(da Massimo Riva - l'Espresso)
Giulio Tremonti non si porta fortuna. Con un ponderoso decreto di metà anno, spacciato mediaticamente per manovra triennale, ha tentato di anticipare buona parte dei contenuti della Finanziaria per il 2009. Ma si è mosso troppo presto, tarando i suoi conti su una previsione di crescita del Pil di mezzo punto percentuale, come era accaduto nel primo trimestre di quest'anno. Ora, però, l'Istat ha certificato che nel secondo trimestre vi è stata una pesante caduta in negativo nella misura dello 0,3 per cento. In queste condizioni sarà un lusso se l'anno potrà chiudersi con un segno positivo fra lo 0,1 e lo 0,2 per cento. Ciò significa che il castello di carta delle cifre di Tremonti sta franando: i conti dovranno essere rifatti daccapo sia per il bilancio 2008 sia per quello del 2009. Il primo appuntamento di verifica è fissato per la fine di settembre, quando il ministro, che voleva svuotare la normale sessione di bilancio, si troverà costretto a sfruttarla come un'opportunità per mettere una pezza sugli errori delle sue stime frettolose.
Peggio ancora gli sta andando per quanto riguarda le sue fragorose sortite sulla scena internazionale in tema di lotta contro la speculazione finanziaria sulle materie prime, definita dal medesimo con toni apocalittici come la nuova pestilenza del Terzo millennio. Ora che sul mercato del petrolio, per esempio, si scambi ogni giorno una quantità di contratti su barili di carta enormemente superiore a quella dei barili effettivamente prodotti è e rimane una realtà: dalla quale affaristi temerari possono trarre lauti profitti forzando le quotazioni anche al di là del punto d'incontro più ragionevole fra domanda e offerta. Ma da qualche settimana, mentre ancora alto è nell'aria il grido tremontiano del 'dagli all'untore', il prezzo del greggio ha invertito la sua marcia, scendendo rapidamente da quota 150 fino a meno di 120 dollari a barile.
L'onda recessiva che sta investendo le maggiori economie - perfino le grandi tigri asiatiche (Cina e India) stanno frenando i loro pur robusti tassi di crescita - ha mutato le aspettative sul mercato dei prodotti energetici. Cosicché, nel caso specifico del petrolio, è probabile che da una fase di continue scommesse al rialzo si stia semmai passando a un'altra di speculazione al ribasso, con punizione severa per chi si era troppo esposto nel ciclo precedente. In ogni caso, che farsene a questo punto delle invettive tremontiane contro la peste del nuovo secolo? Se queste avevano già incontrato un'udienza cortese ma scettica nei consessi internazionali, ora rischiano di apparire come qualcosa di peggio di un errore di valutazione: ovvero come frutto di una callida mistificazione della realtà al fine di indicare un facile bersaglio sul quale scaricare ogni colpa dei guai economici che impedirebbero al governo di realizzare il tanto promesso Bengodi fiscale.
Il Paese non è nuovo a simili espedienti: in altri tempi, invece che di peste speculativa, si parlava di complotti demoplutocratici internazionali. È sconfortante dover constatare che oggi le maldestre trovate di Giulio Tremonti inducano a ricordare simili sventurati precedenti.
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