(di EUGENIO SCALFARI - Repubblica)
Ha detto Giulio Tremonti: "Il governo Prodi ci ha lasciato due disastri: l'immondizia di Napoli e l'Alitalia, oltre ad una situazione economica e finanziaria spaventosa. Il presidente Berlusconi ha risolto in 58 giorni il problema dei rifiuti e in 120 giorni ha salvato l'Alitalia. Noi abbiamo rimesso i conti a posto con la Finanziaria di luglio".
Giovedì è stato il giorno del trionfo e le celebrazioni sono continuate nei giorni successivi insieme a una pioggia di nuovi annunci sul federalismo, sulla sicurezza, sulla sanità, sulla scuola. Ha parlato Berlusconi in tivù. Ha parlato Cicchitto. Hanno parlato Bossi, Calderoli, Maroni. Ha parlato Gelmini. Ha parlato Bombassei della Confindustria, anche lui magnificando la politica del fare rispetto a quella del dire e bruciando il suo chicco di incenso al culto berlusconiano. Qualcuno non ha mancato di indicare alla gogna i giornali "radical-chic" che si ostinano a non unirsi al coro e che comunque "non contano niente di fronte ai trionfali sondaggi di questo scorcio agostano".
Infine ha parlato anche Roberto Colaninno, presidente "in pectore" della nuova Alitalia, con un'intervista rilasciata al nostro direttore Ezio Mauro e pubblicata venerdì scorso. Un'intervista di grande interesse perché Colaninno spiega la filosofia imprenditoriale che ha indotto lui e altri quindici imprenditori italiani a impegnare oltre un miliardo di euro per salvare dal fallimento la compagnia di bandiera indipendentemente dalle opinioni politiche di ciascuno di loro. Colaninno si è sempre proclamato di sinistra ed ha ribadito in quell'intervista la sua collocazione ma le sue opinioni politiche - ha detto - non hanno niente a che vedere con la sua visione imprenditoriale. L'Alitalia era un'occasione per mettere quella vocazione alla prova rischiando anche un po' di soldi (nel suo caso 200 milioni che non è poca cosa). Questo ha fatto insieme ad altri suoi compagni di cordata. Chiede di esser giudicato sui risultati.
Alle domande criticamente incalzanti di Ezio Mauro ha risposto che non stava a lui di distribuire torti e responsabilità sul disastro Alitalia e neppure sui provvedimenti che il governo avrebbe preso per render possibile la nuova avventura della compagnia di bandiera. "Una cosa è certa" ha detto "l'Alitalia è fallita. Per farla rinascere bisognava liberarla dai pesi del fallimento. Ora si riparte da qui". "Incipit nova historia".
La filosofia imprenditoriale è sempre stata questa, non è una scoperta di Colaninno e non ci stupisce. Neppure stupisce che quella filosofia si sia richiamata nel tempo con eguale vigore al libero mercato, al protezionismo, perfino all'autarchia, operando per salvaguardare il profitto d'impresa nelle condizioni storicamente date. Il profitto (l'ho scritto più volte) è la sola variabile indipendente che l'impresa prende in considerazione ed è la sua unica modalità. In un sistema capitalistico le cose stanno così. La democrazia, cioè la sovranità popolare, può correggere questa filosofia capitalistica introducendovi dosi più o meno forti di socialità, di pari opportunità, di visione generale del bene comune.
Non è accettabile invece che la legittima vocazione imprenditoriale al profitto sia fatta passare per dedizione alla salvezza del Paese e alle sue "magnifiche sorti e progressive". Colaninno nella suddetta intervista ha battuto ripetutamente su questo tasto senza forse rendersi conto che, se si rivendica anche un ruolo di salvatori della patria ci si espone inevitabilmente all'esame delle "condizioni date" entro le quali l'operazione specifica avviene, chi ci guadagnerà e chi ne pagherà il conto. Se ci si veste da salvatori bisogna rispondere alle critiche e non liberarsene con la frase "che altro può fare un imprenditore?". L'imprenditore può fare tante cose tra le quali anche astenersi dal partecipare ad operazioni che hanno un contenuto eminentemente politico assai più che di vantaggio economico per la collettività. L'imprenditore non è necessariamente un maniaco del fare. Se vuole anche la patente di salvatore, allora si rassegni ad ascoltare qualche opinione difforme dalla sua.
Francesco Giavazzi ha scritto sul Corriere della Sera di mercoledì un articolo sull'Alitalia nello stesso giorno in cui anch'io mi cimentavo con quell'argomento. La coincidenza e l'ispirazione sostanzialmente comune mi ha fatto piacere se non altro perché sarebbe difficile accusare Giavazzi, come pure Deaglio e Boeri, di bolscevismo e di radicalismo scicchettone. Su un punto tuttavia le mie opinioni non coincidono con quelle di Giavazzi. Egli teme che la cordata di Colaninno si sia imbarcata in un'iniziativa troppo rischiosa. Io penso invece, come Deaglio e Boeri, che quei sedici "capitani coraggiosi" abbiano giocato sul velluto avendo ricevuto la staffetta nelle migliori delle condizioni possibili da un governo che sarà comunque (e forse per alcuni di loro è già stato) concretamente riconoscente.
Basta scorrere il decreto legge uscito dal Consiglio dei ministri di giovedì: divisione della vecchia Alitalia in due società, una "cattiva" con tutte le passività in testa allo Stato, l'altra libera come un uccello in volo e affidata ai privati; sospesi i poteri dell'Antitrust per sei mesi al fine di render possibile la concentrazione Alitalia-AirOne e instaurare il monopolio della tratta Linate-Fiumicino; salvaguardare la nuova Alitalia da ogni rivalsa dei creditori e dei dipendenti; consentirle di acquistare da una società fallita tutta la polpa (aerei, slot, diritti di volo, personale dipendente necessario); aprire un negoziato con i sindacati per portarli, già domati, a stipulare contratti nuovi col nuovo vettore. Un caso tipico di socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti, che sarà probabilmente esteso anche ad Air France o a Lufthansa se entreranno per una quota nell'Alitalia nascente.
Chi voglia confrontare l'accordo offerto dai francesi nel marzo scorso vedrà che le differenze sono macroscopiche. Allora non si parlava né di fallimento né di legge Marzano né di divisione in due società, ma dell'acquisto di Alitalia in blocco con i suoi debiti, i suoi dipendenti, la sua flotta. I francesi avrebbero anche pagato allo Stato un prezzo per le azioni e lanciato un'Opa per gli azionisti di minoranza. Avrebbero stanziato 2.600 miliardi per il primo rilancio e incluso Alitalia nel "network" Air France-Klm.
Berlusconi (ma anche Colaninno) hanno definito quell'operazione una svendita. Ma l'operazione attuale come si può definire? Tutti gli oneri allo Stato, tutta la polpa ai privati, Air France compresa se entrerà come azionista. Io direi che un'operazione così si definisce politica di immagine e imbroglio economico.
Sergio Romano, sul Corriere della Sera di ieri ha scritto che l'opposizione dovrebbe collaborare. Non riesco a capire per molti ed egregi opinionisti il ruolo dell'opposizione. Deve collaborare sulla sicurezza, sul federalismo, sulla giustizia, sulla legge elettorale, sulle riforme costituzionali, sulla scuola, sulla sanità. Ed anche su questo pasticcio dell'Alitalia. Quello che non capisco è dove si può fare opposizione. Sulle fontanelle di quartiere, sindaci di destra permettendolo? Sarebbe interessante saperlo. In realtà si vorrebbe un'opposizione al guinzaglio, un'opposizione addomesticata. Non mi pare sia questo il suo ruolo in una democrazia liberal-democratica. Gli Usa insegnano.
Forse la parola imbroglio può sembrare eccessiva. Vediamo dunque da vicino alcuni lineamenti dell'operazione.
1. Gli esuberi previsti vanno da un minimo di cinquemila ad un massimo di settemila. Il ministro del "welfare", Sacconi (e prima di lui Berlusconi e Tremonti) assicura che nessun dipendente sarà lasciato per strada. Esistono infatti da quarant'anni alcuni ammortizzatori sociali, la cassa integrazione a zero ore e la mobilità permanente, per un totale di sette anni. Sacconi non inventa nulla che già non vi sia. Ma la cassa integrazione ha un suo plafond e non può estendersi all'infinito. Se si va oltre il limite bisognerà rifinanziarla o inventare nuovi ammortizzatori e nuovi finanziamenti. La questione va considerata con attenzione in tempi di crescita zero del Pil e di incombente disoccupazione.
2. Il governo prevede incentivi e detassazioni per le imprese private che assumano i licenziandi Alitalia. È evidente (Fassino l'ha ricordato ieri) che non si può limitare un provvedimento così anomalo al solo caso dell'Alitalia. Non si possono fare leggi speciali che valgano per un solo soggetto e non per altri. Perciò, se un provvedimento del genere sarà preso, bisognerà estenderlo a tutti gli esuberi che si verificheranno in futuro. Quanto costa una copertura di queste dimensioni?
3. Il governo prevede anche che i piccoli azionisti Alitalia siano indennizzati. Come e in che misura? Attingendo al fondo di garanzia creato per indennizzare i risparmiatori truffati dall'emissione di "bond" fasulli, tipo Parmalat, Cirio, "bond" argentini. Credo che quel fondo sia insufficiente a indennizzare gli azionisti Alitalia. Comunque la fattispecie è completamente diversa. Ma anche qui: se si adotta una strategia di questo genere bisognerà poi estenderla a tutti i piccoli azionisti travolti da crisi societarie. Lo Stato è in grado di assumersi una responsabilità di queste dimensioni? Intervenendo in questo modo mai visto prima sulla Borsa italiana? A me sembra una favola. Anzi l'ennesimo imbroglio.
4. È stato stabilito che gli azionisti della cordata Colaninno non potranno vendere le loro azioni nei prossimi cinque anni, passati i quali saranno liberi di fare quello che più gli sembrerà opportuno. Vedi caso: la scadenza è nel 2013 e coincide con la fine della legislatura. È molto probabile che il grosso dei soci della cordata, che niente hanno a che vedere col trasporto aereo, escano dalla società. Tanto più che avranno come consocio un vettore aereo internazionale, Air France o Lufthansa che sia. In questa vicenda il socio internazionale è destinato ad avere la stessa posizione della spagnola Telefonica in Telecom. È il solo che ne capisce ed è il solo che alla lunga resterà al timone. Ho già scritto che tutta questa vicenda mi ricorda il gioco dell'oca, quando si torna indietro alla casella di partenza. Alla fine avremo una compagnia guidata da un vettore internazionale perché non c'è più spazio in Europa e nel mondo per vettori locali nel mercato globale. La sola differenza sarà che il vettore internazionale avrà speso molto meno di quanto sarebbe avvenuto cinque anni prima.
Questa sì, sarà una svendita preceduta da un imbroglio. Le perdite allo Stato (cioè a tutti noi) i profitti ai privati, nazionali e stranieri. Un imbroglio che camuffa una svendita. La Frankfurter Allgemeine ha scritto ieri: "Un'operazione insolente contro il mercato e contro l'Europa". Ambasciatore Romano, l'opposizione deve collaborare?
(Eugenio Scalfari)
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