Municipio in bancarotta, senza più soldi per la luce. Cantieri incompiuti ovunque. Opere inaugurate e abbandonate. Vita di una città con l'acqua alla gola
Uno squarcio lungo 508 metri e largo 176, nel cuore della città. Terriccio sbancato cinquant'anni fa, palizzate cadenti, arbusti rinsecchiti, e in mezzo al buco le ultime tre baracche di rom rimaste dopo lo sgombero. Ora pare davvero che ci metteranno mano, alla ricostruzione di Corso Martiri della Libertà. Ma 'il cratere', come lo chiamano, è così da quando, 35 anni fa, il ricorso di un ingegnere bloccò a metà l'orrenda cementificazione con cui Istica, allora società di emanazione vaticana, aveva spianato e rifatto l'intero corso Sicilia. Desolante immagine di una città vitale ma inconcludente. Bellissima nel suo barocco settecentesco ma all'abbandono. Fiera della sua movida notturna e delle famiglie a spasso fino alle ore piccole a ingollare granite di mandorla, orgogliosamente indicate persino dalla ragazza del trenino per turisti; ma incapace di portare a termine alcunché. Lavori fermi, vite sospese, inaugurazioni fasulle, soldi al vento, questa è Catania. E casse vuote: il neosindaco Raffaele Stancanelli, di An ma legatissimo al presidente della Regione Raffaele Lombardo "fin dai tempi in cui eravamo compagni di banco ai Salesiani", si ritrova sulle spalle il mostruoso buco finanziario, specchio di quello fisico di corso Martiri, accumulato nei sei anni di gestione dell'ex-sindaco Umberto Scapagnini, il medico di Berlusconi ora senatore di Forza Italia. La fotografia che Stancanelli fa della sua città è impietosa: "Abbiamo debiti per novecento milioni di euro, mezza Catania è al buio perché dobbiamo 16 milioni alla società che gestisce l'erogazione, i fornitori aspettano 140 milioni, le cooperative che assistono anziani e malati non pagano gli stipendi da mesi. E i debiti fuori bilancio neanche sappiamo a quanto ammontano. Nel disastro c'è di buono che non mi si può ricattare: i soldi sono finiti, non ce n'è per nessuno!". Spera di salvarsi trattando con la Cassa depositi e prestiti l'allungamento della restituzione del debito, tagliando 18 milioni di rate all'anno: ci sarebbero due istituti di crediti pronti a rifinanziare, Hsh e Banca di Scozia. Sempre che Tremonti non gli faccia lo sgambetto. Sennò il Comune dovrà dichiarare il dissesto, i fornitori saranno pagati al 30 per cento, duecento aziende falliranno, le addizionali locali saliranno alle stelle. E Catania sprofonderà peggio che sotto l'eruzione del 1669.
Da senatore non s'è dimesso, Stancanelli: "Ma se appena insediato mi hanno iscritto nel registro degli indagati per occupazione abusiva di suolo demaniale!". Vero. Alla prima uscita pubblica aveva inaugurato il solarium, grande piattaforma in legno sul lungomare, fatta perché i catanesi si godessero i bagni, senza ingolfarsi in un traffico infernale per arrivare fino a Plaja. Per una settimana ci si sono stipate duemila persone al giorno, incuranti, come l'amministrazione che li ha messi, dei due cartelli a lato che recitano uno 'divieto di balneazione' e l'altro 'attenzione, non ci sono bagnini'. Poi è arrivata la Guardia costiera che ha chiuso e sequestrato il solarium fuorilegge: e adesso se appena t'azzardi a oltrepassare il nastro che lo circonda ti blocca uno dei 540 vigili in forza al Comune: per la cronaca, 5 semplici e 535 ispettori. Così si campa, in una città con l'acqua alla gola.
È il regno dell'una tantum. Nel senso che, come il solarium, le cose si usano una volta e via. È penoso ficcare il naso nel teatro di viale Moncada al quartiere Librino: struttura modernissima, la inaugurarono dieci anni fa, ci fecero una rappresentazione il primo Natale, poi fine dei giochi e delle recite. Ora lì dentro, in quelli che erano i camerini ormai senza infissi, ci smantellano i motorini rubati, e un puzzo ti prende alla gola perché ci bruciano i fili elettrici per liberarli dalla plastica e vendersi il rame. Ma il muraglione di palazzi del Librino è così, quasi una incontrollabile deformazione umana dell'algido piano architettonico disegnato da Kenzo Tange nei primi anni settanta: come Secondigliano a Napoli, come lo Zen a Palermo. "Lo vede? Venti milioni di euro sono costati quel palasport e quella villa coi campi di calcio. Crede che mio figlio ci abbia mai potuto mettere piede?", indica Armando Battaglia, lavoratore sull'autostrada e sindacalista. All'altro lato della strada, sul marciapiede del famigerato Palazzo di cemento, stazionano spacciatori in passamontagna, e sono le 11 di mattina. Ma quando con un minimo di circospezione chiedi ai ragazzi del posto qualche dritta per aggiornare lo schemino delle cosche, i Santapaola e i Laudani, i sottoclan, le spartizioni, le guerre e le tregue, il ventiquattrenne Totò ti guarda col sopracciglio all'insù e ti dice: "Scusa, ma perché dovrei mettermi a spacciare quando posso aiutare un politico e poi candidarmi alle prossime elezioni per la circoscrizione, che se mi va dritta arrivo in Comune, e se mi va storta un posto comunque quelli prima o poi me lo danno?"
Ecco la politica, l'amministrazione, a Catania. Del tutto assente quanto ai servizi che dà a cittadini abituati a farne a meno. Onnipresente e pervasiva come rete di sottolavori, mance, piccoli scambi preelettorali, luccichìo di ipotetiche chance personali, imbuto obbligato di aspirazioni e speranze. Tutto dipende da quello che il politico ti lascia o non ti lascia fare: come le centinaia di bancarelle abusive che ogni martedì circondano la caserma dei vigili e la sede della municipalità del Librino, dove Scapagnini lo acclamavano perché non mandava mai un controllo e non lasciava aprire neanche un piccolo supermercato. [...]
Dai tempi del "rinascimento" di Bianco, del centro di eccellenza dell'informatica, della STM, di Pistorio, sembrano passati mille anni. Non ne sono pasati dieci. Catania rientra nella norma: ridiventa Catania, quella dei Costanzo, dei Lombardo, dei Cavalieri del Lavoro. Altrui.
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