Maurizio Blondet mi segnala spesso i suoi scritti. A volte mi trovo d'accordo con le cose che scrive, spesso no. Questa volta mi trovo a disagio, perchè condivido, e solo in parte, il paragrafi finali (quelli che riguardano i colloqui di selezione). Non condivido la prima parte, anche se credo che meriti di essere discussa ed approfondita.
Tra la marea di commenti al mio articolo sul Rasta e la Cassazione, mi ha colpito uno. A proposito della ragazza ammazzata in Catalogna, Silvia scrive: «No, no, una ragazza con tatuaggio, diamantino nel dente, orecchino, è una ragazza molto solare, che lavora per pagarsi le vacanze all’estero, per fuggire dalla noia mortale della provincialità. Il Gordo però adesso ha sulla coscienza la morte di una ragazza che è andata a spegnere la sua solarità molto lontano...».
Perchè mi ha colpito? Perchè il pericolo per tante ragazze è proprio in questo: nel non essere consapevoli del «messaggio» che emanano con il codice del vestiario o degli ornamenti. Una si fa delicati tatuaggi in certe parti, si fa mettere un brillantino sul dente ed è convinta di dire al mondo: «Guardatemi: sono una ragazza solare, che emana solarità». Ignara che per altri, per lo più maschi, nati in mondi lontani, il messaggio risulta: «Ecco un’altra di quelle che sono venute qui a farsi scopare». E non è un equivoco, da parte del Gordo.
Anzitutto uno come lui, avventizio lavapiatti che bazzica a Lloret del Mar a caccia di donne, ha esperienza diretta di centinaia di ragazze, di impiegate provinciali, italiane o no, che sono venute lì proprio a scopare: ed hanno lo stesso diamantino, la stessa catenina alla caviglia, gli stessi tatuaggini sulla nuca o sul pube della ragazza «solare».
Io stesso ho conosciuto decine di impiegate milanesi che sciamano due settimane nei «villaggi-vacanza», o posti come Lloret (tutti uguali), con lo scopo preciso di fare sesso. Non le giudico: la vita delle impiegate a Milano è squallida, l’incontro sessuale resta difficile o almeno impegnativo. Ma almeno, se non vogliono finire veramente male, quando «vanno all’estero» per la «vacanza» che si sono pagate lavorando, dovrebbero rapidamente imparare alcune cose.
Anzitutto: «l’estero» è il vasto mondo, affollato di esseri che hanno radici, lingue, culture e società diverse, ed hanno un passato di cui le ragazze di provincia non sanno nulla. I voli charter hanno messo in grado di andare «all’estero» in poche ore troppi sprovveduti, che estendono questa facilità anche al vasto mondo. Il vasto mondo resta difficile.
I mari tropicali celano pesci bellissimi con pungiglioni letali, le foreste piante carnivore, velenosi ragni, sui quali il viaggiatore avvertito si informa in anticipo; Uruguay e Venezuela non sono come la provincia di Padova; sono società guaste, devastate, dove la disperazione e la violenza sono endemici, dove la durezza vitale forma esseri umani addestrati ad abbrancare ciò che viene - alcool o altro - come viene, perchè domani non si sa.
Almeno di questo, una ragazza di provincia deve essere avvertita. Altrimenti è meglio che, in vacanza, vada a Lignano Sabbiadoro. Lì potrà esercitare la sua «solarità» esibendo tatuaggini, con rischio diminuito. Perchè i codici del vestiario e del corpo sono linguaggi. E come tutti i linguaggi, vengono compresi solo dalla cerchia che frequentiamo.
Magari fra i suoi amici padovani, la povera ragazza era considerata «solare», una allegra bonacciona; magari loro sanno dare il peso che meritano agli inviti sessuali impliciti nei tatuaggini (sono solo uno scherzo, è una brava ragazza che lavora tutto l’anno). Ma non si può pretendere che altri, che vengono da altri passati e società - di cui la ragazza non sa nulla - intendano i segnali allo stesso modo.
Si aggiunga che gli stessi messagi, presunti «solari», assumono un significato tutto diverso quando sono esibiti di notte. Un tatuaggino pubico ha un senso sulla spiaggia, in piena abbronzatura; un altro in discoteca alle due del mattino. Il mondo notturno ha i suoi notturni abitanti, con le loro voglie notturne, parlano le lingue della notte.
Abbiamo visto le foto della ragazza di Padova, scattate dall’amica (altra tenebra) nella discoteca finale: abbiamo visto il Gordo che le stava addosso, con tutti i suoi tatuaggi, biascicandole baci sulla faccia da brava impiegatina. Per il Gordo, una simile vicinanza, simili approcci accettati, avevano un solo sbocco naturale. Per la ragazza padovana no, magari.
Ma allora, che cosa ci voleva a respingerlo? Lì in discoteca, fra tanti amici, uno spintone, una parola secca, era impossibile? Avrà pur sentito l’odore alcoolico del suo fiato, il pulsare sudaticcio del drogato. Non era poi irresistibile, il Gordo. Alla peggio, lo si poteva piantare lì e ci si poteva chiudere in albergo, a pochi passi: pazienza, una serata rovinata, domani è un altro giorno.
Invece la povera padovana, esce con lui. Sta via qualche ora. Poi ritorna in discoteca. Che cosa c’è di «solare» in questo?
A meno che «solare» non significhi, per Silvia, questo: ragazza improvvidamente fiduciosa. Che nella vita vede solo il sole ed esseri «solari» attorno a sè. Per cui tutto il mondo è il suo paese padovano, dove tutti si conoscono e si capiscono.
Per ragazza molto solare, io intendo un altro tipo: una che sta al sole, che vive nel sole, che la sera - dopo tante nuotate, dopo tanto mare - magari è troppo stanca per andare in discoteca a farsi biascicare da uno sconosciuto ubriaco. Forse sbaglio io, dev’essere questione di codici.
A me, a dirla tutta, il termine «ragazza molto solare» suona come una retorica falsa; la stessa retorica, vischiosa pietà che i TG hanno riversato sulla ragazza uccisa lasciata in un cespuglio: poveretta, era lì a «vivere la propria vita», voleva solo divertirsi, e invece... invece, il vasto mondo sconosciuto ha fatto scattare una delle sue mille trappole.
Trappole che il viaggiatore avvertito, s’intende, riconosce, avendo magari appreso qualcosa prima: quella bella lucertola colorata del Kenia schizza veleno, la dolce antilope ha corna affilate e uno spirito aggressivo, i pesci variopinti non sono gli stessi dell’acquario e della fontana italiana.
Con molto dispiacere, bisogna ammetterlo: il provincialismo uccide. Il provincialismo non rende capaci a sopravvivere nel vasto mondo. I suoi codici sono equivoci, portati altrove da un volo charter.
Ne scrivo, e so già di sprecare fiato e inchiostro. Perchè i nostri giovani li ho conosciuti un po’, in scuole, in corsi di formazione, e conosco la loro chiusura ermetica ad imparare il vasto mondo. Conosco anche troppo l’importanza parossistica che danno al loro vestiario come «codice identitario», unita alla totale incoscienza del «messaggio» che il codice manca.
Tante volte ho ripetuto a giovani disoccupati: quando vi presentate a cercare lavoro, non presentatevi con l’orecchino, i capelli lunghi, le treccine rasta. Quelli sono messaggi destinati ad altro ambiente, al «tempo libero», al «vivere la propria vita»; il lavoro richiede messaggi e codici diversi, e il messaggio che date è: questo non ha voglia di lavorare, è trasandato, dunque impreciso, è insubordinato, incapace di disciplina...
Tutto inutile. Ci tenevano, al loro vestiario. Affidavano ad esso la loro «personalità», la loro «originalità». Originalità che coincide con il conformismo vigente nel loro ristretto gruppo. Perchè l’originalità del vestire è l’ultimo, non il primo tocco della originalità di una persona; prima, devono venire opere originali, originali scoperte, un modo originale - cioè profondo e non superficiale - di studiare, lavorare e capire.
Troppo facile cominciare dalla cosa più facile, saltando tutte le tappe intermedie. Ed anche, alla fine, pericoloso: si rischia di vincere il Premio Darwin, che va a quelli che, incapaci, vengono eliminati dalla «selezione naturale» nel vasto mondo. Ma so di dire parole al vento. Lo vedo dai commenti.
Caro Maurizio,
questo tuo pezzo, peraltro molto ben scritto, mi mette a disagio. Mi mette a disagio perchè è un mix di cose che condivido, di cose che non condivido, e di altre che condivido vergognandomi di condividerle.
Trovo giuste le tue osservazioni circa la capacità (o addirittura la funzione esplicita) di certi segni - come i brillantini, i tatuaggini, o qualunque altra cosa - di veicolare messaggi. Trovo sbagliato che noi ci arroghiamo il diritto di decodificare questi segnali secondo la nostra (arbitraria) chiave interpretativa. Un diamantino sul dente è un messaggio di disponibilità sessuale? chi lo ha detto? dove è scritto? Alcuni pensano che il "messaggio" di disponibilità cominci dall'anello al naso o sul labbro. Chi lo dice? personalmente non riuscirei ad avere un rapporto sessuale con qualcuno con l'anello al naso. E chi ha stabilito, fra brillantino nel dente ed anello al naso, dove esattamente inizi il messaggio di disponibilità sessuale? Qual'è il confine? un anello piccolo? un brillantino grande?
Ancora: conosco fior di gente che adotta segnali trasgressivi non per trasmettere messaggi sessuali, ma per altre, più banali ragioni: far dispetto a genitori troppo normali e normalizzanti; farsi accettare nel "gruppo" che quei segnali ha adottato in larga maggioranza; perchè il loro gusto estetico (che non posso e non voglio discutere) trova questi segnali esteticamente belli. Non tutti hanno studiato trattati di semantica o di antropologia culturale.
Qualora i nostri segnali siano letti in maniera diversa in culture diverse, abbiamo il dovere di cambiarli, o abbiamo la possibilità di mantenerli, e di far capire a chi fraintende che ha frainteso? E su quali codici culturali dobbiamo tarare la nostra "segnaletica"? sui nostri codici, o su quelli del posto dove ci rechiamo? e se ci rechiamo in un posto come la Costa Brava, che è un pot-pourri di culture e di nazionalità, quale codice dobbiamo adottare? quello italiano, quello svedese, quello catalano, quello magrebino? Non sarebbe più semplice se nessuno si sentisse autorizzato a tradurre i segnali, emessi in una lingua sconosciuta, in messaggi?
Nell'Africa Centrale, in alcune tribù boscimane o ottentotte, l'obesità è segno di bellezza. Le ragazze più ambite sono le più obese. Dobbiamo, prima di recarci in Africa Centrale, adottare questo codice semantico, o possiamo andarci da normotipi? Ma perchè mai la povera Federica avrebbe dovuto pensare che due micro-tatuaggini ed un invisibile diamantino, se trasportati da un paesotto del padovano alla cosmopolita Costa Brava, si sarebbero trasformati in un messaggio del tipo "prego, s'accomodi"?
Trovo invece sensate (e questa è la parte che mi piace di meno: il mio trovarle sensate) le tue osservazioni circa la serata col gordo. Mi sfuggono (o, peggio, le capisco e mi feriscono ancora di più) le ragioni per le quali una ragazza "ordinata" nonostante i "segnalini", accetti di passare una serata con uno come il gordo, e addirittura lasciare da sola con lui un posto tutto sommato affollato e sicuro, per appartarsi.
Dove e perchè, non lo sappiamo, e personalmente non voglio saperlo. Però qui subentra non già la "colpa" di Federica, e cioè quella di aver sottovalutato la potenza semantica dei segnali da lei emessi (non condivido, nel caso specifico, questa tesi), bensì il non essere stata capace di leggere e decodificare i macroscopici segnali che emanavano dal Gordo. A mio avviso, guardando la foto si avverte il puzzo dell'alcol e l'occhio spiritato del drogato. Aspetto generale, collezione di segnali, puzzo d'alcol che si sente anche per foto, sguardo da strafatto... possibile che Federica non abbia decodificato NESSUNO di questi segnali? ma allora alle federiche di tutta Italia dovremmo cercare di insegnare a leggere correttamente i segnali che emanano dagli altri, piuttosto che spiegare loro che devono cambiare la loro modesta, "uncospicuos" segnaletica, prima di andare in ferie non in Tanzania, ma in Spagna.
Con tutto il rispetto dovuto alla memoria di questa povera ragazza, e al dolore di parenti ed amici, vorrei aggiungere che le prossime federiche che partiranno per la Costa Brava (ma il discorso vale anche per Milano Marittima, o no?) dovrebbero essere aiutate a capire che, anche se si hanno solo sette giorni di vacanza, nei quali fare il pieno di ricordi da sgranocchiare durante il nebbioso e freddo inverno padano, è meglio avere una sera in meno di "ricordi per l'inverno", che non mettere nel proprio diario una serata con un murales flaccido, puzzolente d'alcol, e con l'occhio spiritato. Non metto nel conto il "come" sia finita tragicamente questa storia. Ma anche se non fosse finita così: cosa ci sarebbe stato di bello, da scrivere nel proprio diario, in una serata con uno così? Ecco, io credo che prima di insegnare alle nostre figlie a cambiare i loro segnali (anche per una vacanza in un paese più civilizzato e laico del nostro), dovremmo cercare di acuire in loro la capacità di lettura dei segnali che gli altri emanano. E, nel dubbio, ad adottare la scelta più prudente. A costo di rinunciare ad una serata "diversa".
Infine, il tuo discorso sui giovani disoccupati. Condivido, vergognandomene, le tue annotazioni. Andare a fare un colloquio d'assunzione pettinato da rasta, o tatuato fino alla pianta dei piedi, o vestita da madonnara, o coi capelli viola, ci consente di dire, orgogliosamente: "se mi vogliono, mi prendono come sono". Peccato che, 99 volte su cento, il selezionatore finisca col volere qualcun altro, forse potenzialmente meno creativo, ma certamente più "tranquillizante" dal punto di vista dell'azienda. Il rasta a colloquio indossa orgogliosamente il proprio codice di comunicazione. L'azienda fa il suo mestiere, ed usa il proprio codice di decodifica. I due codici spesso non usano gli stessi standars, ma in questo gioco a non capirsi, il contraente forte è l'azienda, che seleziona fra cento persone, non il candidato, che è uno dei cento competitors. Perchè dovremmo aspettarci che l'azienda scelga il candidato che trasmette il messaggio più dissonante da quello dell'azienda, e quindi meno tranquillizante?
...il TG tre delle 14.20 di oggi ha dato, quasi in sordina, questa bella notizia:
"...dal primo gennaio del prossimo anno, gli anziani, che attualmente percepiscono la pensione sociale di 395 euro, se non potranno dimostrare che in passato avevano versato almeno 10 anni di contributi lavorativi, non avranno più diritto di percepire la suddetta pensione sociale. Questa proposta é stata avanzata dal centrodestra, probabilmente per tagliare i "viveri" agli immigrati, e pur di tagliare i "vivere" agli immigrati, il centrodestra, lega e il resto della destra, sono disposti a TUTTO, anche a vendere la propria madre... (Commento postato da Rita)