(di Gianluca De Feo ed Emiliano Fittipaldi - l'Espresso)
Bologna, Modena, Parma, Reggio: è la nuova terra di conquista dei casalesi. Il pentito Bidognetti descrive l'assalto camorrista. Con il gioco d'azzardo, il racket, l'ingresso nei cantieri. E con la sfida dei padrini campani a Felice Maniero: 'Fatti da parte'
Tra la via Emilia e il West, nella Modena cantata da Francesco Guccini, c'è gente che le pistole le usa davvero. "Gli interessi dell'organizzazione dei casalesi si estendono oltre la provincia di Caserta, anche ai territori dell'Emilia-Romagna, e in particolare alle province di Modena, Reggio Emilia e Bologna. L'interesse dei casalesi e la loro presenza sul territorio inizia sin dalla fine degli anni Ottanta, ma in realtà molti miei concittadini, per motivi attinenti ad attività da loro prestate, in modo particolare nel settore edile, si trasferirono in Emilia già negli anni '70. Oggi si può dire che, vista la numerosa presenza di casalesi in quella zona, Modena e Reggio Emilia corrispondono a Casal di Principe e San Cipriano D'Aversa....".
Domenico Bidognetti è stato un protagonista del romanzo criminale che in vent'anni ha portato i camorristi di tre paesini alla costruzione di un impero. Lui Gomorra l'ha vista crescere e prosperare. È cugino del padrino Francesco Bidognetti, quel Cicciotto 'e Mezzanotte che anche dal carcere ha dominato l'ascesa dei mafiosi campani. La sua collaborazione con i magistrati, che va avanti da un anno, sta svelando nuove dimensioni della conquista casalese. Partendo dall'occupazione di quelle province del Nord dove maggiore era la prospettiva di guadagno e minore il rischio di entrare in guerra con le cosche siciliane e calabresi, radicate in Lombardia e Piemonte: l'Emilia-Romagna, appunto, e parte del Veneto. Con il sogno proibito di mettere un piede a Milano, realizzando quell'assalto alla capitale morale già tentato da Raffaele Cutolo nei primi anni Ottanta.
Giochi d'azzardo Il contagio avviene sempre partendo dai soldi. Prima le bische e gli investimenti immobiliari. Solo in una seconda fase si mettono sul tavolo le armi e la violenza per imporre il racket. Con un obiettivo strategico: entrare nel giro delle grandi opere, trasferendo sopra la linea gotica gli accordi con le aziende padane collaudati nei cantieri campani dell'Alta velocità. Si comincia quindi dall'industria dell'allegria. Bidognetti elenca night e ristoranti gestiti dagli affiliati, racconta della spartizione del territorio con i calabresi e con il boss del Brenta Felice Maniero, parla delle mazzette estorte ai costruttori Pizzarotti di Parma, in un'Emilia inedita in cui i camorristi sembrano muoversi come fossero a casa loro.
Rivelazioni pagate a caro prezzo. Il padre di Bidognetti è stato assassinato tre mesi fa. Lui invece è andato avanti. Le sue parole intersecano e completano anni di indagini della Procura antimafia di Napoli, che già hanno svelato la penetrazione della famiglia Zagaria a Parma. Ma anche l'altro collaboratore di giustizia, Gaetano Vassallo, fornisce retroscena illuminanti sui traffici di cocaina tra Riviera romagnola e Costa Domiziana, completando l'affresco dell'arrembaggio malavitoso.
Soldi facili La scoperta della terra promessa avviene secondo il modello classico: il soggiorno obbligato. Un capoclan spedito dai giudici a Modena fa di necessità virtù criminale: sfrutta le colonie di emigrati campani onesti per imporre il modello camorrista. "Accadeva tra l'89 e il '90. All'epoca noi ritenevamo questa zona molto sicura, una sorta di fortezza. Sui casalesi e i sanciprianesi residenti lì esercitavamo pressioni, quando eravamo a Modena o Reggio per latitanza o provvedimenti di natura giudiziaria". Domenico Bidognetti si trasferisce in Emilia una prima volta a 15 anni: è apprendista di una ditta casertana, ma dopo tre mesi torna indietro "perché mi sentivo sfruttato". Scopre così che ci sono soldi molto più facili. Le bische, ad esempio, e i videopoker che i casalesi decidono di gestire "in regime di monopolio". La rete che unisce Caserta, Modena e Reggio frutta oltre 200 milioni di lire al mese, che i boss venuti dal Sud non vogliono dividere con nessuno.
"Venimmo a sapere che c'era un gruppo riconducibile a Felice Maniero e a un calabrese che volevano inserirsi in quell'attività. Decidemmo di incontrare il Maniero, e da Casal di Principe partì una squadra di notevole spessore criminale": una delegazione che somma diverse condanne all'ergastolo. Due auto con pezzi da novanta come i cugini Bidognetti, Raffaele e Giuseppe Diana e l'imprendibile latitante Antonio Iovine. "Nell'incontro imponemmo a Maniero di lasciar perdere. Quando tornammo, mio cugino Cicciotto commentò l'inutilità del loro intervento, dando del 'drogato' a Maniero". L'atteggiamento cambia nei confronti della 'ndrangheta. I padrini casertani si fanno più rispettosi e stringono patti. Le zone dove incassare il racket vengono divise in base alla provenienza: ognuno impone il pizzo a negozianti e ditte create in Emilia da emigrati della zona d'origine, riproducendo al Nord omertà e regole di casa. È una situazione paradossale: nella gogna finiscono imprenditori che avevano lasciato il Sud proprio per sfuggire alla prepotenza dei clan. Per i boss invece le spedizioni hanno parentesi felici: nei ristoranti e nei night emiliani non devono chiedere, tutto viene offerto, tutto è gratis. "Tirammo fuori solo una mancia per le ragazze che ci avevano intrattenuto..." [...]
La legge del clan Il pentito non lesina dettagli. Elenca i capi militari a cui era affidata la custodia del fronte Nord. "Nel 1995 Francesco 'Sandokan' Schiavone ci rappresentò la necessità di sottoporre a estorsione non solo i commercianti casertani, ma anche quelli non campani, come ad esempio gli emiliani. Per noi fu una novità: sino ad allora le estorsioni venivano praticate solo a danno di imprenditori che realizzavano grossi appalti". La richiesta è legata a un momento di grande crisi economica del clan, con le prime operazioni antimafia che avevano fatto finire in cella capi e gregari e quindi la necessità di mantenere le famiglie. Anche in questo caso c'è un'osmosi tra le attività campane e quelle emiliane. Le commesse pubbliche più importanti a Caserta andavano spesso a colossi del Nord, che poi accettavano la legge dei camorristi, concedendo quote di lavoro e mazzette cash. Il collaboratore ripercorre la storia della Pizzarotti di Parma, che scese a patti per la costruzione del nuovo carcere di Santa Maria Capua Vetere, destinato a custodire proprio i camorristi. Un appalto da 82 miliardi di lire, portato avanti dal '93 in poi, quando Mani Pulite aveva azzerato i cantieri settentrionali. A vincerlo è un consorzio guidato dalla celebre coop ravennate Cmc e dalla Pizzarotti. Gli emissari delle aziende emiliane e i loro geometri vennero intimiditi con schiaffi, percosse e pistole spianate. "Partecipai a una riunione con l'ingegnere della Pizzarotti per sollecitare i lavori che spettavano a una delle nostre ditte di fiducia". I boss ottengono un duplice vantaggio: denaro in nero, pagato attraverso giri di fatture false, e contratti leciti per entrare in una dimensione imprenditoriale.
Scacco alle due torri "Anche a Bologna da tempo i casalesi hanno propri interessi economici". Bidognetti però sugli investimenti non sa essere più preciso: è un uomo d'azione, che ricorda tutto delle pistolettate, ma non ha amministrato capitali. Sul riciclaggio sotto le due torri gli investigatori lavorano da tempo nel segreto. Ma le indagini hanno già smantellato parte della rete creata a Parma dagli Zagaria, assieme ai Bidognetti e agli Schiavone la terza grande famiglia casalese: lì si erano uniti a immobiliaristi locali, trovando agganci nella politica cittadina e sfiorando il colpo grosso. Uno degli Zagaria riesce a incontrare Giovanni Bernini, leader emergente di Forza Italia e presidente uscente del consiglio comunale ma soprattutto consigliere dell'allora ministro Pietro Lunardi. Dalle intercettazioni emerge come la ricerca di un contatto con Lunardi e con i costruttori parmensi fosse quasi un'ossessione per gli Zagaria. Non è un caso. Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna scandiscono l'asse delle opere più importanti in ballo: l'Alta velocità, le tangenziali, le nuove corsie dell'autostrada. Un Eldorado di cantieri e subappalti che hanno tentato in tutti i modi di infiltrare. Finora non c'è prova che ci siano riusciti. Ma i padrini casertani contano sul fattore protezione: quasi tutti i colossi italiani hanno costruito nel territorio chiave tra Roma e Napoli. Dove avrebbero ricevuto dai casalesi servizi importanti: sicurezza, manodopera a basso costo e pace sindacale. Il tutto in cambio di subappalti, portati a termine con efficienza. Un contratto che molti manager settentrionali hanno trovato vantaggioso.
La dama bianca In Romagna i casalesi scoprono anche delle professionalità innovative. Ne parla Gaetano Vassallo, 'il ministro dei rifiuti' della camorra, descrivendo l'ammirazione del clan per un narcos romagnolo, che apre una nuova rotta per i rifornimenti di cocaina dal Sudamerica. Un personaggio che viene subito ammesso nella cerchia che conta per la capacità di far entrare fiumi di droga attraverso tanti corrieri insospettabili: dieci chili a settimana, 40 al mese. Li chiamavano 'criature', ossia bambini. Ma l'amico della Romagna era anche in grado di fornire rifugi sicuri per i latitanti che volevano stare alla larga dalle retate e dai killer avversari. Quando il clima ad Aversa e a Casal di Principe si faceva teso, quale migliore esilio che il divertimentificio adriatico?
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Perquisito l'Espresso, proteste dei giornalisti
(Repubblica — 21 settembre 2008)
Otto ore di perquisizione. La Guardia di Finanza è tornata al settimanale l'Espresso. Per la seconda volta in otto giorni. Setacciate le case degli autori dell'inchiesta "Gomorra al Nord", copertina del numero in edicola, che racconta l'assalto del clan dei Casalesi all'Emilia Romagna e al Veneto, con estorsioni e minacce,
Le collusioni di imprenditori e politici campani. La procura di Napoli, che ha firmato il mandato, è a caccia di prove sui responsabili della fuga di notizie. Perquisita l'abitazione di un collaboratore del giornale che non ha mai lavorato agli articoli sotto accusa ma che cura le corrispondenze. «Pesante intimidazione. Andremo avanti», dice Daniela Hamaui, direttrice del settimanale. All'alba dodici uomini della guardia di Finanza bussano a casa di Emiliano Fittipaldi, al quartiere Esquilino a Roma, che con Gianluca Di Feo firma l'inchiesta. Il decreto di perquisizione riguarda anche Di Feo che però è fuori per il weekend, dunque l'appartamento resta piantonato sino al suo rientro. «Non c'era molto da portare via - dice Fittipaldi - avevano già rastrellato tutto l'altra volta. Non restava che il registratore di mia moglie».
Venerdì 12 settembre, infatti, subito dopo la pubblicazione dell'articolo "Così ho avvelenato Napoli" sullo scandalo rifiuti, le "fiamme gialle" hanno fatto una prima perquisizione con sequestro di documenti, agende, hard disk. Anche stavolta, all'indomani dell'uscita del settimanale, la perquisizione. Ieri mattina per oltre cinque ore i finanzieri hanno setacciato anche la redazione de l'Espresso. «Hanno portato via i nuovi hard disk e l'intero computer di Di Feo». Nelle stesse ore a Napoli veniva perquisita la casa di Claudio Pappaianni, collaboratore del giornale, «del tutto estraneo» alle inchieste sugli affari dei Casalesi. Ma che ha subito il sequestro di agende e hard disk. L'Espresso documenta l'assalto camorrista a Bologna, Modena, Parma, Reggio. Racconta la nuova frontiera dei Casalesi. Con il gioco d' azzardo, il racket, la sfida a Felice Maniero, il boss del Brenta. A parlare sono "pentiti", che narrano di accordi inconfessabili con politici campani, accusano tra gli altri il sottosegretario al Tesoro, Nicola Cosentino, esponente del Pdl. La direzione del giornale assicura i lettori che «il settimanale continuerà nella sua opera di puntuale informazione e denuncia, che non si farà intimidire da spettacolari e gravi iniziative della magistratura tese a limitare la libertà di informazione». La redazione esprime «massima preoccupazione». Il direttore di Repubblica, Ezio Mauro, e i vicedirettori sono solidali con i colleghi de l'Espresso «per le ripetute e sproporzionate azioni intimidatorie che minacciano il loro lavoro». L'Ordine dei Giornalisti parla di «episodio illegittimo». La Federazione nazionale della stampa si ribella contro «quest'azione invasiva, grave, sconcertante». «A questo punto intollerabile». per saperne di più: http://www.espresso.repubblica.it www.gdf.it e http://www.giustizia.it politica e giustizia
(Elsa Vinci)
Questi i fatti nudi e crudi: da due settimane l'Espresso pubblica articoli molto documentati sulle collusioni di rappresentanti di partiti di maggioranza (in particolare Forza Italia ed AN (e non di rappresentanti di secondo piano) con la camorra. Ora dobbiamo fare i modo che sia gli articoli dellEspresso, che la notizia dello sconcio della caccia alle guardie, anzichè la caccia ai ladri, non spariscano datta rete, facilitandone una diffusione capillare sul maggior numero possibile di blogs. Invito pertanto chi dovesse leggere questo post a riprodurlo e diffonderlo. In difesa della libera informazione, primo motore della democrazia. Tafanus
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