Il 29 Maggio di quest'anno un allarmato titolo di Repubblica recitava:
ROMA - Ancora una giornata tragica sui posti di lavoro, una giornata che si chiude con il bilancio di cinque morti (ad Ancona, Bergamo, Sanremo, Vicenza, e in Trentino) e diversi feriti.
Ieri quel titolo è stato sbriciolato dai 10 morti in un giorno, di cui sei in un solo "incidente": a Mineo, Catania, sei operai uccisi dalle esalazioni tossiche. Altri quattro muoiono a Imperia, Nuoro, Alessandria, Modena
Possiamo dire che in Italia abbiamo, finalmente, un primato: ne ammazza di più il lavoro che la fame. Ne ammazzano di più le organizzazioni "datoriali" (Dio, che termine orrendo!) che la mafia, la camorra e i romeni messi insieme.
Ieri l'ineffabile ministro post-craxiano Sacconi ha iniziato a parlare del caso acchiappandolo dalla coda, e cioè insinuando che forse troppo spesso i lavoratori sono distratti o negligenti. Solo dopo, e su pressioni altrui, gli è venuto in mente che si, forse, eccezionalmente, in alcuni casi sporadici, potrebbero entrarci cose come il lavoro nero, l'assenza di attrezzature di sicurezza, la stanchezza indotta da troppe ore di lavoro, l'assenza di adeguato addestramento; cose così...
Poi, di tanto in tanto, arriva la giornata eccezionale: quella in cui i morti, anzichè limitarsi ai soliti quattro al giorno, diventano 5, 7, 10, ed allora ci commoviamo, ma in fretta, perchè alle 18 iniziano le partite di calcio, e non possiamo perdere il fischio d'inizio. Tanto, per commuoverci di nuovo, basterà aspettare la prossima Thyssen, o la prossima cisterna. Aspettiamo fiduciosi: qualcosa arriverà.
Emergenza criminalità: dieci delitti sul lavoro
(Claudio Jampaglia - Liberazione)
Non li vedevano tornare a casa per pranzo e hanno iniziato a chiamarli sui cellulari. Una, due, tre volte. Niente. Preoccupazione. "Ma Giuseppe è tornato a casa?". "No". "Nemmeno Giovanni". Allora hanno chiamato i carabinieri e gli hanno chiesto di andare a buttare un occhio al depuratore. 4 km. dal paese. E li hanno trovati. Morti. In mezzo alla campagna catanese, nel silenzio del meriggiare. Sei morti ammazzati. Di lavoro. Il killer più seriale del paese, senza latitudini e accenti. Coperti dal fango, riversi in fondo a una vasca profonda cinque metri, la faccia verso l'alto per cercare l'aria che non c'era più. Li hanno trovati così. Giuseppe Zaccaria, 47 anni, responsabile della sicurezza, Giovanni Sofia, 37 anni, Giuseppe Palermo, 57 anni, e Salvatore Pulici, 37 anni, precario (ex articolo 23), dipendenti comunali e compaesani. Tutti padri di famiglia. Con loro due lavoratori della ditta di spurghi Carfì di Pozzallo (Ragusa) Salvatore Tumino, 47 anni e Salvatore Smecca. «Sono morti abbracciati fra loro - ha detto il parroco - hanno provato a salvarsi a vicenda».
L'immagine è forte, ma è ancora presto per sapere se veramente sia andata così. E mentre i vigili, i carabinieri e il magistrato, con tanto di reparti specializzati anti-battereologico e nucleo sommozzatori, procedevano ai rilievi, davanti ai cancelli dell'impianto sono arrivati i parenti con la gente di Mineo, 5mila abitanti, meno quattro da ieri. Hanno gridato la loro disperazione ai cancelli. Hanno pianto. E adesso chi glielo dice ai "picciriddi" che i loro padri non ci sono più. Davanti a quel cancello sbarrato dalla polizia anche Sebastiano Valenti, segretario della Cgil di Caltagirone, non sa che dire. E' ammutolito.
Dal Comune, sconvolti, fanno sapere che l'impianto era a norma e non aveva mai dato problemi. Ma qualcosa si era rotto. Lo dice il comandante provinciale dei carabinieri di Catania, Giuseppe Governale, conferma che i sei erano stati chiamati per qualcosa non andava nella vasca che raccoglie parte delle "acque reflue" (le fogne) [...].
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