesa Ignazio La Russa. Perché quei due emendamenti presentati al Senato per "congelare" alcuni processi tra cui quelli che riguardano il presidente del consiglio, lo hanno mandato su tutte le furie. Al punto di far sapere, appunto, che quelle misure avrebbero reso impossibile l'avallo del Colle. E che ora potrebbe indurre il capo dello Stato ad una valutazione critica della legge. Se davvero verrà approvata.
Uno scontro che al momento non ha precedenti. Anche perché la reazione del Cavaliere non è stata affatto conciliante. Prima ha sferzato gli alleati recalcitranti (la Lega in particolare) e poi, dopo che Letta gli ha riferito le tante perplessità del Colle, ha voluto spedire un segnale pubblico proprio a Napolitano.
E già, perché la lettera al presidente del Senato, Renato Schifani, in realtà ha come reale destinatario il capo dello Stato. In un primo momento, addirittura, il premier aveva optato per una sorta di "messaggio alla nazione" in televisione. Poi si è arrivati alla soluzione "più solenne": la missiva alla seconda carica dello Stato. "Perché questo non è più il tempo degli equivoci, questo è il tempo della chiarezza - si è sfogato telefonicamente da Arcore con i suoi - . Tutti i sondaggi mi danno il 68% di gradimento. Io parlo al Paese e non nei corridoi della politica". Un modo per sfidare Napolitano anche sul piano della popolarità.
Certo, nel frattempo ha dovuto fronteggiare i dubbi degli alleati. Sia la Lega che Alleanza nazionale nella riunione svoltasi la scorsa settimana a Via del Plebiscito, gli avevano chiesto di "metterci la faccia". "Non puoi pensare - aveva insistito il ministro dell'Interno, Roberto Maroni - che ti copriamo su una cosa del genere e tu rimani coperto". "Allora - ha annunciato ieri l'inquilino di Palazzo Chigi dopo aver parlato con Umberto Bossi - mi assumo tutte le mie responsabilità. Spiegherò alla gente a cosa serve quella norma. Parlo al Paese. E voglio vedere se qualcuno avrà il coraggio di dissociarsi".
In effetti, per ora, i partner non hanno preso le distanze. Il presidente della Repubblica, però, sì. Il nodo a questo punto si sta stringendo proprio nelle stanze del Quirinale. Napolitano sta studiando le possibili soluzioni per evitare che le norme "salva-premier" diventino effettive. Ha incaricato gli uffici giuridici di valutare varie possibilità. Anche quella di controfirmare "in parte" il provvedimento. Un rinvio "parziale" alle Camere. Una strada, però, difficilmente praticabile.
Sul tavolo c'è pure la "bocciatura" integrale del testo. Una "extrema ratio" che Napolitano non scarta ma di cui coglie le controindicazioni: equivarrebbe a far saltare tutte le misure contro la criminalità e rimettere in libertà i tanti malviventi chi si trovano in carcere grazie alle aggravanti inserite nel decreto. Tant'è che a Letta, il presidente della Repubblica ha chiesto nuovamente di ritirare quei due emendamenti. "Presentati senza consultarmi". Con una procedura "poco istituzionale" di cui la prima carica dello Stato si è lamentato, nel giro di pochissimi giorni, in almeno altre due circostanze: in occasione del decreto sulle prostitute "per cui ho dovuto intervenire su Schifani"; e sull'impiego dei militari nelle città per cui "ho dovuto ricordare che sono io il capo dell'esercito e solo in quel modo il ministro La Russa ha deciso di modificare l'intervento".
Ma da Palazzo Chigi è stato scandito un altro "niet". Anzi, Berlusconi vuole sfidare Napolitano con un voto formale in Consiglio dei ministri sui due emendamenti. Per il Cavaliere, del resto, questo è passaggio cruciale. Che fa perno sul processo Mills. "Vogliono imbrigliarmi", ripete da giorni. Soprattutto "vogliono condannarmi - ragionava ieri - per impedirmi una futura elezione al Quirinale. È questo il loro obiettivo. Vogliono azzopparmi in vista del 2013". Il premier e i suoi legali, infatti, si aspettano una sentenza di condanna a 6-8 anni di detenzione per corruzione entro il prossimo mese di ottobre. Ben prima della prescrizione del processo prevista per la fine del 2009. E ben prima che il famigerato "Lodo Schifani", modifica costituzionale, possa diventare legge dello Stato. "E io - ha ammonito - non ho tutto questo tempo".
(17 giugno 2008 - Repubblica.it))
Patto tra mafia e massoneria per ritardare i processi: otto persone arrestate - L'inchiesta vede coinvolti professionisti, medici, imprenditori, boss e iscritti a logge massoniche
PALERMO - Massoneria e mafia strette in un patto segreto contro la giustizia, con il primo obiettivo di ritardare i processi ai boss delle cosche di Trapani e Palermo. I carabinieri hanno arrestato otto persone, in diverse città, accusate di concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione in atti giudiziari, peculato, accesso abusivo in sistemi informatici giudiziari e rivelazione di segreti d'ufficio. I provvedimenti sono stati emessi dal gip del tribunale di Palermo, Roberto Conti, su richiesta del procuratore Francesco Messineo, dell'aggiunto Roberto Scarpinato e del sostituto della Dda, Paolo Guido.
COINVOLTI IMPRENDITORI, MEDICI, BOSS - L'inchiesta vede coinvolti professionisti, medici, imprenditori, boss e alcuni iscritti a logge massoniche e si è sviluppata anche attraverso decine di perquisizioni.
IL PRIMO OBIETTIVO ERA RITARDARE I PROCESSI - Dall'inchiesta emerge che boss mafiosi, grazie all'aiuto di persone appartenenti a logge massoniche avrebbero ottenuto, dietro pagamento di tangenti, di ritardare l'iter giudiziario di alcuni processi in cui erano imputati affiliati a cosche di Trapani e Agrigento. Le indagini che hanno portato alla scoperta dei presunti intrecci fra boss e massoni diretti a ritardare i processi di alcuni affiliati alle cosche mafiose, sono state avviate dai carabinieri nel 2006. L'indagine, denominata "Hiram", coordinata dalla procura di Palermo, è stata coperta dal massimo riserbo, e ha preso il via da accertamenti svolti sulle famiglie mafiose di Mazara del Vallo e Castelvetrano, in provincia di Trapani. Oltre alle perquisizioni, che non sono ancora terminate, altri controlli vengono svolti anche su conti correnti bancari intestati agli indagati.
...vi ricorda niente?...
Lodo Maccanico? No, si chiama "Lodo Schifani" (l'Unità.it)
Ecco rispuntare un´altra bella legge "ad personam", che vuol dire a favore di Silvio Berlusconi o dei suoi più stretti collaboratori. Sarebbe il famigerato "lodo Schifani", la norma che prevede la non punibilità per le più alte cariche dello Stato. Ma il vice capogruppo vicario al Senato, Gaetano Quagliariello, conversando con i giornalisti a palazzo Madama, ha detto che è più corretto parlare di «lodo Maccanico» più che «lodo Schifani», essendo stata del senatore Maccanico l'idea di una «sospensiva» dei processi per le alte cariche istituzionali. Naturalmente, i telegiornali come il Tg1 si sono subito accodati al gentile consiglio.
Lodo Maccanico? Veramente, non è per niente così. Tornare a chiamarlo "lodo Maccanico" è quindi un errore e serve solo a creare un atmosfera "bipartisan". Proposta inizialmente dal senatore della Margherita, Antonio Maccanico, venne da questi sconfessata del tutto quando la proposta di legge venne modificata da un maxi-emendamento a firma Schifani. La proposta di legge fu così ribattezzata "lodo Schifani" e successivamente "lodo Berlusconi". Approvata il 20 giugno 2003, grazie a essa il presidente del Consiglio Berlusconi scampò di fatto alla sentenza del processo SME, in cui furono condannati per corruzione Attilio Pacifico, Cesare Previti e Renato Squillante. Successivamente, il premier fui assolto dall´accusa di falso in bilancio perché «i fatti non sono più previsti dalla legge come reato» dopo una modifica introdotta dallo stesso governo Berlusconi.
La legge del "lodo Schifani" venne poi dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale il 13 gennaio 2004, perché in contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione. In particolare i giudici misero in evidenza che la legge è in contrasto con il principio d´uguaglianza e viola l´obbligatorietà dell´azione penale. Il lodo Schifani incide direttamente sul principio d´eguaglianza, infatti, stabilendo un privilegio di tipo feudale per cinque persone che vengono sottratte alla giurisdizione ordinaria non per reati connessi alla loro funzione, ma solo per la loro carica. Si verifica così il paradosso che il Presidente del Consiglio, con le altre quattro cariche, rimane sottoposto alla giurisdizione ordinaria per i reati commessi nell´esercizio della sua funzione (previa autorizzazione della Camera o del Senato), mentre è legibus solutus, cioè non perseguibile per i reati comuni: dall´omicidio, al furto e alla corruzione.
Ecco il testo dell'emendamento presentato al Senato dalla Casa delle Libertà nel 2003: «Non possono essere sottoposti a processi penali per qualsiasi reato, anche riguardante fatti antecedenti l'assunzione della carica o della funzione e fino alla cessazione della carica, il presidente della Repubblica (eccezion fatta per il caso di impeachment per alto tradimento o attentato alla Costituzione votato dal Parlamento), il presidente del Senato, il presidente della Camera, il presidente del Consiglio (salvo il caso di reato commesso nell'esercizio della propria funzione, accertato con autorizzazione a procedere del Parlamento), il presidente della Corte Costituzionale.
Processi e prescrizione sospesi da entrata in vigore legge: dalla data di entrata in vigore della nuova legge sono sospesi i processi penali in corso contro le cinque cariche a cui si riferisce la legge, in ogni stato e fase o grado e per qualsiasi reato siano stati iniziati, anche per fatti antecedenti l'assunzione della carica e fino alla cessazione della medesima. A partire dalla data di sospensione dell'azione penale e/o dei processi è altresì sospeso il decorso dei termini per la prescrizione del reato contestato all'alta carica».
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