Era da un pezzo che a Milano e dintorni si sentivano lamentele, sempre più frequenti, circa semafori nei quali il giallo aveva la durata di millisecondi. Cogli l'attimo. Multe che fioccavano anche su gente che non attraverserebbe mai col rosso, neanche se il rosso si inchiodasse per un'ora. Ora viene fuori questo porcaio, che fa onore alla Capitale Morale e dintorni. Una domanda sorge spontanea: come si fa ad affidare l'installazione dei semafori, e la loro regolazione, a mazzettari che vengono retribuiti non già sulla basta del costo dell'opera, ma su base "provvigionale"? Più multi, più guadagni, ed una parte non irrilevante finisce nelle tasche di chi ti ha appaltato il lavoro.
Ma alla Letizia Brighetto Arnaboldo Moratti Viendalmare, donna del fare, una eventualità di possibili imbrogli incoraggiati, e addirittura suggeriti da questo meccanismo, mai venuta in mente?
MILANO - C'è il comandante di polizia municipale che dice: "In agosto si sposa mia figlia... Mi servirebbe un prestito da mille euro". E c'è il sindaco di un paese in provincia di Imperia che riesce a sistemare la figlia come dattilografa in una società di controllo degli impianti semaforici. Ma soprattutto, ci sono le tangenti. Quelle che secondo una "gola profonda" della Guardia di finanza sarebbero state pagate a vigili urbani e amministratori locali per aggiudicarsi la gestione degli impianti che fotografano gli automobilisti troppo veloci o troppo incuranti dei colori del semaforo.
A rivelarle è un ex dipendente di un'azienda con sede nel Delaware, negli Stati Uniti, ma attiva tra le province di Brescia e di Verona. Una delle ditte su cui sta indagando il pubblico ministero Alfredo Robledo della procura di Milano. Il testimone parla esplicitamente di "atti di corruzione" e assicura: i compensi hanno riguardato trecento amministrazioni comunali.
Le rivelazioni del "pentito delle multe selvagge" disegnano un sistema diffuso in tutt'Italia, una sorta di tangentopoli che è al contempo anche una "parentopoli". La corruzione, infatti, sarebbe avvenuta attraverso il coinvolgimento di familiari dei funzionari pubblici da oliare che venivano assunti come dipendenti della società. Si era stabilita una tariffa: per ogni verbale notificato 3 euro dovevano andare al vigile corrotto. Il "contratto" veniva stipulato direttamente dal titolare della società con il sindaco, il segretario comunale o il comandante di polizia municipale di turno.
La Finanza ha già trovato numerosi riscontri: in un comune in provincia di Rovigo, ad esempio, una società ha assunto il fratello del comandante dei vigili come videoterminalista, ritrovando anche un documento in cui si attesta il pagamento di un anticipo di 500 euro.
Con le amministrazioni, inoltre, la società stipulava dei contratti di "progetto obiettivo": una volta raggiunto determinati introiti, il compenso destinato all'azienda. "In realtà tale compenso - dice il testimone - andava alla polizia municipale", in una percentuale che oscillava tra il 5 e il 7 per cento. Al centro di questo sistema c'era un imprenditore che, direttamente o attraverso vari prestanome, controllava otto società diverse che in più casi si presentavano come concorrenti nelle gare d'appalto, riuscendo in questo modo a pilotarle. Gli accertamenti delle Fiamme gialle si stanno concentrando su decine di comuni italiani, da Brianzé, in provincia di Vicenza, a Sant'Olgese, in provincia di Genova, da Lurago d'Erba, in provincia di Como, a Palestro, in provincia di Pavia. Del cartello di società faceva parte anche un'azienda incaricata di attestare la taratura degli autovelox ogni volta che la Prefettura e il Giudice di pace lo richiedeva dopo i ricorsi presentati dagli automobilisti. Quasi sempre, però, "si trattava di false attestazioni": le operazioni tecniche, in realtà, non venivano mai eseguite.
A capo del gruppo imprenditoriale c'era un imprenditore bresciano legato, secondo la testimonianza resa alla Guardia di finanza e coperta da segreto, anche a un'associazione di polizia locale.
Le rivelazioni fanno parte della stessa inchiesta che ha portato, mercoledì scorso, all'arresto di quattro imprenditori che farebbero parte, per la procura, di un altro cartello, al cui vertice ci sarebbe Raoul Cairoli, amministratore della Citiesse srl. Ieri Cairoli è stato interrogato dal gip Andrea Ghinetti, alla presenza dell'avvocato Davide Bartulli e ha chiesto di poter essere ascoltato nei prossimi giorni dal pm Robledo.
SOCIAL
Follow @Tafanus